Antiliberismo e anticapitalismo. La questione della “sinistra” e i comunisti

Il dilemma tra “soggetto della sinistra” e Partito Comunista, tra riforma del sistema capitalistico e transizione al socialismo


Antiliberismo e anticapitalismo. La questione della “sinistra” e i comunisti

Lo spostamento ad inizio del 2017 del X° Congresso del Partito della Rifondazione Comunista - per evitare la concomitanza con consultazione referendaria sulla controriforma costituzionale, voluta dai poteri economico/finanziari internazionali e predisposta dalla coppia Renzi-Boschi al servizio dei padroni, che si terrà il 4 dicembre p.v. - è una scelta praticamente obbligata, inevitabile per il nostro partito che sarà impegnato in questi mesi sulla campagna per il NO.

Allo stesso tempo, però, si rischia di allungare ulteriormente i tempi per l’altrettanto necessario dibattito sulla linea politica, nonché sul rinnovamento del gruppo dirigente, che non può più essere rimandato per non perdere definitivamente la capacità di intervento politico-sociale del nostro partito. Inoltre sarebbe auspicabile che la Segreteria, e soprattutto Ferrero, non tentino di sfruttare gli esiti del referendum – collegato a quello il destino della legge elettorale fascistoide detta “Italicum” – per “decidere” quale strada intraprendere e verso quale orizzonte politico orientare il partito (una scelta che prescinderebbe da qualsiasi principio ideologico e da ogni obiettivo strategico) per conformarsi ad una situazione esistente in cui la rappresentanza istituzionale è impermeabile a qualsiasi dialettica politico-sociale reale.

Quali che siano i tempi di tale dibattito, non è più rinviabile l’apertura di una ampia discussione interna rispetto all’ossessivo inseguimento di quella “sinistra” nell’ipotetica convinzione e speranza, ormai dimostratasi infondata, che sia composta da soggetti individuali, sociali e culturali disponibili a convergere su un progetto politico/sociale comune. L’unica proposta strategica che è arrivata, da quella parte di ex-gruppo dirigente della sinistra di governo mascherata da “società civile”, coagulata periodicamente e provvisoriamente nelle liste di cittadinanza in vista delle elezioni (comunali, regionali, europee), è stata la richiesta di scioglimento dei partiti in quanto tali, e del PRC in particolare, come condizione palingenetica per proseguire nel percorso e confronto. La stessa richiesta, ovviamente, che era venuta da SEL/Sinistra Italiana, come condizione per la Costituente della Sinistra, fortunatamente ad oggi respinta da Ferrero ma quasi scusandosi per non aver accettato l’invito.

Il nodo fondamentale che andrà affrontato nei prossimi mesi, e che rimarrà come il convitato di pietra nella nostra discussione interna anche durante la campagna per il NO alla controriforma costituzionale, è quello che risponde alla domanda se e come i comunisti abbiano un ruolo nel XXI secolo, a fronte di una crisi globale di sistema, tuttora irrisolta e irrisolvibile senza distruggere qualsiasi diritto per le classi popolari, i/le lavoratori/lavoratrici, le giovani generazioni, il popolo dei migranti (esercito industriale di riserva destinato ai lavori più umili, sottopagati e servili, insieme a tanti proletari di cittadinanza italiana, in una moderna riedizione dello schiavismo), fino al malaugurato ricorso alla distruzione diretta del capitale fisso tramite la soluzione bellica: la guerra.

La questione cruciale, dunque, consiste nell’essere conseguenti a seguito di un’analisi dell’attuale fase storica, per delineare la linea politica da intraprendere: si tratta cioè di stabilire se possa esistere una soluzione “di sinistra” alla crisi, una “uscita da sinistra dalla crisi”, oppure se non sia necessaria la distruzione del sistema stesso che genera la crisi; in altri termini, occorre decidere se sia sufficiente, ma soprattutto possibile, una politica di riforme e di investimenti (di stampo neokeynesiano, sicuramente migliore di quella di austerità e sacrifici) per ridare fiato all’economia produttiva attraverso il rilancio dei consumi, e riproporre così la questione salariale, delle pensioni, magari anche dei servizi pubblici sociali, come era avvenuto durante la fase espansiva tra la metà degli anni Quaranta e Settanta, oppure se sia necessario espropriare le classi dominanti (porre la questione politico/sociale) che detengono il potere economico/finanziario e politico/istituzionale, rimettendo al centro le categorie marxiane, leniniane e gramsciane per l’analisi del capitalismo e dell’imperialismo.

Si giocherà dunque questa partita nel X Congresso del PRC il prossimo anno, attorno alla questione se si debba continuare a perseguire alleanze con “forze” che impongono una linea riformista e antiliberista, oppure costruire una prospettiva anticapitalistica che prefiguri un percorso di transizione per la socializzazione dei mezzi di produzione della ricchezza attraverso un programma di nazionalizzazione degli istituti di credito (banche), dei settori strategici (produzione ed energia), di controllo della circolazione dei capitali nazionali e stranieri, un governo operaio (che abbia il lavoro come interesse principale da difendere): questa impostazione è quella genuina dei comunisti, di un Partito Comunista che sappia entrare nelle contraddizioni e costruire egemonia in quei settori che, oggi, cercano di contagiare con la loro arretratezza le scelte del PRC.

Una scelta di coerenza di questo tipo offrirebbe anche una soluzione al dilemma del rapporto con la moneta unica e con la tecnocrazia dell’UE e della BCE: invece che inseguire i nazionalismi sempre più xenofobi sul terreno del populismo, con un programma così concepito i comunisti darebbero indirettamente la più severa critica alle politiche imposte dai trattati internazionali, avviando la costruzione di un blocco sociale e storico inedito, tutto ancora da costruire.

Dunque, il nodo politico del X Congresso sarà sulla questione del rapporto tra “sinistra” e comunisti: dipenderà da come si vorrà affrontare questo nodo politico/ideologico (se continuare nella linea disastrosa e fallimentare della cessione di sovranità politico/elettorale o rilanciare una battaglia per l’egemonia dei comunisti nei movimenti e nella società) la scelta del documento a tesi o a mozioni contrapposte. Se la maggioranza del partito concorderà sulla necessità di una discontinuità con la linea politica tenuta negli ultimi dieci anni dal Segretario Ferrero, potrebbero determinarsi le condizioni per un documento unico a tesi emendabili, altrimenti sarà più sano e onesto confrontarsi a partire da documenti che indicano chiaramente linee politiche diverse, che facciano discutere a fondo tutte/i le/i compagne/i del partito sulla prospettiva dei prossimi anni: ridursi a forza residuale o rilanciare con forza le ragioni e la presenza dei comunisti, restituendo la piena sovranità al PRC.

01/10/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Giovanni Bruno

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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