Quali lezioni trarre dalle elezioni negli Stati Uniti?

La sinistra statunitense e i settori delle classi subalterne, che si sono giustamente mobilitate contro Trump, non debbono credere di aver favorito l’affermazione di un governo amico, né dovranno schierarsi in sua difesa dinanzi all’opposizione della destra radical.


Quali lezioni trarre dalle elezioni negli Stati Uniti?

Alla fine il grande pericolo di una rielezione di Donald Trump è svanito. Anche il fantasma di un Trump che, non accettando il risultato a lui sfavorevole, lo rovesci grazie alla Corte suprema si è dissolto, dopo che non solo il Deep State, i mercati e gli altri Stati sembrano aver riconosciuto la sconfitta di Trump, ma persino il grande network a lui più favorevole, Fox news ha dovuto riconoscere la sua sconfitta. Sostanzialmente, ma questo era prevedibile, resta soltanto Trump e i suoi fedelissimi come Rudolph Giuliani a non accettare la sconfitta, parlando apertamente di presunti pesanti brogli ai loro danni. 

Il fatto che la classe dominante ha di fatto abbandonato Trump al suo destino, dipende essenzialmente dal fatto che gridando ai brogli mette seriamente in discussione l’egemonia degli Stati Uniti che, in particolare dopo la vittoria nella guerra fredda, si sono imposti come principale giudice della validità delle elezioni negli altri Stati. Evidentemente le denunce, per altro infondate di Trump, rischiano seriamente di mettere in discussione tale importantissimo ruolo. 

L’importanza della sconfitta di Trump è dimostrata nel modo più esemplare dalle lacrime in diretta di un giornalista afroamericano della Cnn alla notizia della sua sconfitta, il quale ha ricordato che negli anni precedenti, essendo il razzismo sdoganato dallo stesso presidente, non c’era giorno che non subisse qualche manifestazione di odio razziale.

Altri aspetti significativi sono che i repubblicani, come del resto era previsto, non riprendono il controllo della Camera dei deputati, ma rischiano di perdere, dopo sei anni di maggioranza, anche il controllo del senato. Per concludere con gli aspetti positivi di queste elezioni occorre ricordare che i candidati più di sinistra sono stati rieletti guadagnando diversi voti e ne sono stati eletti una decina di nuovi. Infine, i referendum tenuti in concomitanza con le elezioni hanno visto ovunque soccombere le forze reazionarie.

Fra gli aspetti più allarmanti vi è che il conservatore democristiano Joseph Biden è il presidente più votato di sempre e lo sconfitto Trump risulta il secondo più votato! Trump, inoltre, non solo non ha perso consensi – nonostante tutto ciò che ha combinato come presidente, nonostante la gestione disastrosa della pandemia, che ha visto gli Stati Uniti divenire la nazione più colpita anche dal punto di vista economico – ma ha addirittura incrementato, in modo non indifferente, i propri voti. Inoltre negli Stati chiave per la vittoria di Biden, potrebbe essere stata determinante la presenza di una terza candidata, sempre in rappresentanza della destra radicale, che ha raccolto più voti della differenza fra quelli che hanno permesso a Biden di imporsi su Trump. 

A conti fatti nella prima potenza mondiale abbiamo quasi la metà dei cittadini che votano per un candidato ultra reazionario e l’altra metà che vota per un candidato ultra conservatore. Al punto che in campagna elettorale il candidato democratico ha rassicurato i suoi ricchi finanziatori che la sua vittoria non avrebbe cambiato nulla. Per altro, Biden ha combattuto una vera crociata contro la proposta della sinistra di una copertura medica universale, nonostante sia in atto una spaventosa pandemia che sta mietendo decine di migliaia di vittime in pazienti che non possono permettersi accurate cure mediche.

Senza contare che Biden, il più anziano presidente di sempre, mostra segnali preoccupanti di demenza senile. D’altra parte, niente di buono c’è da aspettarsi nemmeno dalla vicepresidente che, sebbene sia la prima donna e la prima afroamericana eletta a questa carica, ha fatto carriera contribuendo alla carcerazione di massa degli afroamericani ed è una sostenitrice sfegatata dello Stato sionista d’Israele, uno dei più reazionari del mondo. 

Per altro, nonostante gli sforzi di Trump per sabotarle, le elezioni hanno indubbiamente, considerato il numero mai così elevato di elettori, restituito lustro nella coscienza comune al parlamentarismo borghese in profonda crisi di credibilità da decenni.

Inoltre l’affermazione dei democratici significa certamente un significativo rilancio dell’egemonia statunitense a livello internazionale, dopo la fase di crisi dovuta alla presidenza Trump. Il che significa, quasi certamente, il rilancio delle (contro)rivoluzioni colorate e delle guerre umanitarie, divenute poco credibili durante la presidenza di Trump. Mentre la posizione filosionista di presidente e vicepresidente non porteranno significativi cambiamenti nelle criminali politiche portate avanti dall’amministrazione Trump in Medioriente. Per altro il fatto che Trump sia riuscito a incrementare in maniera abbastanza significativa i propri consensi, pur portando avanti una politica apertamente di destra radicale, presumibilmente spingerà in questa direzione anche i suoi tanti fans a livello internazionale. Mentre, al contrario, la posizione ultra centrista portata avanti da Biden, favorirà l’ulteriore deriva a destra delle forze “progressiste”.

Inoltre, la grande mobilitazione delle forze di sinistra e di settori significativi delle classi subalterne per impedire la vittoria di Trump, dinanzi alle politiche certamente antipopolari che porterà avanti l’amministrazione democratica, rischia di favorire una ripresa dell’astensionismo fra le forze contrarie ai repubblicani, favorendo così la riconquista del potere legislativo ed esecutivo da parte della destra, che già si è assicurata per molti anni il controllo del potere giudiziario

Un altro aspetto certamente controproducente sul piano internazionale dell’affermazione dei democratici sarà l’indebolirsi delle contraddizioni fra potenze imperialiste, alimentate dalla posizione isolazionista di Trump, rilanciando – a partire dalla Nato – l’aggressività delle forze imperialiste contro i paesi e le forze che si battono per un mondo multipolare.

Il rischio che si correrà – come abbiamo visto in Italia dopo che è sfumata la conquista del governo da parte di Matteo Salvini – è un governo, percepito dalla coscienza comune come alternativa progressista, che farà politiche antipopolari, con il rischio di dare credibilità dinanzi all’opinione comune, sempre più priva di coscienza di classe, all’opposizione della destra quale unica realistica alternativa. Rafforzando così tanto la componente della borghesia che è al governo, quanto la componente della stessa borghesia che appare come la più credibile opposizione

Detto questo, naturalmente non significa cadere nella trappola del tanto peggio tanto meglio. Anzi va certamente dato il dovuto riconoscimento a quella parte della sinistra e delle classi oppresse che, dinanzi al fatto che l’unica alternativa alla conferma di Trump sul piano elettorale fosse rimasto Biden – che aveva con tutto l’appoggio dell’establishment democratico affondato l’unica reale alternativa, rappresentata dalla candidatura di Bernie Sanders – hanno dato un contributo decisivo alla sconfitta sul piano elettorale della destra radicale repubblicana. 

D’altra parte, il grande rischio da cui deve guardarsi la reale sinistra e le classi subalterne è l’illusione che l’unica reale e credibile alternativa al governo della destra radicale sia la costruzione di un fronte unico intorno a un candidato conservatore e democristiano come Biden. In tal modo si creerebbe, come purtroppo sta avvenendo in molti paesi a capitalismo sviluppato e non solo, la situazione maggiormente favorevole al partiti del (dis)ordine borghese, ossia che la sola reale alternativa per le classi subalterne sarebbe quella di porsi al rimorchio dei settori conservatori della classe dominante, per sbarrare la strada ai reazionari. Non dimentichiamo come questo sciagurato errore abbia portato la socialdemocrazia tedesca a favorire la conquista del potere da parte del nazismo.

La sinistra statunitense e i settori delle classi subalterne, che si sono giustamente mobilitate contro Trump, non debbono nemmeno per un momento credere di aver favorito l’affermazione di un governo amico, o quantomeno neutrale, né dovranno schierarsi in sua difesa dinanzi all’opposizione della destra radicale. Al contrario dovranno da subito opporsi al nuovo governo che, appena eletto, ha cercato subito di ricucire le contraddizioni apertesi nella classe dominante a causa delle elezioni. Soltanto con un forte rilancio della lotta di classe dal basso e con la creazione di una credibile e reale opposizione di sinistra, si potrà realmente sfruttare a proprio favore l’avere favorito l’elezione di un governo conservatore dinanzi al reale rischio di veder confermato un presidente reazionario.

Allo stesso modo le forze progressiste internazionali non dovranno farsi condizionare negativamente da quanto avvenuto negli Stati Uniti, puntellando o anche sostenendo dall’esterno le forze conservatrici della classe dominante, per sbarrare la strada alle forze reazionarie. Proprio al contrario si tratterà di fare di tutto per prendere le distanze da entrambi, dimostrando a tutti gli oppressi e i subalterni che si tratta di due facce della stessa medaglia, dello stesso blocco sociale, dello stesso imperialismo. Per cui – per quanto sia decisivo per le classi dominate saper sfruttare le contraddizioni all’interno del fronte imperialista – questo non deve mai portare a fidarsi del poliziotto buono, dinanzi alle evidente malefatte del poliziotto cattivo. Bisognerà, al contrario, avere sempre ben presente che anche la componente più progressista del nemico di classe sempre un nemico resta. Tanto è vero che, seguendo Lenin, bisognerebbe sempre ricordarsi che la vittoria della componente di “sinistra” del blocco sociale dominante costituisce comunque la soluzione migliore per le forze realmente rivoluzionarie, in quanto potranno denunciare e far prendere coscienza alle masse sfruttate, ma prive di coscienza di classe, che sempre del nemico da combattere si tratta e non di un presunto alleato o, peggio, di un amico che sbaglia.

Infine, per comprendere se gli eletti maggiormente progressisti possano essere dei potenziali alleati delle classi oppresse e subalterne, o costituiscano semplicemente la sinistra del blocco sociale dominante, sarà indispensabile osservare attentamente il loro modo di stare nelle istituzioni. In altri termini, si tratterà di capire se la loro presenza è funzionale a denunciare dall’interno le istituzioni borghesi come antidemocratiche e funzionali alla dittatura della classe dominante o, al contrario, sarà funzionale a illudere gli oppressi che le istituzioni – su cui si regge il domino di classe che li opprime – siano realmente democratiche e consentano di modificare dall’interno il potere costituito, dando spazio alla distopia piccolo borghese per cui sarebbe possibile un capitalismo dal volto umano.

14/11/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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