Prima che sia troppo tardi

I risultati elettorali impongono la necessità di costruire un nuovo fronte ampio per la sinistra di classe.


Prima che sia troppo tardi

Il tramonto della sinistra (e della democrazia elettorale) in Italia è davvero orribile: nessun riverbero di luce; prevalgono i toni di color grigio cenere. I risultati delle elezioni regionali di Lombardia e Lazio non sono gravi e nemmeno catastrofici, più propriamente sono terminali.

Si tratta della fine di un’epoca, in verità assai poco gloriosa, contraddistinta dal quieto vivere del politicismo e che perdura tutto sommato dagli anni ’90 dello scorso secolo: mentre tutt’intorno la classe dominante ha sottratto ai lavoratori italiani salario diretto (contratti collettivi di lavoro sempre più inadeguati al costo reale della vita), indiretto (sistema pensionistico manomesso con il passaggio al contributivo e servizio sanitario costantemente definanziato) e perfino la certezza del posto di lavoro (articolo 18 dello Statuto dei lavoratori), le forze della sinistra più o meno di classe si dedicavano alla seguente divisione del lavoro: “Voi, i subordinati, vi dedicate ad agitarvi in lotte sociali, sindacali e ambientali più o meno isolate, mentre noi, i politici, ci dedichiamo a rappresentarvi”.

Risultato: mel mezzo di un astensionismo più o meno al 60% (manco fossimo nel Sud degli Stati Uniti negli anni ’60), la sinistra di derivazione (anche latamente) comunista nelle ultime elezioni regionali ha difficoltà a raggiungere l’1%. Ci riesce in Lombardia, superandolo con l’1,53% della candidata alla presidenza della Regione di Unione Popolare, ma nel Lazio invece l’impresa non riesce nemmeno al Pci (0,98) che comunque va meglio di Up.

Nemmeno le liste progressiste (non comuniste) possono stappare bottiglie di champagne (magari regalate da Melenchon) perché il Movimento 5 Stelle che pure sembrava in ascesa in Lombardia come lista acquisisce il 3,93% in coalizione con il Pd e nel Lazio dove corre contro il Pd giunge all’8,54%. I cespugli che accompagnano le formazioni più grandi a seconda dei casi (Sinistra verde, Polo progressista ecc.) fanno risultati simili.

Da registrare che i candidati (come accennato) alle presidenze regionali vanno un po’ meglio delle liste: come se servisse sottolineare la debolezza dei singoli gruppetti.

Il male incurabile del settarismo

Per arrivare a una situazione così disperata, tuttavia, il solo politicismo di cui la sinistra in Italia è così drammaticamente pervasa poteva non essere sufficiente. Ma dato che quando una classe sociale subisce una sconfitta storica (e i lavoratori italiani dalla fine degli anni ’70 non conoscono avanzamenti) non ci si espone a una sola piaga, ecco che nel corso dei decenni ne è esplosa un’altra: quella del settarismo. In considerazione dell’impossibilità di un’avanzata generale dei subordinati (lavoratori, donne, disoccupati, migranti) ogni singolo gruppetto ha iniziato a praticare la lotta all’ultimo sangue con il proprio vicino possibilmente per estinguerlo e cannibalizzarne le risorse militanti.

Questo vecchio vizio della sinistra di classe che ancora negli anni ’70 poteva essere tollerato, considerando la ricchezza di risorse militanti e la spinta in avanti impressa nelle lotte dalla classe operaia, ora è divenuto esiziale: nessuno ha più la forza per assicurare che domani ci sia qualcuno in grado di aprire una sede, di affiggere un manifesto, di effettuare un volantinaggio e pure di mettere un like su Facebook. Ma scendiamo un poco più sul concreto...

Il caso di Unione Popolare

Qui a Lcf non siamo usi praticare lo sport dello “scaricabarile”. Prendiamoci pure la responsabilità nel corso degli anni di aver promosso, di aver lottato per aprire diverse esperienze unitarie dei comunisti e della sinistra anticapitalista e antiliberista in generale: così è stato ai tempi di Potere al Popolo; così è stato recentemente con Unione Popolare.

Non siamo stati tra i “grilli parlanti” sdegnosi che non ci avevano mai creduto e che hanno avuto pure il vantaggio di rimanersene comodi sul divano dei commentatori.

Anche recentemente, abbiamo scelto di appoggiare per quel che potevamo (pochissimo purtroppo) le campagne elettorali di Unione Popolare, non risparmiando critiche dove ci sembrava necessario... e in realtà ci sembrava molto necessario perché era evidente che la fragilità maggiore di questa formazione fosse la mancanza assoluta di democrazia e pertanto la sua assoluta inagibilità da parte dei propri militanti e simpatizzanti.

Ora crediamo che la situazione sia dinanzi agli occhi di tutti, anche di quelli più restii a guardarla in faccia: in una fase di debolezza e di isolamento estremo non si riesce a ottenere nemmeno l’attenzione della propria classe di riferimento che ha altri “cavoli per la testa” che mettersi a votare per dei volenterosi privi di prospettive realistiche di successo.

In questa contingenza, pertanto, diventa “vitale” galvanizzare i propri militanti e simpatizzanti facendoli sentire padroni in casa propria (scusate lo slogan di origine ignobile), dandogli modo di scegliersi linea politica e dirigenti.

Nel caso di Unione Popolare era decisivo da tempo che si consentisse un tesseramento autonomo dalle due formazioni principali che la compongono: Rifondazione Comunista e Potere al Popolo.

Non è una cosa rivoluzionaria: la fanno in Francia i sostenitori di France Insoumise a cui si dice di ispirarsi e anche in Spagna i compagni di Izquierda Unida.

La necessità costituente di un fronte ampio

Nel caso assai sfortunato, ma assai probabile, che Unione Popolare non accolga l’invito a dar voce ai senza tessera, ai compagni di strada che pure l’hanno supportata nelle due recenti campagne elettorali, convocandoli per un appuntamento costituente che non escluda i militanti di Prc e Pap, ma che consenta di costruire una terza gamba del tavolo Up e permetta l’elezione di un organismo dirigente responsabile nei confronti della base, non rimarrà che rivolgersi direttamente all’universo dei militanti della sinistra di classe.

La domanda è semplice e, ci pare, pure la risposta nel caso specifico: siete soddisfatti di continuare a spendere le vostre energie per singole parrocchiette, sempre più asfittiche e sempre meno interessate alle condizioni dei lavoratori?

Nel caso la risposta fosse negativa, bisognerà iniziare a lavorare da subito per l’autoconvocazione di un fronte ampio anticapitalista e antiliberista che si dia un programma minimo di resistenza alla guerra, al carovita che ne consegue, per la ricostruzione di uno stato sociale degno di questo nome, per il lavoro.

E anche per un’organizzazione politica in grado di rilanciare queste battaglie.

Le forme, le modalità, i tempi della costruzione del fronte ampio saranno da discutere insieme con tutti i compagni di buona volontà e non rassegnati.

Noi ci siamo (come sempre).

18/02/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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