Comunisti e sinistra. Per un movimento contro la guerra

 

I venti di guerra che nel corso delle settimane scorse avevano preso a soffiare impetuosi sulle nostre teste si sono apparentemente attenuati. La brace continua ad ardere sul fondo dei due più pericolosi focolai, ma l’incendio non è divampato. Sul fronte continentale c’è una fragile tregua, concordata con Putin nel summit di Minsk da Merkel e Hollande, in assenza di Obama


Comunisti e sinistra. Per un movimento contro la guerra

 

La brace della guerra continua ad ardere sul fondo dei due più pericolosi focolai, Ucraina e Libia. Il quadro resta quanto mai pericoloso, in considerazione dell’inasprirsi dei rapporti internazionali sulla base di una escalation targata Nato. Per questo va posta oggi ad urgente ordine del giorno la rivitalizzazione di un movimento contro il riarmo, contro la Nato e contro la guerra.

di Bruno Steri

I venti di guerra che nel corso delle settimane scorse avevano preso a soffiare impetuosi sulle nostre teste si sono apparentemente attenuati. La brace continua ad ardere sul fondo dei due più pericolosi focolai, ma l’incendio non è divampato. Sul fronte continentale c’è una fragile tregua, concordata con Putin nel summit di Minsk da Merkel e Hollande, in assenza di Obama: per un soffio si è evitato (solo formalmente e per il momento) il peggio. Sul fronte Sud, in direzione delle coste libiche, dopo le intempestive dichiarazioni di qualche ministro italiano, gli establishments dell’Occidente prendono tempo in attesa di decidere il da farsi rispetto al caos da essi stessi evocato a seguito dell’intervento in Libia e dell’assassinio di Gheddafi. 

Così, anche la macchina mediatica riprende fiato, riducendo in pagine interne il consueto martellamento teso a raffigurare gli odierni mostri: una macchina qui da noi alquanto spiazzata dall’estemporaneo viaggio di Renzi in Russia, più che altro sollecitato dalla fibrillazione di industriali e agricoltori italiani, pesantemente penalizzati dai contraccolpi delle ulteriori sanzioni anti-Putin che gli Usa hanno imposto e che l’Unione Europea ha digerito. Il quadro resta quanto mai pericoloso, in considerazione – al di là dell’evolvere della congiuntura – delle tendenze di fondo che lo sostengono, spinte dall’inasprirsi dei rapporti internazionali sulla base di una scoperta escalation targata Nato (e, all’interno di questa, targata Usa). Per questo va posta oggi ad urgente ordine del giorno la rivitalizzazione di un movimento contro il riarmo, contro la Nato e contro la guerra: un compito che, come sempre, chiama in causa in primis la sinistra di classe e, in essa, i comunisti.

E’ possibile che (anche sul versante di una disastrata sinistra) qualcuno si sia distratto e non abbia valutato adeguatamente il decorso degli ultimi due decenni, con l’impennarsi del riarmo pesante e la relativa concentrazione dello stesso attorno alle frontiere russe (circondate da Paesi “opportunamente” entrati nell’Alleanza atlantica): la drammatica vicenda ucraina, iniziata con la defenestrazione di un presidente discutibile quanto si vuole ma legittimamente eletto e con la regia più o meno diretta dei servizi occidentali, è solo l’ultimo e più rischioso tassello di tale involuzione. 

In proposito, è istruttivo leggere ad esempio il recente circostanziato contributo di Antonio Mazzeo L’Ucraina e la Nato-Usa connection. Per un Occidente capitalistico percorso da una pluriannuale e persistente crisi strutturale, in cerca di nuove leve (economiche e militari) su cui rinsaldare la propria egemonia planetaria, non sono state certo buone notizie il volgersi della Russia ad Est, in particolare verso la Cina, e il crescere della sfida globale dei Paesi Brics, con l’inaugurazione di una loro Banca in aperto antagonismo a Banca Mondiale e Fondo monetario internazionale, organismi di stretta osservanza statunitense (una manna per i diseredati del pianeta, come ha giustamente osservato il comunista Fidel Castro). Allo stesso modo, sul fronte Sud e mediorientale, a pochi dovrebbe esser sfuggita la clamorosa ambiguità racchiusa nella chiamata alle armi contro i tagliagole dell’Isis, novello satana cresciuto in stretto e segreto contatto con i servizi segreti Usa nonchè foraggiato da alleati fidati degli Stati Uniti quale è l’Arabia Saudita e obliquamente tollerato da quanti temono soprattutto – vedi la Turchia, Paese Nato – la competizione in quest’area dell’Iran al pari delle mire autonomiste del Pkk e del popolo curdo. Non aggiungo altro: di tutto questo ho avuto modo di parlare più diffusamente in un recente articolo (cfr. Bruno Steri, Ucraina, Isis, Libia: la “fabbrica del falso” torna in azione).

Mi preme invece richiamare l’attenzione sul che fare qui ed ora. I dati analitici sin qui esposti conducono infatti ad un urgente interrogativo che una sinistra, quale che sia, non può aggirare. Detto in sintesi: in che mani siamo? E, conseguentemente, cosa può fare una sinistra che non voglia passivamente attendere che altri continuino a percorrere la strada della promozione di conflitti “a bassa intensità” fino a infilare svolte irreparabili? Pur se, come sinistra, nel nostro Paese non godiamo affatto di buona salute, una cosa è alla nostra portata e possiamo fare: come detto, possiamo e dobbiamo rimetter mano alla costruzione di un movimento largo contro il riarmo, contro la Nato e contro la guerra. Ho partecipato in questi primi mesi dell’anno a numerose iniziative promosse dall’Associazione “Ricostruire il partito comunista nel quadro ampio della sinistra di classe” (www.ricostruirepc.it), nata recentemente sulla spinta di quanti - e non sono pochi - insoddisfatti dell’attuale stato dell’arte, ritengono essenziale la presenza all’interno della sinistra di una forza comunista organizzata (che sia degna di questo nome e non sia un mero riflesso di esperienze generose ma non all’altezza delle odierne urgenze): un’Associazione non settaria, aperta alle comuniste e ai comunisti, comunque collocati (o non collocati affatto). Le iniziative, tutte partecipate oltre ogni aspettativa, hanno visto il tema della pace e della guerra come un tema prioritario. Consideriamo tutto questo come un punto di partenza tra altri: in una congiuntura delicata come quella attuale, nessuno può considerarsi sufficiente a se stesso. La sinistra italiana, la sua storia, non merita la precaria e frammentata condizione in cui oggi versa. Proviamo a rialzare la voce: su una questione generale che, come il tema del lavoro, non ammette esitazioni o ambiguità e che chiama tutti noi a prendere risolutamente partito. 

 

 

 

15/03/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Bruno Steri

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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