Processo No Tav. Colpirne 47 per non educarne neanche uno

La sentenza di primo grado del maxi processo ai No Tav ha sancito condanne per 145 anni di carcere e centinaia di migliaia di euro di risarcimento danni. Contemporaneamente è iniziato il procedimento contro Erri De Luca in un contesto di criminalizzazione contro un movimento che è un esempio per tutti di lotta, socialità, elaborazione politica, solidarietà e pragmatismo.


Processo No Tav. Colpirne 47 per non educarne neanche uno

La sentenza di primo grado del maxi processo ai No Tav ha sancito condanne per 145 anni di carcere e centinaia di migliaia di euro di risarcimento danni. Contemporaneamente è iniziato il procedimento contro Erri De Luca in un contesto di criminalizzazione contro un movimento che è un esempio per tutti di lotta, socialità, elaborazione politica, solidarietà e pragmatismo. 

di Davide Falcioni 

La sentenza di primo grado del maxi processo No Tav, che ha condannato 47 attivisti a 145 anni di carcere e risarcimenti per centinaia di migliaia di euro, si prefiggeva ancora una volta il chiaro intento di criminalizzare l’intero movimento, intimidendo tutti coloro che intendono praticare la resistenza alla grande truffa della linea ad alta velocità. 

Colpire il movimento No Tav vuol dire colpire le lotte sociali che potrebbero inaugurare anche in Italia una nuova stagione della politica, di quella politica che si nutre del conflitto, che si radica nelle lotte ambientali, operaie, studentesche e sociali e può esplodere anche sul terreno della rappresentanza, come è esplosa Syriza in Grecia. Non è un caso che – all’indomani delle condanne del maxi processo sulle proteste del 27 giugno e 3 luglio 2011 – sia iniziato anche il procedimento a carico dello scrittore Erri De Luca

Cosa ha detto di strano l’autore campano? Che ha partecipato ad azioni di sabotaggio e che il sabotaggio è l’unica arma in mano alle popolazioni quando la politica non presta ascolto alle loro legittime richieste. Cioè, sul piano strettamente teorico, una verità che si può studiare su qualsiasi libro di storia. Processare De Luca, tuttavia, significa dare un chiaro avvertimento a quanti vorranno raccontare la lotta popolare in Val di Susa. Perché non accada che qualcuno simpatizzi per i No Tav. Perché i No Tav possono solo essere assimilati a terroristi, come fanno certi giornalisti di casa nelle questure torinesi. 

In realtà non crediamo che i procedimenti della magistratura possano scalfire una lotta popolare che ha nella semplicità la sua grande forza. Mi raccontava tempo fa una compagna sui 50 anni, insegnante in una scuola materna, che le capita che suo figlio, 20 anni, le telefoni preoccupato, sapendola in Clarea in un’azione di disturbo. E che dire di Marisa, 70 anni, con una serie di processi sulle spalle da mettere paura, ma durissima nel replicare al P.M. Pedrotta che l’accusava di mentire durante una testimonianza, intimandogli di non azzardarsi a rovesciare il senso dei suoi racconti. 

Quello in Val di Susa, in fondo, è anche un patto generazionale, quasi un’anomalia anche sul piano strettamente sociologico. I vecchi non hanno abdicato ai loro doveri, e se un anziano non può correre sui sentieri di montagna di certo può preparare un piatto di pasta ai giovani andati a tagliare le reti. Perché il movimento è lotta, ma è anche socialità, elaborazione politica, solidarietà e pragmatismo. E’ la ricerca di alleanze “generazionali” e politiche inedite: allo scopo di bloccare la grande opera concorrono comunisti e anarchici, ma anche cittadini senza una chiara collocazione politica e persino i miti Cattolici della Valle: non è un caso che in Clarea svetti una statua di Padre Pio, con il fazzoletto No Tav sul volto e al posto dei ceri votivi i candelotti di gas lacrimogeni. 

E' bene che la sinistra - anche quella “istituzionale” - comprenda i meccanismi di funzionamento del Movimento No Tav e che i partiti ne assimilino un po’ gli ingranaggi: ad esempio la pratica delle assemblee, che si concludono il più delle volte con l’unanimità dei fini e dei mezzi, riuscendo a mettere d’accordo soggetti solo teoricamente distanti anni luce tra loro. Una pratica che non si concretizza nei teatri o nei palazzetti (ogni riferimento alle modalità di costruzione del “nuovo soggetto politico unitario” non è casuale, anzi!) ma sulla strada, sui sentieri, costruendo la reciproca fiducia nella cooperazione per – ad esempio – mandare avanti un campeggio estivo che coinvolge centinaia di persone. Nella mia esperienza non ho conosciuto generali né altri “graduati”: ho pulito i bagni e cucinato per una cinquantina di compagni, come tutti. E come tutti ho partecipato ad assemblee in cui, da perfetto sconosciuto, ho portato il mio contributo. 

Per questo il Movimento No Tav è avanti anni luce rispetto alle spesso misere beghe della sinistra italiana: perché ha anticipato pratiche che saremo obbligati ad adottare. E perché ha costruito la sua forza sulla carne viva delle donne e degli uomini. 

07/02/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Davide Falcioni

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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