E’ Carnevale… ma la riforma della Scuola non vale! La Scuola “fai da te” del grazioso Faraone

La conversione in decreto del documento sulla Buona scuola proposto da Renzi, nonostante il fallimento della consultazione on-line e dell’opposizione dei soggetti interessati, è prevista per fine febbraio. Il carattere neoliberista, classista e demagogico trapela già dalle anticipazioni: l’equiparazione della scuola all’impresa e l’assoluto disprezzo verso l’intelligenza degli studenti sono due sintomi emblematici di questa controriforma che stravolge la scuola democratizzata dalle lotte degli anni Sessanta e Settanta.


E’ Carnevale… ma la riforma della Scuola non vale! La Scuola “fai da te” del   grazioso Faraone

La conversione in decreto del documento sulla Buona scuola proposto da Renzi, nonostante il fallimento della consultazione on-line e dell’opposizione dei soggetti interessati, è prevista per fine febbraio. Il carattere neoliberista, classista e demagogico trapela già dalle anticipazioni: l’equiparazione della scuola all’impresa e l’assoluto disprezzo verso l’intelligenza degli studenti sono due sintomi emblematici di questa controriforma che stravolge la scuola democratizzata dalle lotte degli anni Sessanta e Settanta. 

di Marcella Raiola 

Dall’inizio della crisi, la Scuola è stata oggetto di forsennati e ossessivi interventi “riformistici”, che si sono tradotti in tagli feroci agli organici, in dimensionamenti che hanno reso caotica la gestione di molti istituti e in proposte organiche di sostanziale privatizzazione dei suoi organi e processi (come la respinta “Legge Aprea”), sorrette da campagne mediatiche aggressive, volte a scaricare sui docenti le responsabilità delle falle del sistema e a radicare l’idea che la riduzione della Scuola ad azienda costituisca la sola garanzia di miglioramento della formazione, in vista del presuntamente prioritario obiettivo di favorire l’ingresso dei giovani in un sempre più atomizzato e precario “mondo del lavoro”. Si attende, ora, per fine febbraio, in un clima di “segretezza”, offensivo per uno Stato democratico, la conversione in decreto “d’urgenza” del documento intitolato La Buona Scuola, a dispetto del fallimentare esito della “consultazione” virtuale e pilotata promossa sulle 136 pagine zeppe di anglicismi di cui consta il testo: solo 207.000 accessi al sito, tra favorevoli e critici, su un numero di “utenti” potenziali che, tra studenti, docenti e genitori, supera i dieci milioni!
Al di fuori delle capziose reti del web, il mondo della Scuola ha mandato un forte e chiaro segnale di opposizione al piano Renzi-Giannini; lo si evince, del resto, anche dalle oltre 200 mozioni sottoscritte da altrettanti collegi di docenti, che hanno partitamente esposto i motivi della generale contrarietà a quella che, per usare le intelligenti parole scelte da uno studente in un recentissimo incontro sui destini della Legge di iniziativa popolare, scritta dal basso per una vera “buona scuola”, si prefigura come una violenta “torsione manageriale” della Scuola pubblica, a detrimento della sua funzione educativa e in spregio al dettame costituzionale. 

Alcune anticipazioni sul decreto, che strategicamente vengono fatte trapelare, circa novità che appaiono peggiorative, se possibile, dell’impianto della brochure governativa, in uno stillicidio quotidiano di banalità e slogan da spot confezionati per spettatori di bocca buona, sono particolarmente allarmanti e avvilenti.
Dopo l’equiparazione “per scopi e metodi” della Scuola all’impresa, che è l’errore e l’orrore capitale dell’ennesima controriforma, il dato più mortificante dell’agire governativo è l’assoluto disprezzo in cui tiene l’intelligenza dei ragazzi e delle ragazze che frequentano la scuola pubblica. Funzionari come il sottosegretario Faraone, per esempio, che ha già demagogicamente inneggiato alle “romantiche” occupazioni, lasciando però i ragazzi completamente soli di fronte a una repressione durissima, immaginano di poter ottenere il placet degli studenti mettendo loro in mano la matita rossa e blu per valutare i docenti e consentendo ai medesimi la scelta delle materie con cui costruire il curriculum di studio. 

Ovviamente, agli spiritosi funzionari, che impudentemente spacciano per dinamizzazione dei processi formativi la balcanizzazione della Scuola italiana, non importa un fico secco di quel che sarà dei ragazzi cui il territorio non suggerisca orientamenti, perché l’approdo a un regime concorrenziale tra le Scuole e alla mercificazione dell’istruzione come somma di pacchetti standardizzati di dati fungibili e scorporabili è notorio e dichiarato, nonostante sia privo di qualsivoglia giustificazione pedagogica, economica o culturale. Il movente unico della riconversione della Scuola, infatti, è l’ideologia di quel brutale Mercato che chiede lavoratori usa-e-getta. Non è un caso, del resto, che il ministro Giannini abbia definito lo sfruttamento dei "volontari" dell’Expo "una forma di coinvolgimento", e che si sia espressa sul ruolo del Pd, entro i cui ranghi è da poco transitata, parlandone come dell’ "azionista di maggioranza della Maggioranza"… 

Si vorrebbe, dunque, con l’usurato alibi dello “svecchiamento”, che una parte del monte-ore dell’iter formativo degli studenti italiani fosse "opzionale" (ma, se così fosse, la valutazione delle attività non sarebbe obbligatoria né cogente!) e che la selezione dei contenuti fosse a discrezione dei ragazzi, i quali, manganellati e trattati come “facinorosi” quando scendono in piazza per contestare provvedimenti che negano loro il futuro, vengono invece blanditi con mezzucci demagogici e ritenuti perfettamente in grado di sostituirsi ai docenti quando si tratta di estorcerne l’assenso alla neutralizzazione della Scuola pubblica. 

Semplicistiche, antipolitiche e antimetodiche sono pure le argomentazioni "tecniche" addotte a sostegno dello sdoganamento di questa "Scuola on demand" che ci stanno preparando, e cioè che essa servirebbe a impiegare i docenti “tuttofare” del previsto organico funzionale e che "canalizzerebbe" le aspettative dei ragazzi, avvicinandoli a professioni differenti da quelle "troppo gettonate" (in realtà “riservate”!), per esempio quella del medico, il che eviterebbe l’intasamento delle facoltà da parte di studenti destinati ad abbandonare al primo anno per "mancanza di vocazione"…
Facile ribattere alla prima: ritirando i tagli Gelmini e recuperando le 88.000 cattedre perdute che costituiscono il quasi esatto ammontare dei posti non coperti dal turn-over, si eviterebbe l’organico funzionale e, con esso, l’inaccettabile soppressione della II e III Fascia di precari, il demansionamento e la mobilità selvaggia, mentre si recupererebbe un rapporto docente-alunni degno di un paese civile e intenzionato veramente a investire e puntare sull’istruzione. 
Ancora più facile rintuzzare la seconda argomentazione a favore del progetto governativo: la scelta prevalente della professione del medico, infatti, non dipende affatto dalla mancata differenziazione dell’offerta formativa della Scuola o dal deficit di orientamento in uscita, bensì dalla stagnazione della nostra società classista, che scredita certi lavori (quello dell’insegnante, per esempio!) e associa il "successo esistenziale" (corredato da guadagni stratosferici) a certi altri, in primis a quello del medico che, ovviamente, è il più agognato dalle famiglie, le cui aspettative spesso gli alunni sono quasi costretti ad assecondare, specie quando alle stesse si richiede uno sforzo economico notevole in termini di finanziamento “accessorio” della scuola.

La riflessione politica andrebbe spostata sul rapporto tra le classi sociali che, nel nostro caso, invece di sparire stanno diventando sempre più "a comparti stagni", visto che l’indice di mobilità sociale è al minimo e che le rinunce agli studi universitari, legate ai costi vertiginosi, ai disservizi (i trasporti!) e al taglio delle borse di studio sono cresciute esponenzialmente.
Sono proposte che denotano un’ignoranza pedagogica e un riduttivismo politico sconcertanti, insomma, oltre a costituire un vulnus, l’ennesimo, ai principi su cui poggiano, fino a prova contraria, il funzionamento e l’articolazione della Scuola statale (Art. 33: “la Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”). Non solo, sono proposte che fanno intravedere un intento ancora non proclamato ma facile ad intuirsi: l’abolizione del valore legale del titolo di studio, prodromo di ogni abuso padronale. 

Questa riforma di Carnevale segnerà il definitivo trionfo del dilettantismo, del neoliberismo, della demagogia, del pressapochismo e del classismo. Conosciamo le "mascherine" che stanno per vararla. E’ assolutamente necessaria una forte e unitaria resistenza, perché questo Carnevale rischia di portarci, invece che il ribaltamento liberatorio dei ruoli, lo stravolgimento liberticida della Costituzione. 

 

 

14/02/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Marcella Raiola

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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