Ritorno al cottimo

Nella forma del cottimo, oggi, non rientrano più solo quelle voci della busta-paga commisurate ai pezzi prodotti dal singolo o dal gruppo omogeneo di lavoratori, e neppure solo i premi di produzione. La grande messinscena della cosiddetta partecipazione del salario al profitto o al risultato d’impresa va riguardata con la massima diffidenza, essendo codesta la più insidiosa forma contemporanea di cottimo.


Ritorno al cottimo

Nella forma del cottimo, oggi, non rientrano più solo quelle voci della busta-paga commisurate ai pezzi prodotti dal singolo o dal gruppo omogeneo di lavoratori, e neppure solo i premi di produzione. La grande messinscena della cosiddetta partecipazione del salario al profitto o al risultato d’impresa va riguardata con la massima diffidenza, essendo codesta la più insidiosa forma contemporanea di cottimo. Questo cottimo è cottimo corporativo, nel senso che subordina gli interessi dei lavoratori salariati a quelli dei padroni, coartandoli, attraverso l’usurpazione della rappresentanza sindacale con il concorso istituzionale, nella finzione di un obiettivo comune

La crisi occupazionale, la riproduzione dell’esercito di riserva e la riduzione degli spazi di autorganizzazione e di lotta sono stati, cioè, passi preventivi per attuare la nuova organizzazione del lavoro e applicare limitatamente le nuove tecnologie. Originato, perciò, sul terreno della nuova organizzazione internazionale del lavoro, lo scheletro culturale neocorporativo marchia termini di uso comune, quali partecipazione, professionalità, solidarietà, interinale, ecc. con propri significati in cui si addensa, non immediatamente visibile, il massimo ricatto consensuale sul lavoro. Quest’ultimo viene smembrato anche dai brandelli terminologici, atti a nascondere l’intrinseca realtà del sostanziale rapporto cottimistico in cui si racchiude, in modo più esasperato: a) il prolungamento della giornata lavorativa nell’aumento della intensificazione dei ritmi, b) la capacità di rendimento lavorativo che diviene la misura del salario, non già la quantità di tempo c) l’autocontrollo nel rispetto degli obiettivi esclusivamente aziendali.

Inoltre con la flessibilità oraria, l’attività lavorativa è concentrata e diluita secondo le esigenze del sistema produttivo, sui ritmi del quale i lavoratori devono sincronizzare il tempo di vita proprio e dei familiari. Nelle direttive sulla flessibilità oraria si mantiene come limite unicamente il tempo di riposo, senza considerare anche le necessità di svago o il tempo da dedicare ai legami affettivi. Si rileva, e il fenomeno è particolarmente accentuato nei paesi anglosassoni, che l’aumento di flessibilità nella prestazione lavorativa ha trasformato profondamente i tempi delle famiglie coinvolte. Ne risentono i rapporti familiari, come evidenziato dall’incidenza dei divorzi. Le famiglie che tentano di darsi organizzazione per sopperire alla scarsità del tempo rimasto, predispongono una specie di scadenzario dei compiti familiari, turni suddivisi tra marito e moglie, una pianificazione della conduzione familiare. 

Il limite oltre cui aumenta l’aggravio per la condizione fisica del lavoratore è calcolato non più su base giornaliera, ma settimanale, mensile o annuale. L'art. 18 dello Statuto dei lavoratori affermava il diritto del lavoratore a una stabilità reale. La giurisprudenza ha inteso la stabilità in senso lato come diritto ad avere un orario di lavoro, una mansione, una sede di lavoro il più possibile stabili, necessari per disporre di un tempo libero e organizzare una vita affettiva e famigliare. Si diceva, nel 1855 in Australia, 8 ore di lavoro, 8 ore di svago, 8 ore per dormire; nel 1867, nello stato dell’Illinois, divenne legge nel giorno del primo maggio. Dove è finito il tempo di svago dei lavoratori? Tanto lo vogliono ridurre al lumicino che non se ne parla più; nei documenti si parla solo di tempo di riposo. Le maggiorazioni per lavoro straordinario, festivo o notturno, le indennità di trasferta, le indennità di disponibilità per i casi in cui la persona deve essere reperibile fuori orario di lavoro, possono intendersi come risarcimento pecuniario delle condizioni di lavoro che non rispettano questi criteri di stabilità. Allo stesso modo, possono intendersi le limitazioni previste dalla legge e dai contratti collettivi di lavoro in materia di trasferimenti di sede, ristretti a "comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive". Se il lavoratore ha diritto a una stabilità reale, le varie forme di flessibilità devono essere indennizzate quale titolo "risarcitorio" per il minore esercizio di questo diritto alla stabilità. Nella flessibilità oraria, un concetto di soglia che marca il passaggio in prestazione straordinaria esiste, ma entra in gioco al superamento della media (settimanale, mensile, annuale). In tal modo il ciclo fisiologico entro cui il lavoratore deve completare il recupero delle sue energie rischia di essere compromesso. Peggiorano, inoltre, le condizioni psicofisiche del lavoratore che deve riprodurre quotidianamente le condizioni fisiche necessarie allo svolgimento del suo lavoro. Nell’arco delle ventiquattro ore egli consuma le sue energie e le recupera nell’alimentazione, nel riposo, nelle relazioni familiari e nelle sue attività personali. Se la soglia del riposo è spostata allo scadere della media (che nel migliore dei casi è calcolata su un intervallo settimanale), il ciclo fisiologico giornaliero entro il quale il soggetto deve necessariamente completare il recupero delle sue energie psicofisiche è compromesso. È bene ricordare che l’art. 36 della costituzione riconosce che per la tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore, oltre alla limitazione delle 8 ore giornaliere di lavoro (allo scadere delle quali scatta il recupero fisiologico giornaliero), il lavoratore ha diritto a un giorno di riposo settimanale. L’effetto dello straordinario, nell’attuale regime di flessibilità oraria è quanto mai gravoso e mascherato tramite l’indistinta valutazione della sua quantità sulla media nel periodo di riferimento. Ma con questo abile artificio si supera il limite orario legale giornaliero delle 8 ore, oltre il quale aumenta l’aggravio per la condizione fisica del lavoratore. Il concetto stesso di prestazione straordinaria viene snaturato. Le controriforme dei governi di centrodestra e centrosinistra, ispirate dall’Unione europea, hanno fatto sì che le stesse 13 ore giornaliere non sono un limite invalicabile, poiché sono previste deroghe alla trattativa contrattuale tra le parti, finanche al livello aziendale. Si supera così il rdl del 1923 che fissava la durata massima giornaliera in 8 ore lavorative + 2 di straordinario (oltretutto lo straordinario è volontario, sottoposto ad accordi tra parti, mentre la flessibilità il lavoratore la deve erogare).

In altri termini, la strategia del capitale tende continuamente ad allungare la parte della giornata lavorativa eccedente la parte impiegata per riprodurre i mezzi di produzione impiegati. In modo più o meno spontaneo, la flessibilità favorisce lo scopo ultimo dell’accumulazione del capitale, ossia mettere in grado il capitalista di rendere liquida, con il medesimo esborso di capitale variabile, una maggiore quantità di forza lavoro. Dunque, i due poli della medesima unità dialettica sono: l’aumento di lavoro e la diminuzione di salario, la cui sintesi è la maggiore quantità di pluslavoro non pagato

La flessibilità del lavoro e del salario poggia su queste rigide basi del capitale. Nel suo sviluppo il modo di produzione capitalistico tende a disarticolare il lavoro vivo in funzione di una sua ricomposizione capace di massimizzarne la tensione, per consentire al capitale di fruire di tutto il tempo dei lavoratori come tempo di lavoro e di pluslavoro effettivo. Cosicché, con questa operazione di sostituzione di forma del salario, in corrispondenza dell’opportuna riorganizzazione capitalistica del lavoro, verrebbe a mancare addirittura il termine di riferimento cui commisurare il salario: il tempo, appunto. Nelle fasi e nei luoghi dell’accumulazione imperialistica, il lavoro non ha tempo perché la sua flessibilità dissolve il tempo, lo rende irriconoscibile. Codesta irriconoscibilità deturpa il contratto di lavoro salariato, che appare svincolato dal tempo di lavoro e vincolato al rendimento. Cosicché anche la remunerazione del lavoro sia, appunto, a rendimento, a cómpito o cottimo, e non più a tempo: tempo che, così dissolto, diviene ineffabilmente irriducibile. Il misuratore dell’uso della forza-lavoro, il tempo, dilegua entro l’informatizzazione, esaltata come tecnologia neutrale, entro gli straordinari negati, non monetizzati, arbitrariamente sublimati in ferie. 

Dato il salario a cottimo è naturalmente interesse personale del lavoratore impegnare la propria forza-lavoro con la maggiore intensità possibile, il che facilita al capitalista un aumento del grado normale dell’intensità. Ed è allo stesso modo nell’interesse personale del lavoratore prolungare la giornata lavorativa, perché così cresce il suo salario giornaliero o settimanale. Inoltre il lavoro dopo le 8 ore non è più riconosciuto necessariamente quale straordinario. L’applicazione della flessibilità oraria incide sulle condizioni di estrinsecazione dell’attività lavorativa, aggravandone il peso. Ciò che precedentemente veniva riconosciuto e sanzionato come aggravio della condizione fisica del lavoratore viene abilmente aggirato e celato. Con l’introduzione della flessibilità il limite della prestazione lavorativa ordinaria è superato dall’orario elastico, scompare la soglia giornaliera oltre la quale si “entrava in straordinario”. Il lavoro straordinario, non retribuito come tale, diviene la regola ogni qualvolta sia necessario completare un lavoro, salvo poi recuperarlo nelle ferie imposte.

Da una parte, il salario a rendimento facilita l’inserimento di intermediari fra capitalista e lavoratore salariato, cioè il subaffitto del lavoro mediante agenzie interinali. Il guadagno degli intermediari deriva dalla differenza fra il prezzo del lavoro pagato dal capitalista e quella parte di questo prezzo che essi lasciano realmente pervenire al lavoratore. Il superamento delle rigide regole dei contratti nazionali consente il rifiorire di agenzie interinali ovvero di collocamento, che tendono a far sparire il rapporto antagonistico, nella separatezza completa tra proprietà dei mezzi di produzione e salariati. Dall’altra parte, il salario a cottimo permette al capitalista di concludere con il capo-operaio un contratto per tanti e tanti articoli a un prezzo, per il quale il capo-operaio stesso si assume l’arruolamento e il pagamento dei suoi operai ausiliari. Lo sfruttamento dei lavoratori da parte del capitale si attua qui mediante lo sfruttamento del lavoratore da parte del lavoratore.

22/10/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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