Tutte le ragioni per cui stiamo con la Palestina

Ci sono ragioni oggettive per sostenere la lunga lotta del popolo palestinese che continua a essere massacrato sotto i nostri occhi.


Tutte le ragioni per cui stiamo con la Palestina

Purtroppo tutti i mezzi di comunicazione non fanno che creare confusione e mistificazioni per impedirci di comprendere cosa sta succedendo in questi giorni drammatici in Medio Oriente. Per questo motivo ho deciso di indicare brevemente quali sono le ragioni per le quali noi stiamo dalla parte dei palestinesi e auspichiamo la loro autodeterminazione e indipendenza.

Prima ragione. Non siamo antisemiti, perché anche i palestinesi sono semiti, ma siamo antisionisti. Gli ebrei sono detti semiti per il semplice fatto che parlano una lingua, simile a quella araba, che fa parte della famiglia linguistica semitica. Dal momento che noi stiamo con i palestinesi e guardiamo con ribrezzo ai tutti i crimini di cui sono stati oggetto gli ebrei, non siamo antisemiti, ma (le parole contano e bisogna imparare a usarle) antisionisti. Questi ultimi costituiscono quel gruppo di individui di religione ebraica, inizialmente una minoranza, che sostiene di aver ricevuto gran parte del Medio Oriente direttamente da Dio e che considera cittadini dello Stato di Israele solo coloro che sono di religione ebraica. Queste pretese sono inaccettabili oltre che giuridicamente inammissibili. 

In realtà i sionisti ottennero la Palestina dai britannici che contemporaneamente l’avevano promessa agli arabi in cambio del sostegno dato da questi ultimi alla sconfitta dell’impero ottomano, che la occupava. Nel 1916 si erano anche messi d’accordo con i francesi per ridisegnare tutto il Medio Oriente con l’accordo segreto Sykes-Picot, dando vita a una serie di Stati eterogenei e instabili. Dalla fine della Prima guerra mondiale al 1948 la Palestina rimase sotto il mandato britannico.

Un passo importante per i sionisti fu fatto con la dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917, in cui è delineata la spartizione dell’impero ottomano alla fine della Prima guerra mondiale. Si tratta di una lettera, scritta dal ministro degli Esteri inglese Arthur Balfour e inviata a Lord Lionel Rotschild, in quanto significativo esponente della comunità ebraica inglese e del movimento sionista. In essa Balfour affermava che il governo britannico non avrebbe ostacolato la creazione di una sede nazionale per il popolo ebraico in Palestina, se fossero stati garantiti i diritti delle altre minoranze ivi stanziate da secoli.

Come è noto, pur mantenendo il senso della loro identità, gli ebrei erano e sono tutt’oggi sparsi in tutto il mondo a causa della cosiddetta diaspora, che ebbe inizio quando nel 70 d.C. l’imperatore Tito conquistò Gerusalemme, che successivamente fu completamente distrutta dall’Imperatore Adriano, il quale proibì agli ebrei di continuare a vivere in quei luoghi.

Gli ebrei sono stati criminalizzati per due millenni dal cristianesimo, che li ha considerati un popolo deicida, accusa che è stata eliminata solo con il Concilio Vaticano II negli anni ’60. In Europa in tutto questo lunghissimo periodo gli ebrei sono stati costretti a vivere nei ghetti, che esistono ancora a testimonianza di quel lugubre passato, e in cui la notte venivano rinchiusi, sono stati obbligati a svolgere solo certe attività, riuscendo a brillare in quella intellettuale, sono stati oggetto di pregiudizi, di false accuse quali quella per esempio di uccidere bambini cristiani per berne il sangue. Come nella storia è accaduto alle minoranze etniche o ai popoli conquistati (ciò non significa sminuire un crimine di tal fatta), nei vari paesi europei sono stati linciati, massacrati, uccisi in massa nei pogrom.

Con l’avvento del nazifascismo, che promulgò le leggi razziali e affermò la supremazia dell’inesistente razza ariana, ebbe luogo l’olocausto, ovviamente una tragedia raccapricciante che però viene sempre menzionata evitando di ricordare al contempo i tanti olocausti che hanno scandito la storia umana, tanto che per qualcuno essa costituisce una vera e propria macelleria. Ricordiamo per esempio lo sterminio popoli autoctoni, quali gli amerindiani, gli aborigeni australiani, i tasmaniani, la tratta degli africani, il reclutamento forzato dei coolies in Cina etc.

Nel Medioevo gli ebrei furono particolarmente vessati dall’Inquisizione e costretti a convertirsi al cattolicesimo, per essere poi cacciati nel 1492 dal regno di Castiglia e Aragona, nel 1496 dal Portogallo, nel 1540 dal regno di Napoli e via di seguito. Nella Russia meridionale gli ebrei cazari arrivarono a costituire un principato durato fino all’anno 1000.

Secondo molti storici nei domini arabi e islamici gli ebrei si trovavano in condizioni migliori rispetto a quelle europee, benché fossero obbligati a pagare una tassa speciale e non potessero muoversi liberamente.

A partire dal 1870 in Europa gli ebrei cominciarono a prendere coscienza dei loro diritti e cominciarono a organizzarsi per ottenere il pieno riconoscimento politico e civile, osteggiati da ampi settori sociali che si dichiaravano apertamente antisemiti. Nella Russia zarista furono particolarmente vessati e solo con l’instaurazione del potere sovietico furono finalmente equiparati agli altri cittadini.

È specificamente in questo contesto che sorge il sionismo da Sion, altura sulla quale fu fondata Gerusalemme, e che sostiene la costituzione di uno Stato ebraico autonomo con lo scopo di allontanare gli ebrei dalle persecuzioni e dai pregiudizi. Negli ultimi anni dell’Ottocento comincia la migrazione ebraica verso la Palestina e si intensifica durante il mandato britannico e dopo la Seconda guerra mondiale; si insediarono così numerose colonie ebraiche, che furono la base della creazione di Israele avvenuta nel maggio del 1948. 

Già negli anni ’20 la situazione in Palestina si era fatta esplosiva, perché i sionisti lì trasferiti costituirono gruppi militari che organizzavano attacchi e sabotaggi contro i palestinesi residenti e contro gli amministratori britannici e favorivano la continuazione dell’emigrazione ebraica. Lo scopo evidente di tale strategia era quello di incrementare il numero degli ebrei residenti per giustificare la realizzazione del loro obiettivo: la creazione dello Stato di Israele.

Da parte loro, i colonialisti britannici immaginavano che per mezzo dei sionisti avrebbero potuto continuare a controllare quella regione importantissima dal punto di vista strategico e da quello delle risorse. Dopo la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti hanno preso il posto della Gran Bretagna, e usano Israele come loro avamposto imperialistico e lo armano per impedire l’avvento di potenze regionali loro ostili.

Questo evidente legame con l’imperialismo statunitense costituisce la seconda ragione per la quale siamo antisionisti e auspichiamo l’immediata stabilizzazione e pacificazione del Medio Oriente.

Ritornando alla storia, ricordo che il 29 novembre 1947 del con la risoluzione 181 l’Onu decise la spartizione della Palestina, disegnata da una commissione speciale, con il voto favorevole di 33 Stati, quello contrario di 13 (tra cui la Jugoslavia che prevedeva una soluzione federativa) e 10 astensioni. Allo Stato ebraico fu assegnato il 56% del territorio, benché in molti casi gli ebrei restassero una minoranza, ampie regioni disabitate e desertiche per fare spazio a quelli che sarebbero arrivati successivamente. 

Ai palestinesi veniva attribuita la parte restante della regione, nella quale avrebbero dovuto istituire il loro Stato, Gerusalemme sarebbe stata posta sotto il controllo delle Nazioni Unite, i britannici dovevano andarsene entro il primo agosto del 1948. Sia per gli ebrei che per gli arabi. 

Non tutti i sionisti furono soddisfatti di questa soluzione, ce ne furono alcuni che consideravano inaccettabile la costituzione di uno Stato palestinese in una terra che apparteneva a loro dire dai tempi ancestrali agli ebrei e nella quale avrebbe dovuto sorgere il Grande Israele.

Condanniamo questa strategia espansionistica che sta provocando il genocidio dei palestinesi e crea una situazione di instabilità in una regione spogliata dal colonialismo e oggetto negli ultimi decenni delle guerre imperialistiche. Questa è la terza ragione per cui stiamo dalla parte dei palestinesi.
Lo Stato ebraico ricevette anche l’appoggio dell’Unione Sovietica che gli fornì armamenti e dette impulso alla emigrazione degli ebrei dell’Europa orientale, che in pochi anni in 300.000 raggiunsero quelle terre. La prima conseguenza di questa crescita demografica fu l’espulsione di circa 700.000 palestinesi cui è sempre stato rifiutato il diritto a tornare nella loro patria. L’ovvio riferimento è alla Nabka o Catastrofe, avvenuta nel 1948 dopo la nascita dello Stato di Israele.

Dalla riflessione su questi fatti storici ricaviamo la quarta ragione per la quale ribadiamo la nostra solidarietà ai palestinesi. Infatti, non crediamo che, senza nemmeno consultarli, a questo popolo debba essere fatto pagare il conto di tutto quello che gli ebrei hanno sofferto. Qualcuno aveva asserito sarcasticamente che la Germania avrebbe potuto donare loro un lembo della sua terra a scopo di risarcimento. Non sarebbe una cattiva idea.

Come è noto, Israele non ha mai riconosciuto le risoluzioni delle Nazioni Unite prese a difesa dei palestinesi, viola dunque in maniera arrogante il diritto internazionale, comportandosi in maniera spietata contro la frammentata impoverita comunità palestinese e scacciando gli arabi dalle loro case sulla base di titoli di proprietà che risalgono all’epoca dell’impero ottomano. Inoltre, non c’è nessuna proporzione tra gli attacchi palestinesi e le reazioni israeliane: ad oggi i morti palestinesi sono 220, una decina quelli israeliani. 

Oggi la popolazione di Gaza brutalmente bombardata vive nel più grande carcere a cielo aperto del mondo, altri palestinesi vivono in Cisgiordania, collocati entrambi in una sorta di bantustan tra loro incomunicabili. Nel complesso si tratta di 6.100 kq in cui vivono circa 5 milioni di palestinesi separati e controllati da uno degli eserciti più potenti al mondo. Questa separazione e distribuzione geografica non può costituire la base di un ipotetico Stato palestinese che non detiene nemmeno il controllo delle risorse ivi presenti.

Infine, è bene ricordare che Israele è uno Stato teocratico, dato che si è dotato di una Legge fondamentale, secondo la quale Israele è Stato nazionale del popolo ebraico e di nessun altro, inoltre costituisce il luogo deputato all’autodeterminazione solo degli ebrei. Nonostante ciò c’è chi lo definisce una democrazia.

Concludendo, mi pare che abbiamo ragioni da vendere per osteggiare i sionisti e per solidarizzare con i palestinesi, auspicando la creazione di una Palestina libera e autogovernata.

21/05/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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