Là dove la vita vale poco

È stata uccisa una persona, che ha avuto una vita, che era in viaggio, un migrante, nel silenzio più assordante e indifferenza di ogni mezzo mediatico.


Là dove la vita vale poco Credits: fanpage.it

COMO. Questa è una storia vera, la storia di Abdellah Toure. Il suo corpo è stato trovato il 12 ottobre, privo di vita, ucciso. Siamo a Como, al confine con la Svizzera. Qui negli ultimi anni sono arrivati molti più migranti degli anni precedenti. La cronaca, non soltanto quella dei giornali locali, è stata sul pezzo con protagonisti centinaia di migranti bloccati alla stazione ferroviaria, sui prati vicini, in un campo profughi allestito e da pochi giorni chiuso, non ancora smantellato perché qualcuno propone di utilizzarlo come centro di accoglienza per i senza tetto soprattutto adesso che è in arrivo l’inverno.

Sono in corso le indagini della Polizia. Pare che Abdellah sia stato ucciso in un luogo differente da quello in cui è stato ritrovato il cadavere, avvolto in un lenzuolo con un cuscino coperti di sangue. Accanto a lui c’era un cellulare, il corpo era lì da una dozzina di giorni. Nel corso delle indagini si è scoperto che Abdellah sembra sia stato ucciso lanciato da uno dei piani del Centro Salesiani a Sagnino, periferia nord di Como da cui si vede Chiasso, periferia sud della Svizzera.

Nessun mezzo di comunicazione ha evidenziato la profonda gravità del fatto: è stata uccisa una persona, che ha avuto una vita, ha percorso una strada, avuto esperienze, ha amato, odiato, sofferto e goduto, come ogni cittadino di una città borghese. Grazie alle informazioni ricevute dalle autorità si apprende che Abdellah fosse un disturbatore della quiete pubblica, un comune “delinquentello”. Vediamo quella che si identifica come scena del crimine: il centro gestito dai Salesiani ospita 300 migranti. Poco sotto, ai piedi della collina di Sagnino, a Tavernola, fra Como e Cernobbio, c’è il Grand Hotel Sheraton, 137 camere di cui 4 suite, possono starci oltre 280 ospiti. Più o meno lo stesso numero di persone che si ritrova nel Centro Salesiani. Spontanea la domanda: ci sono qui le condizioni minime di ordine e pulizia senza un numero adeguato di addetti? Ci dicono quello che già affermarono nel maggio 2016: “Non c’è mai stato alcun problema, abbiamo solo espulso cinque ragazzi nigeriani”. Ascoltando alcuni ospiti si sono lamentati criticando la gestione del centro, ma sono solo profughi. Si era già fatto notare da qualcuno che sarebbe stata una migliore alternativa l’ “accoglienza diffusa” piuttosto che ammassare centinaia di persone sotto lo stesso tetto.

Dopo la morte di Abdellah non si può restare indifferenti: un omicidio è avvenuto nei pressi della struttura di accoglienza. Qui non è tanto importante che i problemi ci siano o meno, è invece fondamentale che vengano poste le condizioni necessarie affinché i problemi non sussistano.

Qualcosa rimane: come tutti noi Abdellah viveva, e in questa vita lo abbiamo conosciuto. Era un ragazzo con un passato tormentato alle spalle, con una sofferenza di chi ha affrontato un viaggio complicato e che all’approdo si è ritrovato in condizioni anomale, difficili da capire: schedatura obbligatoria tramite impronte, una volta prese obbligano il migrante a restare sul suolo italiano per la pratica di “richiesta asilo” intrapresa dopo la schedatura. Anche per questo i migranti che tentano di oltrepassare i confini vengono riportati immediatamente in Italia.

Alcuni volontari svizzeri ci dicono che è strano come il governo e i vari partiti politici abbiano il coraggio di dire che in Italia i migranti non devono stare: prima li costringono a rimanere e dicono di non volerli!

Dopo la schedatura anche per Abdellah Toure la locazione in un centro che è l’equivalente di una prigione, anche se un viaggio non è un reato. Orari rigidi a cui sottostare, se si sfora per tre volte, si è espulsi dal centro. A pranzo e cena, ogni giorno, sempre lo stesso piatto: riso con acqua e pomodoro. Intanto, attesa di tempi infinitamente lunghi per la richiesta di documenti. Tra loro si considera fortunato chi riesce a cavarsela nell’arco di un anno. Una volta ottenuti i documenti si ha tempo cinque giorni per lasciare il centro. Questo l’iter che Abdellah dopo il “famoso viaggio” si è trovato ad affrontare. Ecco, nonostante tutto questo, Abdellah aveva dentro di sé una bontà e una forza d’animo che ci colpì, quando lo conoscemmo. Vero un controverso episodio di una sassaiola, non contro le forze dell’ordine costituite ma contro una banda di altri migranti con cui ci fu una lite. Da quell’accadimento si è arrivati a giudicare un ragazzo senza alcuno scrupolo di coscienza.

Abdellah Toure frequentava spesso i giardinetti a lago, a fianco dello stadio, dove è posta una vecchia locomotiva. Qui lo conoscemmo. Lo si poteva incrociare anche all’Ostello Bello a cui aveva portato un buon numero di clienti, suoi amici e dove aveva anche conosciuto molti ragazzi.

Era religioso Abdellah ed era solito pregare vicino a un albero, sempre lo stesso, poi andava a lavare le mani sempre alla stessa fontanella. Credeva fortemente nella religione Islamica e con il tempo era diventato un vero praticante, vivendo secondo le “regole” del Corano. In pochi sappiamo che ciò che per noi è una semplice doccia per i veri credenti Islamici è un vero e proprio rito, con passaggi ben precisi. La preghiera è prevista in cinque momenti della giornata; esistono regole ferree riguardo al sesso; no alcool, no droga. Abdellah le osservava una per una, ha interagito nella società con diverse azioni, tra cui anche l’episodio della sassaiola. Aiutava il “Circolo Vizioso” a mantenere tranquillità e dignità. Quando si creavano situazioni di tensione cercava di riportare la calma, quando trovava sporcizia la raccoglieva e la buttava, quando c’era bisogno di una mano lui era sempre disponibile. Durante le nostre chiacchierate si parlava di come si sentisse in difficoltà, della sofferenza che provoca l’alternarsi tra indifferenza e rabbia gratuita che gli venivano rivolte (escluse le persone dalle quali era riuscito a farsi conoscere), dell’asprezza di questa vita, della speranza di una vita migliore.

Per tenere il suo ricordo pulito e non infangato da una politica che si basa sullo sfruttamento, i giovani del “Circolo Vizioso” hanno pensato di organizzare una Marcia, nella quale l’unico obiettivo è quello di descrivere chi fosse Abdellah; un corteo dove ognuno porta un cartone ritagliato con scritta una sua qualità.

Domani 11 novembre dopo un mese dal ritrovamento del suo corpo si svolgerà la marcia, occasione anche per prendere le distanze da una politica che, come sottolineano gli organizzatori, “non ci appartiene; non può esistere il monopolio dell’assistenza ai migranti altrimenti è legittimo pensare che vi siano interessi non chiari”.

10/11/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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