I comunisti uniti in difesa della salute e del territorio

Come spingere le istituzioni a muoversi nella giusta direzione? Dandosi un obiettivo concreto e coinvolgendo le masse popolari. A Varedo ci stanno riuscendo. Ne parliamo con Claudio Molteni.


I comunisti uniti in difesa della salute e del territorio

A nord di Milano, nella zona più densamente popolata e inquinata d’Europa, l’ampia area che era occupata dalla dismessa fabbrica tessile SNIA, a Varedo, è in attesa di una bonifica da decenni. Recentemente è nato il Comitato Recupero Ex SNIA (CRES): la proposta di fare una battaglia in difesa della salute e per promuovere la creazione di un grande parco ha unito dal basso la diaspora delle forze politiche comuniste locali e aggregato numerosi cittadini sensibili a questo tema.

Abbiamo intervistato Claudio Molteni, uno dei promotori e attivisti del comitato, segretario della sezione PCI di Varedo.

D. Come nasce il vostro comitato?

R. L’idea nasce grazie a Tarciso Garagozzo, che ha lavorato tutta la vita alla SNIA come elettricista. Ha vissuto la fabbrica nei suoi anni più terribili, durante le battaglie sindacali degli anni Cinquanta e Sessanta, quando la gestione dell’azienda era violentemente antidemocratica. Si tratta di una fabbrica che ha sempre compromesso la salute dei lavoratori. Nei reparti “nocivi” si producevano i tessuti sintetici con bagni di vapore e acido solforico (chi era ragazzo in quegli anni si ricorda le montagne rosse o gialle di solfuro sul confine fra Varedo e Paderno), e l’impatto sulla durata della vita di chi ci lavorava era drammatico, in pochi hanno superato i sessantacinque anni. La sua idea di fare qualcosa sul territorio - in una realtà che è l’area altamente inquinata più grande d’Europa, e dove la ex fabbrica nei periodi di maggior sviluppo contava sette-ottomila dipendenti - ha fatto convergere le forze locali del Partito Comunista Italiano, Potere a Popolo, Rifondazione Comunista e Sinistra anticapitalista, assieme a indipendenti della società civile. È stato però deciso di agire come persone e non come gruppi politici, concentrandosi sul problema concreto da risolvere.

D. Come è stata portata avanti la vostra battaglia?

R. Inizialmente, l’idea era di mettere in piedi un vero e proprio comitato con tanto di statuto, e avevamo in mente di sollecitare ARPA per avere i dati sull’inquinamento del terreno. Col passare dei mesi però abbiamo capito che la priorità era coinvolgere la gente, e quindi abbiamo deciso le iniziative di questi giorni. Il Covid ci ha stravolto un po’ i piani, però nel frattempo eravamo riusciti a partecipare a un’assemblea che aveva convocato il Comune di Varedo per presentare un piano di recupero della Regione Lombardia in cui nei tre progetti pilota c’è anche l’Ex SNIA. Si tratta di un piano folle che prevederebbe pesantissimi sconti di tasse del 60% per chi recupera aree abbandonate e la possibilità di costruire il 20% in più, in un’area già completamente cementificata. Inoltre, le bonifiche del terreno proposte sono al livello minimo previsto dalla legge, che significa per esempio fare un parcheggio con un metro di cemento e lo strato di asfalto, ma se in un domani ci venisse costruita una scuola, che cosa si troverebbe scavando? Si tratterebbe di rimandare ancora alla prossima generazione il problema, e già ne sono passate un po’ troppe di generazioni. La chiusura della fabbrica risale infatti al 1983.

D. Da quell’epoca non è stato mai fatto alcun piano di recupero?

R. Quasi quarant’anni fa, DC e PCI a Varedo avevano raggiunto un accordo fra maggioranza e opposizione e progettato un recupero della zona, ma all’ultimo momento tre consiglieri di maggioranza avevano votato contro, per interessi personali, e da lì non è stato fatto più niente. Il progetto all’epoca prevedeva di costruire, ma si era in un’epoca in cui la zona non era ancora cementificata come adesso, e la proposta comprendeva un nuovo capannone per salvare un’azienda che già c’era, non per fantomatici artigiani che non ci sono più. Oggi, invece, costruire in quest’area non avrebbe più senso. Cementificare ulteriormente un’area in cui ogni centimetro è stato cementificato è pura follia.

D. Come vi siete mossi dopo il confronto con il Comune?

R. In quell’assemblea, abbiamo preso forza e capito che forse stavamo percorrendo la strada giusta, proponendo l’idea di un grande parco, di ossigeno, che la gente si merita dopo cinquant’anni di inquinamento. Questa è l’idea che stiamo portando avanti e su cui cerchiamo di avere visibilità: un grande parco e magari giardini botanici, qualcosa di green economy per poter usufruire di fondi della comunità europea. Il sindaco ha ragione quando ci dice che il comune di Varedo non può assumersi un impegno così grosso (anche perché l’area è privata), ma sarebbe troppo grande anche per la regione. Questo è un problema di ordine nazionale.

D. È la gravità dell’emergenza salute a rendere questa istanza di livello nazionale?

R. Sì. Io continuo a paragonare quest’area a Taranto. A parte il fatto che qui gli impianti sono fermi da trentacinque anni, l’emergenza ambientale è paragonabile a quella più nota della zona di Taranto. Sappiamo che nel sottosuolo ci sono metalli pesanti, che sono state versati migliaia di litri di acido solforico per le lavorazioni, e non conosciamo quanto è penetrato nella falda, nel terreno, quanto bisognerà scavare perché la zona sia bonificata. Onestamente, ritengo che la situazione possa essere perfino peggiore di quella del terreno dell’Icmesa di Seveso. Il disastro dell’Icmesa fu una fuoriuscita pesante della diossina, ma molto breve nel tempo, ed è stato necessario rimuovere uno strato di oltre dieci metri di terreno. Qui siamo in una zona in cui l’inquinamento delle industrie chimiche è andato avanti costantemente per molti anni. Negli anni Cinquanta e Sessanta, qui vicino, a Cesano c’era l’ACNA, che veniva chiamata “la fabbrica dei tumori” per motivi facilmente immaginabili. Sarebbe interessante poter verificare a studio la possibilità di una correlazione fra l’inquinamento chimico locale e l’elevata casistica di tumori linfatici nella popolazione.

D. Mi pare che questa lotta possa essere considerata un buon esempio di unità dei comunisti in una battaglia concreta...

R. Certamente. Da anni non si riusciva a fare qualcosa di concreto, a trovare un intento comune, mentre prevalevano le divisioni e la frammentazione. Il PCI ha messo a disposizione la sua sede, dicendo che al di là di quello che ci può differenziare come sigle e vissuto politico, questa è la casa dei comunisti. L’elemento di unione è stato agire per tutelare un bene comune, qualcosa che finalmente torni alla gente, riguardi la gente. Ci siamo focalizzati sulla salute, e infatti il nostro striscione dice “difendiamo la salute”. Forse anche la vicenda del Covid-19 qualcosa ha fatto maturare nel senso comune, su questo tema.

L’idea di tornare a occuparci dei problemi della gente e del territorio sta ottenendo qualche risultato. È una grossa speranza che abbiamo. Siamo molto contenti anche di aver riunito forze politiche che erano in conflitto fra loro e alcune che non facevano parte neppure del Coordinamento delle sinistre di opposizione. È la dimostrazione che si può e si deve ricercare l’unità.

D. come si sono svolti i vostri presidi?

R. La nostra idea è stata di fare dei “presidi silenziosi”, sulla base di esperienze passate riuscite. Abbiamo sperimentato che mettendosi per più volte in silenzio in uno stesso luogo con dei cartelli che lanciano provocazioni e proposte, la gente si incuriosisce e si avvicina. E in questo caso, è successo ancora più velocemente di quanto ci aspettassimo. Il primo presidio l’abbiamo fatto nel piazzale della SNIA dove un tempo entravano tutti i lavoratori, luogo simbolico e anche luogo di passaggio, dove arrivano dalla stazione tanti pendolari che tornano a casa. Subito la gente si è interessata e in molti si fermavano a fare domande. Durante il secondo presidio, addirittura sono giunte anche delle idee, è stato chiesto se raccoglievamo delle firme, qualcuno ha fatto la proposta di creare una fattoria (sempre pensando alla green economy) oltre al giardino botanico, valutando il fatto che poco distante, a Limbiate, c’è una scuola di agraria e a Varedo c’è già una fattoria con un centinaio di mucche. C’è interesse crescente, stanno arrivando delle idee, e il sindaco di Varedo ci ha promesso un incontro. Nei prossimi giorni faremo un presidio in centro, una sera in cui i negozi sono aperti e quindi saremo ancora più visibili. La nostra aspirazione rimane quella di creare un grande parco. Cominciamo a credere che sia possibile.

25/07/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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