Editoriali

Dal punto di vista del proletariato, dotato di coscienza di classe e dell’unica ideologia radicalmente alternativa in senso progressista alla dominante, ovvero dal punto di vista del marxismo, lo smart working non è altro che la riproposizione da parte del neoliberismo imperante della modalità di lavoro che già Marx denunciava come la più consona al concetto di capitale, ovvero il lavoro a cottimo.

Sino a che dominerà il modo di produzione capitalista, tutti i lavoratori salariati saranno sfruttati il più possibile, saranno retribuiti il meno possibile – ossia quanto è necessario alla classe dei proletari per riprodursi come tale –, la sicurezza sui luoghi di lavoro sarà sacrificata alla brama di profitto e la scienza, la tecnica e il general intellect saranno oggettivamente sussunti agli interessi di chi possiede in modo monopolistico i mezzi di produzione e domina come classe lo Stato.

Gli oppressi e i subalterni potranno aver successo, in un conflitto in cui contano essenzialmente e necessariamente i soli rapporti di forza, esclusivamente se saranno in grado di costruire un blocco sociale antagonista a quello dominante molto più ampio e unitario dal punto di vista nazionale e internazionale.

Il coraggio di lasciare la propria terra è mistificato da chi utilizza strumentalmente uno stato di svantaggio per fomentare una politica dell’esclusione.

Le potenze imperialiste “democratiche” sono sempre più intenzionate, pur di mantenere il proprio predominio sul piano internazionale, a dichiarare una nuova guerra fredda contro quei paesi che – non fosse altro che per le loro dimensioni e a loro storia – non possono che aspirare a un mondo multipolare.

Una sintetica riflessione dialettica sui vari e complessi aspetti che coinvolgono l’ennesima uccisione di una donna.

Nella British Columbia, la Sterilization Law, approvata nel 1933 e tuttora in vigore, ha consentito sterilizzazioni di massa su interi gruppi di bambini indigeni; ancora oggi, molte donne indigene che si recano in ospedale per partorire restano vittime di strategie subdole e tornano a casa sterilizzate contro la loro volontà, come già denunciato da Amnesty International.

L’imperialismo occidentale capeggiato dagli Stati Uniti sostiene da sempre – e ancor di più dopo la dissoluzione dell’Urss – più o meno indirettamente dei colpi di Stato contro i governi non allineati, che l’informazione mainstream fa passare per “rivoluzioni” popolari contro regimi dipinti come totalitari.

Affinché la prospettiva democratica di un unico Stato multietnico e laico per palestinesi ed ebrei divenga effettivamente realistica, ci sarebbe bisogno di un radicale mutamento dei rapporti di forza, in quanto gli occupanti manterranno i loro privilegi sino a quando non diverrà per loro controproducente tenerli in vigore.

Ci sono ragioni oggettive per sostenere la lunga lotta del popolo palestinese che continua a essere massacrato sotto i nostri occhi.

Solidarizziamo con il popolo palestinese che subisce l’ennesima aggressione da parte di Israele, mentre quasi tutti fingono che si tratti di uno scontro tra pari.

Dopo le ultime vicende luttuose siamo costretti a parlare ancora di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Mentre aumentano infortuni e malattie professionali andrebbe ridiscusso il ruolo dei rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza ormai privo di reale forza.

In un Primo Maggio a scarsa agibilità, il piano italiano di ripresa e resilienza costituisce un’occasione mancata. Si privilegiano le grandi opere, si devasta il territorio, si intensifica lo sfruttamento e la sanità langue.

In tutti i paesi dell’Est Europa, che hanno vissuto la restaurazione liberista, la speranza di vita è crollata e il tasso di mortalità è salito alle stelle con 18 milioni di morti aggiuntive nei paesi ex socialisti, di cui 12 milioni in Russia, dove la speranza di vita maschile è crollata a soli 57 anni, ossia tre in meno dell’India.

Come editoriale di questa settimana, vogliamo dare voce alla testimonianza di un giovane lavoratore sul grado di sfruttamento e sulle condizioni di lavoro disumane praticati nella filiera del più grande colosso mondiale delle vendite online.

Mentre in nome dello stato di emergenza per la pandemia si continua a limitare l’agibilità sociale e politica dei cittadini, la violenza imperialista statunitense non subisce alcun limite e anzi si consolida, con il supporto di bravi sudditi come l’Italia.

È urgente costruire un vasto fronte di opposizione al governo delle banche. Sulla politica economica, quando non ne era ancora il primo responsabile, Draghi si era pronunciato in sede di G30: favorire la centralizzazione dei capitali, incrementare la disoccupazione, sostegno pubblico alle imprese ma senza ingerenze nella loro gestione, ridurre al minimo i rischi per le banche e far decidere loro quali imprese salvare.

Come avevamo da subito fatto notare, per quanto non si potesse che essere felici della sconfitta di Donald Trump, l’amministrazione Biden rischia di essere una forma di imperialismo democratico ancora più aggressivo in politica estera della precedente.

I 150 anni della Comune di Parigi, fare chiarezza al di fuori dell’immaginario idealizzato in cui spesso si trovano i fatti del 1871.

Nella prima potenza mondiale, un ex presidente che ha recentemente scatenato l’assalto degli estremisti di destra contro il suo stesso parlamento è osannato dalla grande maggioranza degli elettori del partito più potente degli Stati Uniti, tanto che già si pensa alla candidatura alle prossime presidenziali di un esponente ancora più a destra dello stesso Trump.

In piena continuità con Trump. l’amministrazione democratica Biden continua negli “omicidi mirati” dei membri della resistenza, impegnati in prima linea a contrastare l’Isis, per rafforzare l’alleanza con un regime dispotico, guidato dal mandante dell’omicidio Khashoggi, e con una potenza occupante che continua a rafforzare il suo arsenale atomico

Un ardito parallelo: Mario Draghi assomiglia a Gobseck, lo straordinario personaggio di Balzac?

Dopo l’assoluzione da parte del Senato Trump promette di tornare alla politica. La rivolta del 6 gennaio si configura come una minaccia che è stata raccolta.

Non essendo stati eletti da nessuno e non dovendo rispondere del proprio agire politico dinanzi alla sovranità popolare, i governi cosiddetti tecnici non hanno nemmeno il bisogno dell’occultamento dietro le forme della rivoluzione passiva.

La crisi di governo aperta da Renzi mira a rappresentare pienamente gli interessi dei poteri forti, in altre parole una dittatura ancora più aperta del grande capitale senza nemmeno quelle misere misure di rivoluzione passiva necessarie al governo Conte per mantenere l’egemonia sulle classi dominate.

Chi oggi nella Commissione Ue ha la responsabilità di negoziare i termini dei contratti segue una logica neoliberale che porta l’istituzione a interagire alla pari con le case farmaceutiche, quando invece il rapporto dovrebbe essere fondato sulla subordinazione nel nome dell’interesse pubblico.

La gravità della crisi acuisce la lotta tra borghesia e proletariato e tra grandi e piccoli capitali, sottomette ancora di più lo Stato al mercato e accentua la trasformazione bonapartista della politica. Per questo serve un programma minimo che unisca gli sfruttati e dia impulso alla costituzione del partito comunista.

La pretesa statunitense di esportare la democrazia è ideologica e nasconde la volontà di imporre la propria democrazia, quella per il popolo dei signori.

I lavoratori dotati di un minimo di coscienza di classe dovrebbero essere consapevoli che il lavoro a distanza comporta un’occupazione tendenzialmente a cottimo, a progetto, un tasso più elevato di autosfruttamento e, quindi, una riduzione del tempo da dedicare alla riproduzione della propria forza lavoro.

Lo scenario di fine anno presenta un’accelerazione, con le tensioni indotte nella maggioranza da Italia Viva al presidente del Consiglio che esprimono una lotta interna alla borghesia in vista di nuovi equilibri. Necessario un programma minimo dei comunisti per riaggregare un blocco sociale e un fronte politico anticapitalista.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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