Per un programma minimo di classe

L’esigenza nell’attuale infausta congiuntura politica di un programma minimo di classe, a partire dall’istruttiva esperienza che ha portato i padri del socialismo scientifico a elaborarne il primo.


Per un programma minimo di classe Credits: https://www.marxist.com/the-ideas-of-karl-marx-it.htm

La crisi e il quadro politico nazionale appaiono sempre più drammatici. La destra radicale ne esce rafforzata, anche perché la presunta sinistra al governo agisce di fondo secondo le logiche del pensiero unico dominante. In altri termini il Partito democratico e i cespugli che lo coprono a sinistra hanno nei fatti accettato la visione del mondo neoliberale. Del resto la maggioranza degli stessi lavoratori salariati, privi di un modello alternativo di società di riferimento, hanno finito per introiettare il pensiero dominante. Più in generale, nonostante la crescente crisi del modo di produzione capitalistico, la sinistra appare la principale sconfitta, in quanto non è stata in grado di rappresentare una forza-lavoro progressivamente atomizzata, non ha fatto fronte adeguatamente sul piano culturale alla resistibile ascesa del pensiero unico neoliberista e non ha avuto occhi per cogliere la mutazione culturale e antropologica che attraversava le stesse classi subalterne. Senza contare la sussunzione reale del ceto politico della sinistra nella casta dei politicanti di professione, con il loro potere personale e i privilegi economici di cui godono.

D’altra parte, anche le ultime tornate elettorali hanno ulteriormente dimostrato che i comunisti in Italia non rappresentano più agli occhi delle masse una credibile alternativa a un sistema capitalistico sempre più in crisi dal punto di vista economico, politico e morale. Ciò è dovuto, in primo luogo, alle sciagurate esperienze dei governi sedicenti di centrosinistra sostenuti dall’interno e dall’esterno da partiti che si dichiaravano comunisti. Ciò ha portato il proletariato a diffidare di partiti guidati da dirigenti che, una volta al governo, hanno favorito il peggioramento delle condizioni di vita dei ceti sociali subalterni. Le sottigliezze sofistiche addotte dagli intellettuali di riferimento, per giustificare tale incapacità di fare gli interessi del proprio blocco sociale, hanno scarsa credibilità fra le masse. Perciò, non vorremmo perdere ulteriore tempo nella discussione su alleanze di governo che porterebbero a uno stadio ancora più avanzato l’attuale polverizzazione della sinistra di classe. Crediamo che la sconfitta venga da qui ed è, perciò, da qui che occorre ripartire. Riteniamo che sia giunto il tempo in cui è indispensabile voltare radicalmente pagina, per questo motivo non ci attarderemo più di tanto in una polemica retrospettiva. Serve piuttosto un progetto e un percorso di rilancio per chi mira ancora a rivoluzionare il presente stato delle cose.

Certo non partiamo da zero: esiste un’Italia più sociale che politica, che va ben al di là dell’elettorato della sinistra, cui questo mondo non piace. Il drammatico peggioramento delle condizioni di vita, la questione salariale, la mancanza di posti di lavoro che non siano precari, la tragica situazione in cui sopravvive il meridione e, più in generale, un diffuso senso di incertezza sono i sentimenti dominanti in larga parte dell’opinione pubblica. Esistono inoltre diverse realtà che sono ancora in grado di produrre, anche se purtroppo slegate fra loro, conflitto sociale dal basso. Insomma le potenzialità di lotta per il cambiamento sono più che possibili, necessarie, ma il problema vero è l’arretratezza dei punti di riferimento politici, culturali, organizzativi e teorici.  

A questo scopo serve in primo luogo un’approfondita analisi, una rinnovata cultura marxista in grado di fornire un fondamento da cui realizzare una radicale discontinuità politica. Per quest’ultimo fine è indispensabile fare tesoro degli errori del passato. Da tale consapevolezza emerge l’esigenza di un’agenda autonoma dalle compatibilità e dalle necessità di governo, che sappia unire le lotte da condurre in una precisa ottica di classe, intercettando le aspettative dei nostri ceti sociali di riferimento; un programma minimo di classe che possa essere condiviso non solo da qualche centinaia di quadri politici, ma anche da migliaia di proletari, al fine di ricostruire l’unità del popolo di sinistra, oggi quanto mai confuso e disilluso. Una proposta al fine di realizzare una proficua collaborazione unitaria fra tutti i comunisti ovunque collocati, le migliaia di militanti dispersi in una diaspora silenziosa in corso da decenni e tutti i sinceri democratici che sono disponibili a impegnarsi a costruire l’alternativa all’attuale sistema in crisi strutturale. Una proposta di resistenza, ma anche di riscatto capace di parlare, farsi comprendere e fare egemonia fra i settori sociali maggiormente colpiti dalla crisi.

Come è noto, i fondatori del socialismo scientifico furono i primi a sostenere la necessità di un programma minimo di classe che, in una fase non rivoluzionaria, mirasse a migliorare, nei limiti del possibile, le condizioni materiali di vita e di lavoro del proletariato, al fine di accumulare le forze in funzione di una radicale trasformazione dei rapporti di forza.

La prima occasione per realizzare storicamente tale programma Marx ed Engels la trovarono nel maggio 1880 quando Lafargue e Guesde, principali dirigenti socialisti francesi, li invitarono a stendere insieme il programma elettorale del Partito Operaio, approvato dal congresso di fondazione del Parti Ouvrier a Le Havre nel novembre successivo. Lo scopo che si dettero Marx ed Engels fu di elaborare un programma di rivendicazioni spendibili nel contesto politico non immediatamente rivoluzionario, che consentisse alle concezioni del socialismo scientifico di fare egemonia in un movimento operaio ancora arretrato – su posizioni democratiche o, nel migliore dei casi, influenzato dal socialismo utopistico di Proudhon e Blanqui – attraverso la rivendicazione di riforme radicali che mettessero in difficoltà il padronato sul piano di una modificazione dall’interno del sistema capitalista, vagheggiato dalle concezioni riformiste dominanti anche in seno al proletariato.

In altri termini, i fondatori del socialismo scientifico, al fine di ampliare il fronte dei potenziali rivoluzionari e favorire lo sviluppo delle condizioni necessarie per la situazione rivoluzionaria, ritenevano necessario rompere con il settarismo e sporcarsi le mani per trovare un accordo con dirigenti del movimento operaio di cui non condividevano le posizioni influenzate dal socialismo utopista sostanzialmente piccolo borghese. Al punto da dover trovare una mediazione sulla rivendicazione, sostenuta ostinatamente da Guesde, di un salario minimo stabilito per legge, posizione incompatibile dal punto di vista del socialismo scientifico, che aveva ampiamente dimostrato come il salario minimo fosse un requisito necessario del modo capitalistico di produzione.

D’altra parte questo scendere a patti con posizioni tanto arretrate era considerato assolutamente necessario da Marx ed Engels per poter arrivare a inserire nella parte economica del programma [1] “rivendicazioni che sono nate realmente in modo spontaneo dallo stesso movimento dei lavoratori. È stato un colpo, riportare i lavoratori francesi dalle nubi della loro retorica sul terreno della realtà, perciò ha provocato anche molto scandalo tra tutti gli impostori francesi, che vivono delle ‘vendite di fumo’. Il programma è stato approvato, dopo una opposizione fortissima degli anarchici [2], come scrisse Marx in una coeva lettera a Sorge. Lettera rimasta celebre anche perché Marx, proprio in essa, parlava per la prima volta esplicitamente di programma minimo. Anzi, a parere di Marx, il risultato più importante di questo sporcarsi le mani con concezioni utopiste e infantili consisteva nell’aver convinto Lafargue a infiltrarsi con un altro marxista per fare egemonia fra i radicali francesi (il principale partito della sinistra francese del tempo, che si batteva contro gli “opportunisti”), al punto che questi ultimi da posizioni anti-socialiste democratico-repubblicane avevano fatto propri i contenuti del programma minimo. Tanto che, come scrisse Marx a Sorge: “[Lafargue] ha introdotto la nostra concezione nel partito radicale, i cui organi comicamente ammirano adesso, dalla bocca di Clemenceau [capo dei radicali, fino a pochissimo tempo prima dichiaratamente anti-socialista], come qualcosa di meraviglioso, ciò che finché era soltanto una parola d'ordine del ‘partito operaio’, era stato da loro ignorato o beffeggiato”. Per altro, scriveva ancora Marx a Sorge, il programma minimo era stato alla base della costituzione del “primo vero movimento dei lavoratori in Francia. Finora non c'erano in Francia altro che delle sette, le quali ricevevano naturalmente la loro parola d'ordine dal fondatore della setta, mentre la massa del proletariato seguiva i borghesi radicali, o che facevano i radicali, e nel giorno della decisione combatteva per loro, per essere poi massacrata, deportata, ecc. il giorno dopo da quelli che essa aveva fatto giungere al potere”. Al contrario, seguendo l’indicazione del programma minimo il partito operaio francese si era formato sulla base del socialismo scientifico. Tanto che in seguito Engels nel suo "Per la critica del progetto di programma del partito socialdemocratico (1891)" invitò i socialdemocratici tedeschi a seguire piuttosto la sezione economica di quel primo programma minimo.


Note:

[1] Ecco, dunque, la sezione economica del programma minimo: “(1) Un giorno di riposo la settimana o divieto legale per i datori di lavoro di imporre lavoro per più di sei giorni su sette. - Riduzione per legge della giornata lavorativa a otto ore per gli adulti. - Divieto per i ragazzi minori di quattordici anni di lavorare in officine private; e, tra i quattordici e i sedici anni, riduzione della giornata lavorativa da otto a sei ore; (2) Sorveglianza protettiva degli apprendisti da parte delle organizzazioni operaie; (3) Salario minimo legale, determinato annualmente in base al prezzo locale del cibo, da parte di una commissione statistica operaia; (4) Divieto legale per i padroni di impiegare lavoratori stranieri a un salario inferiore a quello dei lavoratori francesi; (5) Uguale paga per uguale lavoro, per operai di ambo i sessi; (6) Istruzione scientifica e professionale di tutti i bambini, il cui sostentamento è responsabilità della società, rappresentata dallo Stato e dalla Comune; (7) Responsabilità della società per gli anziani e i disabili; (8) Divieto di ogni interferenza padronale nell'amministrazione delle società operaie, società previdenziali, etc., che vanno restituite al controllo esclusivo dei lavoratori; (9) Responsabilità padronale in caso di incidenti, garantiti da una cauzione pagata dal datore di lavoro al fondo operaio in proporzione al numero di lavoratori impiegati e alla rischiosità rappresentata dall'industria; (10) Intervento degli operai nelle regolamentazioni speciali dei vari lavori; fine del diritto usurpato dai padroni di imporre penalità ai propri lavoratori nella forma di multe o riduzioni salariali (decreto della Comune del 27 aprile 1871); (11) Annullamento di tutti i contratti che hanno alienato la proprietà pubblica (banche, ferrovie, miniere, ecc.) e sfruttamento di tutte le fabbriche possedute dallo Stato da parte degli operai che vi lavorano; (12) Abolizione di tutte le tasse indirette e trasformazione di tutte le tasse dirette in una tassa progressiva sui redditi superiori ai 3.000 franchi. Soppressione di tutti i lasciti ereditari per via collaterale [ovvero non destinati a discendenti diretti] e di tutti i lasciti ereditari diretti superiori ai 20.000 franchi”.

[2] A proposito di questi ultimi nota ancora Marx nella medesima lettera: “gli anarchici non rappresentano veri lavoratori, ma gente squalificata con alcuni lavoratori ingannati, come loro soldati semplici”.

04/04/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://www.marxist.com/the-ideas-of-karl-marx-it.htm

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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