Lenin, l’imperialismo e la Russia

La concezione dell’imperialismo di Lenin è ancora attuale? Che cos’è l’imperialismo secondo Lenin? L’attuale Russia può considerarsi una potenza imperialista? Un contributo alla soluzione di questa annosa questione attraverso una reinterpretazione non dogmatica de L’imperialismo fase suprema del capitalismo.


Lenin, l’imperialismo e la Russia

Se l’importanza da un punto di vista storico e politico dell’opera di Lenin L’imperialismo fase suprema del capitalismo è fuori di dubbio per chi ha un minimo di onestà intellettuale – qualità sempre più carente fra gli intellettuali tradizionali – non immediatamente evidente è la questione della sua attualità. Persino diversi marxisti e comunisti, che generalmente (anche inconsapevolmente) non riescono ad accettare la prospettiva rivoluzionaria di Lenin, tendono a collocare la sua opera in un’epoca storica profondamente diversa dalla nostra. Per cui le indicazioni che ci vengono da quest’opera sarebbero addirittura controproducenti se utilizzate per leggere l’attuale realtà, anche perché è Lenin stesso che sostiene la necessità di una analisi concreta della situazione concreta. In realtà, tale posizione è del tutto estranea al modo di procedere di Lenin, in quanto quest’ultimo ha, per esempio, dato sempre grandissimo valore allo studio e alla attualità dell’opera di Marx, sebbene il capitalismo analizzato da quest’ultimo era diverso dalla fase imperialista con cui doveva fare i conti Lenin. In ogni caso tale posizione – generalmente inconsapevolmente opportunista – dimentica che grandi pensatori come Marx e Lenin continuano a essere fra i più studiati, discussi e dibattuti al mondo in quanto le loro analisi non sono utili solo a comprendere il loro mondo storico, ma in quanto sono capaci di descrivere le linee dello sviluppo futuro del fenomeno da loro analizzato e, nel caso specifico, del capitalismo. Così come l’analisi di Marx è molto più adatta a comprendere la fase odierna di sviluppo del capitalismo piuttosto che quella embrionale della sua epoca, discorso analogo vale per l’analisi di Lenin dell’imperialismo quale fase superiore e/o suprema del capitalismo. Certo questa affermazione deve essere dimostrata analizzando, in primis, quanto siano ancora attuali le sue considerazioni. In secondo luogo, una volta che se ne dimostrasse l’attualità, bisognerebbe poi sempre ricordare che proprio perché la realtà di cui dà conto è complessa e, quindi, in sé contraddittoria, anche l’opera di Lenin deve avere queste caratteristiche, cioè essere complessa in quanto capace di descrivere la realtà nella sua contraddittorietà, base di ogni concezione dialettica.

Inoltre Lenin, sin dalla prefazione alla prima edizione della sua opera, scritta nell’esilio di Zurigo nella primavera del 1916, ci tiene a sottolineare che “l’opuscolo”, cioè L’imperialismo fase suprema del capitalismo, “è stato scritto tenendo conto della censura zarista. Per questo sono stato non solo costretto ad attenermi ad un’analisi esclusivamente teorica, soprattutto economica, ma anche a formulare le poche osservazioni politiche indispensabili con la più grande prudenza, mediante allusioni e metafore, quelle metafore maledette, cui lo zarismo condannava tutti i rivoluzionari che prendessero la penna per scrivere qualche cosa di «legale»” [1]. Quindi è Lenin stesso a porre subito in evidenza la necessità che il lettore tenga conto di tali evidenti limiti dello scritto in questione, in cui si dà una lettura fondamentalmente economicista dell’imperialismo in quanto è indispensabile astenersi dal prendere in considerazione tutti i risvolti politici implicati dalla necessità di combattere tale fase suprema del capitalismo. Perciò, ad esempio, nel presente saggio Lenin non può insistere sulla necessità dei comunisti di contrastare sempre, in primo luogo, il proprio imperialismo, fino al disfattismo rivoluzionario nel caso di conflitto con un imperialismo nemico del proprio. 

D’altra parte, Lenin non intende aggiungere le conseguenze politiche alle proprie analisi economiche dell’imperialismo, in quanto considera in quel determinato frangente storico e politico sfruttare il fatto che, nella sua forma originaria, il suo opuscolo era funzionale “a chiarire la questione economica fondamentale, la questione cioè della sostanza economica dell’imperialismo, perché senza l’analisi di essa non è possibile comprendere né la guerra odierna né la situazione politica odierna” (32) e non si può portare sino in fondo la critica, che l’autore considera essenziale, alla concezione politicista dell’imperialismo di Kautsky.

L’imperialismo fase suprema del capitalismo offre, come è noto, una efficacissima definizione sintetica dell’imperialismo, di taglio, è bene ricordarlo, teorico e soprattutto economico. Così spesso si è caduti nell’errore di ritenere che, dal punto di vista di Lenin, si potrebbe definire imperialista soltanto un paese in siano ben presenti questi cinque aspetti. In tal modo, si cade facilmente in una interpretazione dogmatica che non tiene conto che l’opera di Lenin andrebbe considerata nella sua complessità e non solo sula base delle sue opere più note, in quanto da vero marxista e dirigente rivoluzionario i suoi scritti sono sempre occasionati e influenzati dal contesto non solo storico, ma anche politico in cui si inseriscono. Quindi diviene sempre necessario tener presente che un determinato opuscolo – per esempio il nostro – è rivolto, principalmente, a criticare l’interpretazione di Kautsky dell’imperialismo, quale prototipo di tutte le interpretazioni opportuniste di destra, cioè riformiste. Tali posizioni da Hobson a Kautsky, per citare due grandi classici, alle più recenti concezioni di Hardt e Negri tendono a interpretare in senso politicista il concetto di imperialismo, pretendendo di poter astrarre dal suo fondamento, dalla sua struttura economica. In effetti i riformisti come Hobson, i centristi come Kautsky ritengono che un paese a capitalismo avanzato potrebbe seguire una politica diversa da quella imperialista. Per cui se al governo ci fossero forze di sinistra e progressiste sarebbe possibile abbandonare la politica imperialista senza dover necessariamente cambiare modo di produzione. Dunque vi sarebbe la possibilità di paesi a capitalismo avanzato che potrebbero seguire una politica non imperialista o addirittura antimperialista. Ora, al di là del fatto che la storia ci ha dimostrato esattamente il contrario, non potendo far riferimento a tutti gli innumerevoli eventi storici che confermano la sua critica a tali interpretazioni, Lenin sviluppa una critica su di un piano teorico, mostrando che le contraddizioni di un paese a capitalismo avanzato, contraddizioni strutturali di ordine economico, impongono una scelta necessariamente dicotomica: o sviluppare un modo di produzione superiore, socialista, o seguire le dinamiche dell’imperialismo. Perdere di vista questa concezione dell’imperialismo porta ancora oggi molti marxisti e comunisti ad assumere posizioni astratte, non distinguendo ad esempio fra borghesia “progressista” e “democratica” e borghesia reazionaria e antidemocratica in quanto non ci sarebbero fra loro differenze sostanziali dal punto di vista della politica estera imperialista. Ma il punto è proprio questo, non solo la storia ci dà continuamente esempi di governi di un paese a capitalismo avanzato progressisti, persino socialisti e comunisti, che in politica estera hanno portato avanti la consueta politica filoimperialista, in quanto dal punto di vista della scienza economica e del materialismo storico non potrebbero fare nulla di diverso. Proprio per questo resta molto discutibile, anzi da un punto di vista leninista inaccettabile, la partecipazione di forze realmente comuniste o socialiste al governo di paesi a capitalismo avanzato. Non solo ai giorni nostri il governo spagnolo fondato su una coalizione fra forze socialiste, forze di sinistra radicale e forze comuniste, porta avanti politiche decisamente imperialiste a partire dalla guerra in Ucraina o dal tradimento del popolo del Sahara occidentale, non solo tale governo non mette minimamente in questione la partecipazione alla alleanza imperialista della Nato, ma anche all’interno di quest’ultima non cerca di porre in discussione i fondamenti imperialisti del patto atlantico, né frena le forze più di destra nel perseguire una politica imperialista. Discorso analogo vale persino per il recente governo di sinistra del Portogallo formato da una coalizione fra il partito socialista, una formazione di sinistra radicale come il Blocco di sinistra e, persino, un partito realmente comunista e antirevisionista come il Pc portoghese. Ciò nonostante – per quanto si potrebbe persino mettere in discussione la necessità strutturale economica, di un paese arretrato come il Portogallo, di seguire necessariamente una politica imperialista – il governo di coalizione fra socialisti e comunisti non ha messo minimamente in questione la politica filoimperialista del paese, tanto da essere in prima fila fra gli Stati che hanno riconosciuto come capo del governo venezuelano l’autoproclamato candidato golpista dell’estrema destra.

Altri aspetti che non dovrebbero consentire una interpretazione dogmatica e alla lettera di quanto sostenuto in Imperialismo fase suprema del capitalismo è che l’opera, come Lenin stesso sottolinea, è un opuscolo scritto nella forma di saggio popolare e non un saggio con pretese di scientificità, il che contribuisce inoltre a spiegare il suo eccezionale successo, rispetto a opere scientifiche necessariamente molto più difficili da leggere e comprendere per i non addetti ai lavori.

Va, infine, necessariamente tenuto presente quanto sottolineato con decisione dallo stesso Lenin che, per consentire la diffusione della sua opera in un paese autocratico come la Russia del tempo, in piena guerra imperialista, non ha potuto minimamente indagare le conseguenze pratiche e politiche delle sue osservazioni da un punto di vista teorico ed esclusivamente economico.

D’altra parte, pur non considerando l’occasione politica alla base de Imperialismo fase suprema del capitalismo, pur astraendo dalle altre opere su questo tema del medesimo autore o in cui tale questione è affrontata, anche pretendendo di poter prescindere dall’opera di Lenin nel suo complesso, dalla sua natura di saggio popolare e di opera composta nel linguaggio degli schiavi – che comporta un’autocensura delle considerazioni di natura politica – anche la semplice analisi dell’opuscolo del grande rivoluzionario russo ci offre una comprensione del concetto di imperialismo, naturalmente e necessariamente molto più vasta di quella sintetizzata nella pur geniale e celeberrima definizione, alla quale finiscono spesso per limitarsi i dogmatici.

Così, in primo luogo, possiamo leggere nel medesimo opuscolo, una decisa constatazione che amplia il concetto di imperialismo ben al di là delle cinque caratteristiche fondamentali della definizione. Lenin, in effetti, sostiene un dato di fatto storico che dà sostanzialmente per scontato, cioè che “politica coloniale e imperialismo esistevano anche prima del più recente stadio del capitalismo, anzi prima del capitalismo stesso. Roma, fondata sulla schiavitù, condusse una politica coloniale ed attuò l’imperialismo” (123). Alla luce di ciò la famosa citazione non si riferisce, come i volgarizzatori fraintendono, al concetto di imperialismo tout court, ma all’imperialismo quale fase suprema o, comunque, superiore del capitalismo. Vale, in effetti, la pena notare che lo stesso titolo dell’opuscolo analizzato in modo non sommario dovrebbe portare a osservare che in russo il termine utilizzato da Lenin per connotare la fase dell’imperialismo, generalmente tradotta in italiano come supremo, significa, al contempo, anche superiore. In questa doppia accezione il concetto diviene decisamente più complesso e, persino, in sé stesso contraddittorio, esattamente come la realtà di cui deve sforzarsi di dare conto.

Tornando però all’interpretazione dogmatica della definizione leniniana occorre, dunque, stabilire una volta per tutte che tale definizione – con tutti i limiti che ogni definizione ha, come ricorda lo stesso Lenin prima di enunciarla – vale non per l’imperialismo in generale, ma per una sua determinazione particolare, che è quella tematizzata in quest’opera di Lenin, cioè dell’imperialismo quale fase suprema del capitalismo. Quindi l’imperialismo non è, necessariamente – come anche il semplice sano buon senso umano fa comprendere – connesso alla fase di sviluppo del capitalismo in senso monopolistico. Come fa notare lo stesso Lenin – come abbiamo visto nel saggio in questione – vi sono paesi come l’antica Roma che, pur non avendo nessuna delle cinque caratteristiche della definizione leniniana, cioè pur non avendo quasi nulla in comune con l’imperialismo quale fase superiore e/o suprema del capitalismo, rientrano (a dispetto di ciò e senza ombra di dubbio) nel concetto di imperialismo in senso lato. Quindi non ha alcun valore la presunzione dogmatica sulla base della quale la Russia attuale non può essere ricompresa nel concetto di imperialismo, in quanto non vi sono le cinque caratteristiche enumerate da Lenin per definire la fase suprema e/o superiore del capitalismo. La Russia attuale potrebbe, infatti, essere definita imperialista pur avendo solo alcune delle cinque caratteristiche enumerate da Lenin o non avendone nessuna. Ciò naturalmente non significa che bisogna, in modo altrettanto poco scientifico, dare per scontato che la Russia sarebbe necessariamente un paese imperialista – come sembrano fare non pochi comunisti e marxisti di “sinistra”. In effetti, per sostenere tale tesi – e discorso analogo vale per la connotazione come imperialista della attuale Repubblica popolare cinese – questi paesi non potrebbero che essere necessariamente imperialisti solo se possedessero le cinque caratteristiche della forma di sviluppo suprema e superiore del capitalismo. Del resto, Lenin non solo definisce in moltissime altre opere come imperialista la Russia zarista, l’Italia giolittiana, ma nello stesso saggio popolare asserisce che la Russia è il più arretrato fra le potenze imperialiste “nei riguardi economici”, al punto che nel paese “il più recente capitalismo imperialista è, per così dire, avviluppato da una fitta rete di rapporti precapitalistici” (122). Quindi, un paese può essere definito imperialista anche nel senso specifico del termine, cioè in relazione alla fase di sviluppo superiore e/o suprema di capitalismo, pur essendo avviluppato, cioè ingarbugliato, confuso e avvolto in una fitta rete di rapporti economici di produzione addirittura precapitalistici. Dunque, volendo essere più precisi, per Lenin non solo si può essere definiti un capitalismo imperialista pur non essendo giunti alla fase suprema, ma solo superiore di capitalismo, ma addirittura il capitalismo imperialista potrebbe connotare un paese che non ha raggiunto nemmeno in generale la fase superiore di sviluppo del capitalismo, in quanto è significativamente connotato da tutta una fitta rete di rapporti economici e sociali precapitalistici.

Senza dimenticare che Lenin non solo definisce sostanzialmente in tutte le opere, in cui si esprime in proposito, la Russia zarista e autocratica imperialista, ma tutta la politica rivoluzionaria del partito bolscevico – in aperta rottura con le politiche opportuniste di chi considerava più pericoloso e, quindi, il principale nemico l’imperialismo nemico del proprio – ha considerato il proprio imperialismo nazionale il primo nemico da combattere, anche perché è necessariamente il primo che può e deve essere abbattuto per realizzare una rivoluzione socialista

Note:

[1] Lenin, Vladimir, Ilic, L’imperialismo fase suprema del capitalismo, Laboratorio politico, Napoli 1994, p. 31. D’ora in poi indicheremo direttamente nel testo, per i brani citati da quest’opera, il numero di pagina in parentesi quadre di questa edizione. Le evidenziazioni in grassetto sono sempre mie.

14/04/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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