Venezuela-Colombia, una nuova sfida per la diplomazia di pace bolivariana

Al centro dell’importante accordo diplomatico tra i due Paesi dell’America Latina, sostanzialmente ignorato dai media internazionali, la questione sull’impresa Monomeros, la riapertura delle frontiere e i problemi connessi con la questione della guerriglia.


Venezuela-Colombia, una nuova sfida per la diplomazia di pace bolivariana Credits: enezuela E Colombia: Due Bandiere Sulle Bandiere E Il Cielo Azzurro Illustrazione di Stock - Illustrazione di emblema, accordo: 192588148 (dreamstime.com)

Venezuela e Colombia hanno ristabilito le relazioni reciproche. È ufficiale. I rispettivi ambasciatori – Felix Plasencia per la Repubblica bolivariana e Armando Benedetti per quella di Colombia, hanno raggiunto le loro sedi. Al suo arrivo a Bogotá, Plasencia, ex ministro degli Esteri con grande esperienza diplomatica in Cina e in Russia ed ex ministro del Turismo- ha espresso il fermo proposito “di avanzare nella diplomazia di pace, in questa seconda opportunità che ci offre la storia di iniziare nuovamente le relazioni diplomatiche fra due nazioni sorelle”, e ha promesso di “lavorare sette giorni su sette per rispondere agli interessi di entrambi i Paesi e riscattare gli spazi venezuelani nella giurisdizione colombiana”.

Il riferimento è, primariamente, all’impresa Monomeros, sottratta al governo bolivariano mediante la truffa dell’autoproclamazione di Guaidó come “presidente a interim” del Venezuela, riconosciuto dal precedente governo colombiano di Ivan Duque, per volere degli Stati Uniti, nel 2019.

Le pratiche affinché l’impresa, che fornisce il 37% dei fertilizzanti usati in Colombia, torni al popolo venezuelano, sono già avviate, è stata già nominata una nuova giunta direttiva. Data la complessità della vicenda e gli oscuri intrecci messi in atto dall’opposizione golpista venezuelana e dai suoi padrini a livello internazionale, le trattative potrebbero durare anche un anno. I media egemonici, intanto, cercano di occultare il risultato positivo, parlando di una proposta di Petro per comprare il 51% dell’impresa venezuelana, assai rilevante per la sicurezza alimentare in questo momento di aumento dei prezzi dei fertilizzanti nel contesto del conflitto in Ucraina.

Monomeros fu creata nel 1967 dai due presidenti dell’epoca, il colombiano Carlos Lleras Restrepo, e il venezuelano Raúl Leoni, come esempio di amicizia fra le due nazioni. Ogni Paese possedeva il 45% dell’impresa, mentre il 10% era di proprietà di una compagnia fornitrice di materiale per produrre i fertilizzanti. La Colombia ha perso la sua quota di partecipazione a Monomeros, che già forniva circa il 70% di fertilizzanti, nel 2006.

L’allora presidente, Alvaro Uribe, nell’ambito delle privatizzazioni decise per il Paese, mise in vendita sottocosto l’impresa, sperando venisse acquisita dalla sua cerchia di potere. Chávez, però, riuscì a smascherare la manovra e fece uso dell’opzione prioritaria all’acquisto, riuscendo ad acquisire l’impresa. Finché Trump non decise di metterla sulla lista nera e cominciò a debilitarla a forza di misure coercitive unilaterali illegali. Quando Ivan Duque, figlioccio di Uribe e del paramilitarismo venne eletto dopo Manuel Santos, ruppe le relazioni con Maduro.

Riconoscendo Guaidó come “presidente” immaginario del Venezuela, nel 2019, sottrasse Monomeros al popolo venezuelano e la consegnò a una banda di ladroni che la utilizzarono per saccheggiarla e anche per regolare i propri conti interni. Una situazione imbarazzante persino per il governo Usa, messa in piazza mediante denunce pubbliche della stessa opposizione golpista, quando sono volati gli stracci.

È venuta così chiaramente alla luce l’intenzione di far fallire l’impresa: messa in opera dalla Nitron Group, la principale compagnia statunitense fornitrice di Monomeros, da golpisti come Leopoldo Lopez e soci, e da alti funzionari del governo Duque. Lo stesso intreccio affaristico che continua a far base in Colombia e alimenta la filiera destabilizzante che ruota intorno al partito Vox, dall’Europa all’America Latina. Forze che già manovrano affinché l’ex guerrigliero Petro abbia vita dura e finisca per lo meno impastoiato nelle sabbie mobili delle dinamiche istituzionali, dove ancora l’uribismo detiene gran parte delle leve di potere.

L’altra questione fondamentale è quella della riapertura della frontiera. Un confine di oltre 2.000 km che separa i due Paesi, completamente chiuso ai veicoli dal 2015 e riaperto solo ai pedoni da fine 2021. La Camera di commercio colombiano-venezuelana prevede scambi da 800 milioni a 1,2 miliardi di dollari nel 2022, dopo la cifra di circa 400 milioni di dollari, raggiunta l'anno precedente. Anche qui, però, visto i giganteschi intrecci di interessi che passano per quelle zone di frontiera e le mire destabilizzanti che incombono sulle regioni più ricche dal lato venezuelano, le cose non saranno né rapide né facili.

Il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, ha annunciato che proporrà all’omologo colombiano lo sviluppo di una vasta zona commerciale-produttiva al confine dei due Paesi, fra il dipartimento colombiano del Norte de Santander e lo Stato venezuelano di Táchira. Un esperimento – ha detto Maduro – che potrebbe poi essere esteso al Zulia, ad Apure, ad Amazonas. Puntiamo – ha proseguito il presidente – a “un'economia che produca beni e servizi e soddisfi i bisogni e la domanda interna. Un'economia che produca la ricchezza fisica e monetaria necessaria per gli investimenti di cui il Paese ha bisogno per riprendersi”.

In questo senso, ha affermato, “è prioritario monetizzare le riserve e liberarsi della persecuzione petrolifera contro il Venezuela. Questo è un settore in cui gli uomini d'affari possono molto con le loro relazioni negli Usa, con un’azione di lobby al Congresso statunitense, al Dipartimento di Stato, e all'Ufficio di controllo dei beni stranieri. Ora basta!, lasciate in pace il Venezuela! Non si è potuto metterlo in ginocchio, né mai lo si potrà fare”, ha concluso Maduro.

“Le relazioni con il Venezuela non avrebbero mai dovuto essere interrotte: siamo fratelli e una linea immaginaria non può separarci”, ha affermato l'ambasciatore Armando Benedetti, riprendendo una dichiarazione del presidente Gustavo Petro, che aveva definito la rottura delle relazioni con Caracas “un errore enorme”.

Un errore che viene da lontano, e nel quale si è perseverato in modo nefasto negli ultimi anni. I principali attacchi al governo e al popolo bolivariano sono venuti dalla frontiera colombiana, da un Paese che è praticamente una base militare nordamericana, i cui soldati non devono chiedere il permesso a nessuno per fare quel che più gli aggrada.

Ricordiamo solo il tentativo di invasione mascherato da “aiuto umanitario”, respinto dalla resistenza popolare venezuelana nel 2019, e in seguito l’”operazione Gedeon”, con la quale mercenari nordamericani e colombiani hanno cercato di entrare in Venezuela per uccidere Maduro e altri dirigenti socialisti sul “modello haitiano”, dopo essersi addestrati in Colombia.

L’ipocrisia imperialista spaccia per operazioni di “sicurezza” un sistema che ha portato a una vera e propria colonizzazione del Paese e a un sanguinario controllo sociale di ogni forma di opposizione. La Commissione per la verità (Indepaz), organismo nato a seguito dell'accordo di pace tra i guerriglieri delle Farc e lo Stato colombiano, nel 2016, ha mostrato come l'Agenzia antidroga degli Stati Uniti (Dea) e la procura abbiano organizzato false accuse di traffico di droga contro l’ex guerrigliero Jesus Santrich, deputato al Parlamento, per indurlo nuovamente alla clandestinità, dove poi è stato ucciso.

E, ancora di recente, 10 poliziotti sono stati condannati per aver organizzato un “falso positivo”, uccidendo tre persone fatte passare per “terroriste” per continuare a giustificare il grande business della sicurezza. Indepaz ha appena denunciato un nuovo massacro avvenuto nella città di Barranquilla, nel dipartimento dell’Atlantico: il numero 71 dall’inizio dell’anno, durante il quale sono stati assassinati 121 leader sociali.

Un meccanismo che raggiunge il picco nelle zone di frontiera e nei territori indigeni e colpisce soprattutto le donne, e che Petro vuole spezzare. Per questo, il governo ha cominciato a installare nel Cauca, una delle regioni più funestata dagli assassinii, Puestos de Mando Unificado por la Vida (PMU): per portare la presenza dello Stato nelle zone più colpite e rispondere alla domanda di sicurezza delle comunità ricostruendo legame sociale.

Nel suo discorso di investitura, Petro ha dichiarato che la politica di lotta al narcotraffico finora applicata è fallita e che il suo governo ne applicherà una diversa, anticipando che non ci sarà più fumigazione delle colture illecite con glifosato. Ha anche promesso di far spazio alle politiche di genere, assunte in prima persona dalla vicepresidenta Francia Marquez, e dalla nomina di una autorevole femminista internazionalista come Gloria Inés Ramírez, del Partito Comunista Colombiano, al ministero del Lavoro. E un primo segnale positivo è arrivato con la decisione della Colombia di abbandonare il “Consenso di Ginevra”, composto da un gruppo di 36 Paesi i cui governi sono contrari all’interruzione di gravidanza.

Ramírez, vicepresidenta della Federazione Democratica Internazionale delle Donne (Fdim) per l’America Latina e i Caraibi, è stata più volte in Venezuela, dove si è tenuto l’ultimo congresso della Federazione. Attualmente, come ministra del Lavoro, sta svolgendo funzioni di supplenza del presidente. Petro e Marquez si sono infatti recati in Perù, per dare un segnale forte di sostegno a Pedro Castillo, l’ex maestro rurale eletto alla presidenza, che la destra sta cercando di far cadere usando il meccanismo del lawfare. Un meccanismo ben consolidato in America Latina, come si è visto in Brasile, Paraguay, Bolivia e nella stessa Colombia, quando Petro è stato inabilitato per presunta corruzione come sindaco della capitale.

A Castillo, il Parlamento ha negato il permesso di partecipare all’assunzione d’incarico di Petro il quale, come si ricorderà, ha dovuto subire le bizze del precedente inquilino della Casa de Nariño, Ivan Duque, che ha usato fino all’ultimo le sue prerogative per decidere chi invitare e chi tener fuori dalla cerimonia.

Maduro, Diaz Canel e Daniel Ortega, in quanto rappresentanti dell’”asse del male”, ovviamente, non sono stati invitati. Ma Petro ha tenuto duro su un punto simbolico importante: l’esposizione della spada di Bolivar, simbolo di una unità non asimmetrica del continente. Quella spada che, con il suo gruppo guerrigliero, l’M-19, aveva rubato nel 1971, promettendo di renderla quando fosse stata restituita la libertà al popolo colombiano. Non a caso, il re di Spagna è rimasto seduto davanti al passaggio del simbolo indipendentista, suscitando roventi polemiche anche nella sinistra spagnola.

Logico che il primo passo di Petro fosse quello di riannodare i rapporti con il governo che più di tutti ha rimesso al centro il pensiero e la pratica del Libertador, unendoli ai grandi ideali marxisti del secolo scorso, simbolizzati dalla rivoluzione cubana e sandinista. Non sarà un compito facile, comunque, né per le porte strette nelle quali dovrà passare Petro, data la storica chiusura degli spazi di agibilità politica esistente in Colombia dall’assassinio del leader liberale Eliecer Gaitan, nel 1948, né per il governo bolivariano che con quel sistema dovrà continuare a fare i conti.

La coalizione di Petro, il Patto storico, si compone però anche di partiti e forze più radicali della sua formazione Colombia Umana. Soggetti che spingono per una trasformazione strutturale del Paese e per l’adesione al progetto di integrazione regionale, rimesso in moto in questo secolo da Hugo Chávez e Fidel Castro e continuato dai loro successori, Nicolas Maduro e Miguel Diaz Canel.

Un altro punto di contatto con la diplomazia di pace bolivariana viene dalla ripresa delle trattative con la guerriglia, di cui il Venezuela è stato uno dei principali fautori. Per questo, il presidente colombiano ha sospeso i mandati di cattura esistenti nei confronti di vari comandanti dell'Esercito di liberazione nazionale (Eln), attualmente a Cuba. Ha rivolto un appello anche alle Forze di Autodifesa Gaitanista della Colombia (AUG), paramilitari confluiti nel Cartello di narcotraffico denominato Clan del Golfo, affinché aderiscano ai benefici previsti dalla sua proposta di “pace totale”. E ha deciso che le Forze armate colombiane non effettueranno più bombardamenti aerei per attaccare gruppi guerriglieri.

In questa ottica, ha rinnovato i vertici militari, con il proposito di difendere la pace e i diritti umani, e non più di farsi guidare dalla dottrina della sicurezza Usa. La maggior parte dell’esercito colombiano è addestrato alla Scuola delle Americhe, scuola di tortura e destabilizzazione gestita dagli Usa, che ne manipolano lo storico anticomunismo. La Colombia è il gendarme degli Usa in America Latina, così come Israele, partner principale della Colombia nell’economia di guerra, lo è per il Medioriente.

Il cambio ai vertici delle Forze armate apre così la strada al ripristino delle relazioni militari fra Caracas e Bogotà. Un’altra grande sfida per la diplomazia di pace bolivariana, che potrà far valere l’importanza dell’unione civico-militare come esempio concreto di un nuovo esercito del popolo, che accompagni il cambio di marcia della società colombiana.

03/09/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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