Afrin resiste, in Siria si muore ancora

I curdi sotto assedio turco si alleano con Assad. Iran e Russia divergono, guerra infinita.


Afrin resiste, in Siria si muore ancora Credits: https://www.flickr.com/photos/kurdishstruggle/

Uno slittamento infinito del conflitto. Dal marzo del 2011, la guerra civile siriana mostra agli osservatori uno scenario di distruzione indicibile, tra stragi, bombardamenti indiscriminati, assedi e sofferenze continue delle popolazioni. Si consumano come fantocci in fiamme gli attori politici di questo interminabile gioco al massacro, iniziato come conflitto interno alla società siriana e avvelenato soprattutto dalla strumentalizzazione operata dall’imperialismo, dal fondamentalismo e in genere dalle ingerenze straniere nel paese. Ma la contesa armata si alimenta comunque di nuovi protagonisti: sostanzialmente terminato il tempo e lo spazio ambiguo dello Stato Islamico, ridottosi il ruolo di Al Qaeda, irrompe nel nord la violenta invasione turca ad opera del regime di Erdogan, mentre nella Ghouta orientale, non lontano da Damasco, si chiude sanguinosamente un’altra pagina dello jihadismo.

La falda instabile

Il fenomeno non avviene ovviamente per “l’intrinseca crudeltà dei costumi orientali”, ma a causa della posizione geopolitica della Siria, collocata al confine tra diverse frontiere etniche e politico-economiche. Il paese ha al sud il suo confine con Israele e il progetto politico coloniale che questa compagine statuale rappresenta storicamente. Sulla direttrice a ovest c’è il Libano, altro mosaico etnico-politico a cui la Siria è strettamente legata. Qui, però, la presenza della numerosa comunità sciita e, soprattutto, del partito Hezbollah legato all’Iran, rappresenta un punto di frizione caldissimo con Israele e uno dei serbatoi del perdurante conflitto siriano.

A est, il confine poroso con l’Iraq, rappresenta tuttora lo sfondo della guerra contro ciò che rimane dell’Isis, ma è il nord, la porta sulla Turchia a rappresentare oggi la massima incognita per la Siria e i suoi popoli. Lì si stende la Rojava o Kurdistan del sud come amano chiamarlo i curdi, il teatro del più interessante rivolgimento sociale avvenuto negli ultimi anni in tutto il Medio Oriente. La rivoluzione femminista, ecologista, democratica propugnata dal Pkk di Abdullah Ocalan e dal suo braccio siriano, il Pyd, Partito dell’Unione Democratica. È per spezzare questa esperienza di autogoverno di donne e uomini, non solo curdi, ma anche arabi, assiri, ecc. che il regime di Ankara il 20 gennaio di quest’anno ha scatenato l’operazione militare denominata sarcasticamente “Ramoscello d’Ulivo”, con l’ausilio di bande di “ascari” fondamentalisti al seguito. Si tratta in sostanza dell’assedio della città di Afrin e dell’occupazione del suo cantone, pensata dai turchi per allargare la breccia che interrompe la continuità territoriale della Rojava curdo-siriana che essi temono possa costituirsi nel nucleo fondativo di un futuro stato curdo. Ipotesi che i dirigenti rivoluzionari della Rojava hanno sempre smentito, proclamando invece la loro intenzione di rimanere nella compagine statuale siriana, ristrutturata in senso federale. È su questa base che il 19 febbraio i curdi e il governo di Damasco hanno trovato un accordo che consente il dispiegamento di forze fedeli al presidente Assad nella regione di Afrin al fine di proteggere la popolazione dall’assalto dei turchi e dei fondamentalisti. Si tratta si una svolta che punta all’integrità nazionale della Siria dalle ingerenze imperialiste, una soluzione che spesso è stata auspicata da questo giornale.

Afrin si configura pertanto come la nuova Kobane, ma la battaglia che vi si sta svolgendo in queste ore avviene nel più totale silenzio dei mass media, nonostante l’assalto dell’esercito invasore turco sia costata la vita a 170 civili fino al 19 febbraio (22 i bambini uccisi fino al 20 febbraio). L’attenzione occidentale è, invece, tutta concentrata sugli scontri nella Ghouta orientale (certamente gravissimi), dove si da grande enfasi alla violenza dei bombardamenti russi e siriani, tralasciando che se è vero che la ferocia è il tratto principale delle guerre civili su ogni versante, le forze ribelli siriane si sono rifiutate di accogliere la proposta russa di evacuazione della popolazione civile e/o dei miliziani armati sulla scorta di quanto avvenuto in casi precedenti come ad esempio ad Aleppo e hanno dato il loro contributo di morte bombardando la capitale siriana con razzi e colpi di mortaio.

Iran e Russia, gli alleati si allontanano

L’accordo tra Assad e la Sinistra curdo-siriana pone in evidenza le contraddizioni della politica estera russa e americana in relazione all’aggressività turca e, infine, allontana i russi dal loro potente alleato iraniano. Mosca e Washington faticano a mantenere l’equilibrio nel pantano siriano; sono costrette entrambe ad essere alleate della Turchia, ma anche dei suoi nemici storici: l’Iran per quel che riguarda la Russia, i curdi per gli Usa (ma soltanto fino alla sponda orientale dell’Eufrate!). Teheran non vede affatto di buon occhio l’espansione turca in territorio siriano. La Turchia è una potenza inserita nella Nato, di matrice sunnita, alleata storicamente con le monarchie reazionarie del Golfo e insieme a loro sostenitrice delle forze jihadiste ostili alle comunità sciite. L’Iran non può accettare che Afrin cada nelle mani di Erdogan e che il nord della Siria diventi un “protettorato ottomano”. Incoraggia quindi la politica di unità nazionale di Assad e indirettamente gli stessi curdi della Rojava nella loro resistenza. La divaricazione tra Russia e Iran costringe Putin ad avere un approccio più equilibrato nella composizione del mosaico siriano e forse offre un maggior respiro alla Rivoluzione avvenuta nel nord della Siria; maggiori possibilità che le sue conquiste influenzino positivamente il futuro assetto indipendente del paese e avvicinino la fine del conflitto in tutta la Siria.

Per questo è però essenziale aiutare la popolazione di Afrin e chiedere la fine dell’aggressione turca, così come una tregua e la sospensione delle ostilità su entrambi i fronti nella Ghouta orientale. In quest’ultimo caso, sembra andare in questo senso la proposta russa di un corridoio umanitario, sebbene finora senza successo, con accuse reciproche di sabotaggio.

Sempre di più, infine, la sorte della Rivoluzione della Rojava coincide con gli interessi della pace, dell’unità e dell’indipendenza della Siria


Sitografia:

http://www.uikionlus.com/siamo-una-cosa-sola-erdogan-si-mostra-indifferente-rispetto-allarrivo-di-truppe-governative-siriane-e-continua-gli-attacchi-contro-afrin/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/02/26/siria-ong-attacco-al-cloro-nella-ghouta-raid-nonostante-la-tregua-10-vittime-le-forze-speciali-turche-entrano-ad-afrin/4188295/

http://www.analisidifesa.it/2018/01/alleati-ma-rivali-la-disputa-tra-russi-e-iraniani-in-siria/

http://www.uikionlus.com/dossier-afrin-bambini-vittime-degli-attacchi-turchi-tra-20-01-e-21-02/

https://anfenglishmobile.com/rojava/avrin-hospital-170-civilians-died-460-were-wounded-in-attacks-25010

https://www.ilpost.it/2018/02/23/afrin-assad-curdi-turchia/

03/03/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Stefano Paterna

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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