Marchionne ha chinato la testa

Il 27 settembre il Tribunale di Napoli ha dichiarato nullo il licenziamento dei cinque operai di Pomigliano licenziati da FCA


Marchionne ha chinato la testa

Il 27 settembre potremo ricordarlo come il giorno in cui Marchionne fu costretto a piegare la testa di fronte a cinque operai che indossano da mesi la stessa maglietta ormai logorata dal tempo e dalle lotte.

Il 27 settembre, infatti, la Corte d'Appello del Tribunale di Napoli ha dichiarato nullo il licenziamento dei cinque operai licenziati da FCA due anni fa per aver inscenato una protesta con il manichino di Marchionne impiccato a un palo. La protesta era avvenuta come risposta all'ennesimo suicidio di una operaia in cassa integrazione, Maria Baratto. I cinque operai erano fuori dai cancelli della fabbrica e fuori dall'orario di lavoro, ma tanto era bastato perchè FCA ordinasse il loro licenziamento per "rottura del rapporto di fiducia", confermato nei primi due gradi dal Tribunale di Nola. Dopo mesi di presidio, la sentenza in appello di Napoli ha ribaltato il giudizio, ordinando il loro reintegro, ripristinando la libertà di satira e di opinione e soprattutto il diritto di criticare il proprio datore di lavoro. Come già era avvenuto per i tre operai della Fiom reintegrati a Melfi, con buona pace di Marchionne, Mimmo, Antonio, Marco, Roberto e Massimo dovranno rientrare in fabbrica.

In discussione non era soltanto il diritto di satira e la libertà di opinione. Il licenziamento politico dei cinque operai, se confermato, avrebbe messo a dura prova il diritto stesso di opporsi a un sistema autoritario. Un sistema che, da un lato, porta alle estreme conseguenze lo sfruttamento in fabbrica, aumentando i ritmi e logorando i corpi. Dall'altro, isola i dissidenti e gli indesiderati nei reparti confino e in cassa integrazione. Sul banco degli imputati era di fatto finito il fantoccio impiccato di Marchionne. Ma nessun colpevole e nessuna condanna per il suicidio di Maria e di tutti gli altri prima di lei, piegati e sopraffatti allo stesso modo dalla durezza di quel sistema di sfruttamento.

La sentenza di Napoli ha quindi il sapore di una rivincita. Amara, perchè non dà giustizia di quei suicidi. Ma al tempo stesso rincuorante perchè nella generale assuefazione alle sconfitte del movimento operaio segna un passo, seppure piccolo, in controtendenza e dà ragione a chi pensa che la lotta paga. E paga comunque: quando vinci come in questo caso, ma anche nei tanti altri casi in cui perdi, ma tieni la testa alta e non ti rassegni alla sconfitta prima ancora di aver provato ad opporti. Come è accaduto un anno fa al presidio della AZ Fiber di Treviglio, per esempio, oppure proprio pochi giorni fa nella vertenza contro i 156 licenziamenti di Sistemi Informativi.

Resta da vedere se i cinque operai rientrerranno al lavoro o se finiranno di nuovo in cassa integrazione o in qualche reparto confino. Ma questa vicenda è già ora tanto importante per tutte e tutti. La determinazione, la rabbia e la radicalità con cui i cinque operai hanno affrontato questa loro lotta è esemplare. Sapevano che avrebbero potuto perdere. Hanno messo in gioco tutto, compresa la loro esistenza e la loro vita familiare, vivendo per mesi accampati in piazza del Municipio. E' stata anche la loro determinazione e la loro generosità nel portare avanti questa lotta a rendereli meno soli e in pochi mesi hanno raccolto la solidarietà e l'appoggio di tantissimi militanti, sindacalisti, politici, avvocati, intellettuali e persino artisti, che hanno rotto il silenzio e trasformato la loro vicenda in una vertenza anche simbolica sulla libertà di opinione.

I cinque compagni hanno ringraziato tutti coloro che li hanno sostenuti e che si sono mobilitati per loro, ma in realtà siamo noi che dobbiamo ringraziare loro, perchè hanno tenuto la schiena dritta e ci hanno consegnato finalmente una vittoria. È un bel segnale per il movimento e un duro colpo per FCA e per i padroni in genere, perchè dimostra che, quando si è disponibili a lottare e a mettersi in gioco per affermare i propri diritti e le proprie ragioni, arrendersi e piegare la testa non sono l'unica possibilità. E' un esempio e un incoraggiamento per tutti. Non è un caso se, dopo la sentenza, ritornati a volantinare ai cancelli della fabbrica, una folla di loro colleghi li ha accolti con il pugno alzato e le braccia aperte.

Un solo rammarico. Mi piace immaginare che Marchionne, anche soltanto per un momento, abbia davvero piegato la testa di fronte ai cinque operai reintegrati. Vorrei adesso, come penso in tanti, che fosse altrettanto costretto a piegare la testa anche di fronte al suicidio di Maria.

08/10/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Eliana Como

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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