Sul terremoto politico in Messico

Finalmente una buona notizia, in Messico dopo anni la destra subisce una netta battuta di arresto.


Sul terremoto politico in Messico Credits: https://www.lifegate.it/persone/news/obrador-messico-sinistra-donald-trump

Ad arrestare il trend negativo delle sinistre a livello internazionale e, più nello specifico, latinoamericane è arrivata la netta vittoria alle elezioni di “Amlo” Obrador, decisamente il più a sinistra dei candidati in corsa per la presidenza del paese. Obrador è il candidato storico della sinistra messicana che, finalmente, come già Lula, al terzo e ultimo tentativo ha finito per spazzare via i suoi avversari, espressioni della classe dominante messicana. Già al primo tentativo, nel 2006 – nel momento forse di massimo sviluppo dell’ondata di sinistra che si stava affermando sulla scia di Chavez in tutta l’America latina – Obrador aveva vinto le elezioni, anche se non poté divenire presidente per i pesanti brogli elettorali che portarono alla vittoria, con uno scarto di appena 0,5 punti percentuali, F. Calderon, candidato per la destra del Partido Acción Nacional (Pan). Nelle elezioni del 2012 Obrador era stato sconfitto, anche qui con pesanti irregolarità – ma presumibilmente non così pesanti da capovolgere come nelle elezioni precedenti il risultato delle elezioni – dal candidato dell’ormai corrottissimo Partito Rivoluzionario Istituzionale P. Nieto, su posizioni neoliberiste. In quel caso Obrador fu penalizzato dalle posizioni sempre più moderate e sempre più interne alla logica corrotta del sistema politico messicano del suo Partido Revolución Democrática (Prd).

Facendo tesoro della sconfitta, Obrador aveva poi finalmente rotto con il Prd, il quale poi ha proseguito la sua deriva a destra fino a sostenere in queste ultime elezioni il candidato della destra, Anaya del Pan, giunto secondo, ma con un nettissimo scarto da Obrador (si è infatti fermato al 22%, contro il 54% dei voti conquistati dal vincitore). Obrador aveva, quindi, dato vita al suo Movimiento Regeneración Nacional (Morena) che, anche se incentrato essenzialmente sulla figura del leader, si presenta come progressista e decisamente schierato contro la piaga della corruzione divenuta caratteristica della politica messicana.

Morena ha conquistato la maggioranza dei governatorati, confermando il proprio controllo sulla megalopoli Città del Messico e ottenendo un’importante affermazione nel senato con il 54,2% e una vittoria schiacciante alla camera con il 70% dei suffragi. La maggioranza assoluta al senato è resa incerta dal fatto che Morena si è presentata in una coalizione, Juntos Haremos Historia (Uniti faremo la storia), col tradizionalista Partido Encuentro Social (Pes), legato alle chiese evangeliche. Si conferma così la tendenza, in diversi paesi latinoamericani, a presentare coalizioni “innaturali” – tra l’altro oltre il Prd anche il partito di centrosinistra Movimiento Ciudadano si è presentato a rimorchio della destra del Pan.

Come sappiamo tali discutibili alleanze – per altro in diffusione anche in Europa dove, ad esempio, Syriza governa in coalizione con un partito di destra – hanno portato alla destituzione di due presidenti di sinistra, in Paraguay e più recentemente in Brasile, sostituiti dai propri vice, rappresentanti della destra. Al momento la vittoria di Obrador appare così netta da non rendere plausibile un suo futuro rovesciamento, anche se al senato potrebbe subire il condizionamento dei pentecostali sui diritti civili, di cui per altro il Messico è da sempre all’avanguardia in America latina.

La candidatura di Obrador è stata discutibilmente osteggiata, ancora una volta, dal movimento indigenista zapatista, che ha prima tentato inutilmente di contrapporvi una propria candidata. Non riuscendo però a raggiungere le firme necessarie ha infine deciso di boicottare apertamente le elezioni. Con risultati anche in questo caso scarsi, visto che anche in Chiapas, roccaforte degli zapatisti, si è affermato con la maggioranza assoluta il candidato di Morena. Il movimento zapatista ha giustificato questa sua tattica elettoralistica, ancora una volta nei fatti favorevole ai candidati della destra, sostenendo che Obrador e il suo movimento non si differenzierebbero in realtà dalle altre forze politiche rappresentanti degli interessi della classe dominante.

Tale discutibile posizione, di un movimento che non si è mai fatto problemi di assumere posizioni apertamente revisioniste e programmaticamente anti-marxiste, a partire dalla questione del potere, è stata ancora una volta smentita dai fatti. In effetti, anche in queste elezioni, le classi dominanti non si sono fatte scrupolo di utilizzare tutti i mezzi necessari per impedire a Obrador di scalzare dal potere la propria corrottissima classe dirigente, a dimostrazione ancora una volta della validità della concezione marxista per cui la democrazia è reale solo all’interno del blocco sociale dominante.

Soltanto in queste elezioni si sono contati ben 130 assassinii politici nei confronti di candidati alle elezioni e pesanti brogli elettorali, fino al furto di urne da parte di individui armati. Per non parlare del pressoché completo schieramento dei mezzi di comunicazione, come al solito pronti a utilizzare ogni tipo di fake news per limitare l’inarrestabile affermazione elettorale della sinistra, accusando, ad esempio, senza purtroppo il benché minimo fondamento, Obrador di voler imporre in Messico il così detto catro-chavismo. Con il risultato di costringere il candidato della sinistra, per non essere ancora più penalizzato nel corso delle elezioni, a dare ampie rassicurazioni alla classe dominante di non mettere in discussione i rapporti sociali e di produzione dominanti.

Oltre a questi pesantissimi condizionamenti diretti del processo elettorale – a dimostrazione che la borghesia non si fa scrupoli di rispettare non solo la democrazia, ma lo stesso stato di diritto solo quando è funzionale a rafforzare il proprio dominio – la classe dominante ha governato sempre più apertamente, in particolare negli ultimi sei anni di governo del Pri, con metodi apertamente terroristici, volti a impedire con ogni mezzo alle classi subalterne di potersi emancipare. Si tratta di cifre davvero spaventose, prodotte dalla completa saldatura fra la malavita organizzata dei narcos e il sistema di dominio delle classi possidenti, che ha prodotto qualcosa come 300.000 assassinii, senza contare le migliaia di desaparecidos o il vero e proprio femminicidio che ha fatto strage, nel modo più efferato, di spesso giovanissime operaie impiegate generalmente nella maquiladoras, ovvero nelle fabbriche delocalizzate principalmente nella zona franca, al confine degli Stati uniti, e in mano al capitale finanziario transnazionale, principalmente statunitense.

Da questo punto di vista decisamente ammirevole è stata la forza dei subalterni messicani di ribellarsi all’ideologia dominante e di dare il loro appoggio al candidato più a essa invisa. Bisogna anche d’altra parte osservare come un dominio di classe, quando fa prevalere troppo l’aspetto repressivo rispetto alla forza ideologica che si esprime nella capacità di egemonia sui subalterni, favorisce involontariamente la capacità di reazione di questi ultimi. Come si è visto nelle recenti elezioni sia turche che colombiane dove, pur non riuscendo come in Messico a sbarrare la strada al candidato della componente conservatrice nel primo caso e reazionaria nel secondo, è comunque riuscita a far superare l’altissima soglia di sbarramento al partito della sinistra curda e di portare per la prima volta al ballottaggio un esponente della sinistra colombiana. In entrambi i casi nonostante il regime di terrore imposto dalla classe dominante per mantenere il potere sui subalterni.

In queste difficilissime realtà non altrettanto coraggio hanno invece dimostrato i candidati dei subalterni. In particolare nel caso messicano, non a caso si è parlato di populismo di sinistra a proposito di Obrador, il quale ha saputo sfruttare a proprio vantaggio il tema ricorrente della classe dominante economica per mantenere al proprio servizio la classe dirigente politica, ovvero la questione della corruzione di quest’ultima. D’altra parte, però, la classe dominante non è riuscita a presentare un credibile candidato antitetico alla conclamata corruttela del ceto politico di governo messicano. Mentre Obrador e il movimento Morena si sono conquistati il sostegno soprattutto dei più oppressi e dei più capaci di resistenza all’oppressione, come le popolazioni del sud del Messico che hanno votato in massa per il candidato progressista.

Quest’ultimo ha vinto assicurando che il contrasto alla corruzione della precedente classe dirigente permetterà di portare avanti misure assistenziali a vantaggio dei settori più deboli dei ceti sociali subalterni, come gli anziani costretti a sopravvivere con miserevoli pensioni e i figli delle classi oppresse impossibilitati a istruirsi per mancanza di borse di studio. Si tratta, evidentemente, di un programma demagogico, che si ripromette di venire in soccorso degli umiliati e offesi con una rivoluzione passiva, dall’alto, senza rivoluzione, senza nemmeno minacciare i privilegi della reale classe dominante, ovvero i proprietari dei grandi mezzi di produzione e riproduzione della forza lavoro.

Come hanno mostrato le pregresse esperienze del populismo di sinistra latinoamericano, tale programma è in parte realizzabile soltanto in una congiuntura economica favorevole che consente, senza limitare i profitti della classe dominante, di ridistribuire una parte minoritaria della ricchezza ai ceti sociali più deboli, comunque indispensabile per sottrarre questi ultimi dallo stato di endemica miseria.

D’altra parte il presente cambiamento di verso della congiuntura economica riduce le misure assistenziali verso i subalterni, facendo diminuire il sostegno di questi ultimi ai governi populisti di sinistra e al contempo rende molto più aggressive e disponibili a usare qualsiasi mezzo le classi dominanti, che vedono messi a loro repentaglio i tassi di profitto, tanto da fargli apparire intollerabile la stessa rivoluzione passiva. Inoltre le misure assistenziali, se non sono accompagnate da momenti di formazione ideologica e politica delle classi dominate, rischiano di provocare un effetto boomerang per i populisti di sinistra. Ad esempio quella componente del ceto subalterno che vedrà migliorare sensibilmente la propria situazione, senza un’adeguata formazione politica ideologica, rischia di divenire conservatrice. In tal modo è più facilmente portata a cadere nella trappola della demagogia di centro-destra che gli fa credere di potergli assicurare il mantenimento dei piccoli privilegi che ha ottenuto, limitando le spese sociali del governo a vantaggio, per fare un esempio emblematico, degli stranieri.

D’altra parte il modo più rapido ed efficace di formazione politico-ideologica dei subalterni consiste nel renderli sempre più protagonisti in prima persona del conflitto sociale e di classe. Aspetto che i populisti anche di sinistra tendono a sottovalutare o a ridurre al minimo, per non mettere a repentaglio la tregua sociale con i ceti dominanti nazionali e internazionali. Tale attitudine dei populisti di sinistra è generalmente dovuta al loro essere intellettuali tradizionali, provenienti dal blocco sociale dominante e disponibili a guidare i subalterni, incapaci di formare nel proprio seno intellettuali organici, sino a che non si arriva a un conflitto aperto con la classe dominante, che rischia di precipitare in una lotta per la vita o per la morte. In tal caso, generalmente, gli intellettuali tradizionali tendono a ritornare nell’alveo delle loro classi di provenienza, lasciando prive di guida le masse. Infine, la rivoluzione passiva, generalmente portata avanti dai populisti di sinistra, porta a favorire la tendenza liberale alla delega della sovranità popolare a un ceto di politici di professione. In tal modo le masse popolari divengono incapaci di fare le dovute pressioni dal basso sui propri rappresentanti che divengono, più facilmente, corrompibili dai ceti dominanti.

07/07/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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