La Colombia e la NATO

La NATO sbarca in America Latina


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Mi soffermerò su una notizia e sulle sue ripercussioni in America Latina, cui – come è ovvio – i nostri mezzi di comunicazione di massa hanno dato scarso risalto. Essa è l’annuncio, fatto il 23 dicembre passato dal presidente della Colombia, Juan Manul Santos, premio Nobel per la pace, che il suo paese riprenderà a negoziare con la NATO, per stabilire rapporti di collaborazione, in particolare volti all’intercambio di informazioni e alla lotta contro il crimine organizzato.

Si tratta di una notizia importante perché la Colombia sarebbe il primo paese latinoamericano a stringere un’alleanza con tale organizzazione, protagonista della distruzione e frammentazione di interi paesi come Irak, Yugoslavia, Afganistan, Libia [1]. Santos ha dichiarato anche di auspicare che tale collaborazione sfoci nell’ingresso del suo paese in tale organismo, che come sappiamo fu creato in funzione antisovietica, ma che, nell’acuirsi delle tensioni internazionali, sta estendendo i suoi terribili tentacoli, a tutto il mondo. Tale ingresso consentirà alla Colombia di operare a livello internazionale, avendo già partecipato nel 2009 alle operazioni armate in Afganistan.

In realtà, come si ricava dalla stessa Rivista della Nato, i negoziati tra questa e la Colombia erano iniziati nel 2013, quando era presidente Alvaro Uribe, accusato di aver relazioni con i narcotrafficanti e di essere una pedina degli Stati Uniti, e Santos era il ministro della difesa. All’epoca i servizi segreti colombiani furono addirittura sottomessi al controllo della CIA. L’accordo era stato firmato a Bruxelles e approvato dal Congresso colombiano nel 2014. Esso riguardava collaborazione nel campo delle missioni di pace, dei diritti umani, giustizia militare, rafforzamento della difesa e della sicurezza, oltre al tema della lotta contro il narcotraffico.

Nel febbraio del 2015 la Procura generale della Colombia chiese alla Corte costituzionale di dichiarare inappropriato l’accordo firmato nel 2013, illustrando le ragioni di tale richiesta. Infatti, essa riteneva che <<l’accordo non definiva con chiarezza le sue finalità>>, perché il testo non specificava quale tipo di informazione poteva essere oggetto di intercambio. Essa avrebbe potuto contenere dati personali sensibili, senza che l’accordo prevedesse che tale informazione fosse nota all’interessato, mentre era chiaro che non poteva essere comunicata a terzi.

Da parte sua, il Ministerio Público [2] dichiarò che, se lo scambio previsto faceva riferimento ad informazioni di carattere pubblico, l’accordo era incostituzionale nella sua globalità, in quanto sarebbe stato contrario sia ai diritti indicati dalla Costituzione sia alla Convezione americana sui diritti umani. Nel giugno 2015 la Corte costituzionale non approvò la legge che faceva riferimento all’accordo.

Nell’ottobre del 2016, nella seconda sessione, il Senato colombiano ha approvato l’accordo di cooperazione e di scambio di informazioni con la Nato. Di qui la successiva comunicazione del presidente Santos assai soddisfatto della decisione di avviare nuove conversazioni con i vertici della NATO.

Come nel 2013 esso ha suscitato opposizione nel paese, commenti negativi di vari analisti internazionali e forti critiche da parte di alcuni paesi della regione. Infatti, una volta resa nota la ripresa dei negoziati, Venezuela, Bolivia e Nicaragua hanno manifestato la loro contrarietà, sottolineando che tale accordo mette in pericolo la stabilità della regione e potrebbe costituire il primo passo verso l’ammissione della Colombia nella Nato; fatto che farebbe del paese andino una minaccia per il subcontinente latinoamericano.

Attivisti politici, da parte loro, hanno segnalato che l’alleanza con la Nato potrebbe mettere in pericolo il processo di pacificazione del paese avviato con l’accordo stipulato con le FARC-EP (Forze armate rivoluzionarie della Colombia Esercito del Popolo), recentemente rafforzato dall’approvazione dell’amnistia per i suoi componenti.

In particolare, come si diceva, il Venezuela ha espresso la sua preoccupazione sottolineando che è allarmante che la Colombia ricorra alla NATO, nota per le sue violazioni dei diritti umani e dotata di alta tecnologia militare e di armi nucleari, per modernizzare le sue forze armate. Tale pericoloso legame pregiudica la pace e la stabilità della regione, dichiarata “zona di pace” dall’UNASUR (Unione delle nazioni sudamericane) e dalla CELAC (Comunità degli Stati latinoamericani e del Caribe).

Il capo delle FARC-EP, noto come Timochenko, ha sottolineato che l’accordo comporterà un passo indietro nella sovranità ed indipendenza del paese. Egli è convinto che l’oligarchia colombiana intenda approfittare della fine del conflitto interno per favorire il trionfo del neoliberalismo, la cessione dello Stato e delle ricchezze naturali della Colombia, compresa la manodopera, al capitale finanziario transnazionale e nazionale; progetto che per realizzarsi ha bisogno dell’impiego di un enorme apparato militare e di polizia, che la NATO può certamente garantire. Allo stesso tempo, ha annunciato che le FARC-EP opereranno come elemento propulsore delle mobilitazioni popolari contro tale disegno imperiale.

L’analista politico Pavel Rondón, intervistato da Telesur, ha fatto altre interessanti osservazioni che ci fanno comprendere come si sta riorientando l’America latina nel contesto delle difficoltà dei governi progressisti e del rilancio delle politiche neoliberiste in seguito alla fine dei governi di Dilma Roussef in Brasile e di Cristina Fernández in Argentina. Egli ha sottolineato la contraddizione tra lo stabilire un accordo con la NATO, da un lato, e allo stesso tempo l’aver avviato il processo di pacificazione con le FARC-EP, che però – dobbiamo dire – incontra una serie di difficoltà pratiche, giacché i campi dove si dovrebbero raccogliere i loro componenti non sono stati ancora attrezzati in maniera adeguata. Inoltre, Rondón osserva che questa mossa della NATO, dettata dagli Stati Uniti, ha lo scopo di spezzare i forti legami commerciali e politici che molti paesi dell’America Latina hanno intrecciato negli ultimi anni con la Cina e con la Russia, spiazzando il grande impero del nord. A suo parere il Venezuela deve chiedere il pronunciamento sulla questione agli organismi regionali già menzionati: UNASUR e CELAC.

Mentre la Colombia sembra procedere verso la pace e l’inserimento nella vita politica dell’opposizione armata ai vari governi, che si sono succeduti per 50 anni, e nello stesso tempo si stringe sempre più agli Stati Uniti e al loro braccio armato, continuano sistematicamente gli assassinii di attivisti contadini; l’ultimo di cui ho notizia è avvenuto il 25 dicembre nella regione del Cauca. Le FARC-EP hanno commentato questi tragici episodi, sottolineando che essi rendono difficile la messa in pratica dell’accordo di pace e la stessa esistenza di movimenti politici alternativi a quello al potere.

Se questa è la situazione, purtroppo sembra aver ragione l’economista messicano Miguel Angel Ferrer – che ho già avuto modo di menzionare in articoli precedenti – il quale ipotizza che il recente accordo di pace sottoscritto dalle FARC-EP possa portare alla scomparsa fisica dei guerriglieri, una volta restituite le armi, come d’altra parte è già accaduto in passato. In particolare, egli ricorda la fine fatta dal Movimento del 19 aprile (sempre colombiano), il quale consegnò le armi nel marzo del 1990 e si costituì come organismo politico. In aprile Carlos Pizzarro, comandante del movimento e aspirante alla presidenza della Colombia per il partito Alleanza democratica M-19, fu assassinato da individui legati ai servizi segreti.


Note

[1] Come scrive Gianluca Ferrara sul Fatto quotidiano, negli ultimi 20 gli attacchi della Nato, presentati come missioni di pace sono stati 7 (http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05/26/italia-fuori-dalla-nato-perche-nessuno-ne-parla/2768013/).

[2] Organismo di controllo cui appartiene la Procura generale della Nazione.

14/01/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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