Recensioni di classe 22

Recensioni di classe alla serie Perry Mason e ai film Crudelia, Madre di Bong Joon-ho, Seules les bêtes, The Shift e Il cattivo poeta.


Recensioni di classe 22

Perry Mason 1x8 è una serie televisiva statunitense del 2020 creata da Ron Fitzgerald e Rolin Jones, voto: 8+; la serie reinventa completamente la figura di Perry Mason, narrando la sua storia giovanile, prima di diventare l’avvocato protagonista dei diversi gialli a lui dedicati da Erle Stanley Gardner e di diversi film e serie televisive. Nata come miniserie, è ambientata a Los Angeles nel 1932, negli anni della grande depressione. Perry Mason è un giovane detective che ricorda per diversi aspetti Philip Marlowe, il detective privato nato dalla penna del celebre scrittore di noir Raymond Chandler. Così la serie si presenta come una ripresa dei primi grandi classici del noir. In più si aggiunge, a rendere più problematico il protagonista, un passato da militare nella Prima Guerra Mondiale e da allevatore messo in ginocchio dalla crisi. Nel primo episodio come tratti significativi emergono il ruolo oscuro di una setta religiosa e la corruzione della polizia.

Nel secondo capitolo-episodio della serie emergono due figure importanti: il procuratore distrettuale, destinato a divenire l’antagonista di Mason, in futuro avvocato dedito alla difesa di innocenti che rischiano di essere ingiustamente condannati. Alla base di tale contrapposizione vi è il sistema giuridico statunitenseche la classe dominante sta facendo di tutto per introdurre in Italia – in cui il procuratore distrettuale, del tutto disinteressato a collaborare nella scoperta della verità, cerca unicamente il sospettato-mostro da sbattere in prima pagina. Emerge, inoltre, il futuro detective collaboratore del Mason avvocato, un poliziotto afro-americano che non può contribuire a far emergere la verità in quanto ingiustamente penalizzato dalle irrazionali norme razziste.

Nel terzo capitolo-episodio la serie finalmente sembra decollare. Le tematiche sostanziali che facevano da contorno emergono sempre più in primo piano. Emerge, innanzitutto, come il procuratore distrettuale – mirando alla carica di sindaco – cerchi di imporsi come massimo garante della legge e dell’ordine, puntando a condannare alla pena di morte ogni sospetto, grazie anche alla eco dei mezzi di comunicazione di massa. La polizia svela sempre di più il suo vero volto, ossia la sua essenza oscura, che la pone ai più alti livelli della criminalità organizzata. Emerge inoltre la spaventosa discriminazione di donne e afroamericani, che non a caso rappresentano generalmente le classi più sfruttate. Significativo anche il tentativo di tali settori di ribellarsi, stabilendo momenti di solidarietà fra di loro. Inoltre, emerge la strumentalizzazione del fenomeno religioso da parte di avventurieri e magnati senza scrupoli. Infine, mai come in questo capitolo, la serie fonde mirabilmente un noir avvincente con significative riflessioni sostanziali sul piano sociale.

Il quarto e il quinto capitolo-episodio sono leggermente sottotono rispetto al vertice raggiunto nel terzo. Gli aspetti del noir, sempre più processuale, tendono a prendere il sopravvento sulle questioni sostanziali, sociali e razziali che tendono a passare sullo sfondo. D’altra parte si approfondisce, in relazione alle discriminazioni razziali e di classe che subiscono, lo sviluppo di posizioni radicali che criticano efficacemente le posizioni moderate.

Il sesto capitolo si mantiene sulla linea dei due precedenti, si approfondisce la questione dello stato di apartheid in cui vivevano di fatto gli afroamericani, i pregiudizi verso le donne con una loro vita sessuale, il livello infernale di corruzione della polizia e dei procuratori forcaioli e, infine, come i ricchi anziani delle sette religiose costituiscono un vero e proprio comitato d’affari per truffare i bigotti bifolchi e siano pronti a utilizzare anche i mezzi più sporchi per salvaguardare e accrescere i propri sempre più inaccettabili privilegi.

Nel settimo capitolo la serie riprende quota, mostrando come dietro la violenza criminale degli apparati di sicurezza vi sia da una parte il pubblico ministero sempre pronto a sbattere il mostro in prima pagina per fare carriera politica, dall’altra i grandi mezzi di comunicazione che fanno da cassa di risonanza e creano l’opinione pubblica fautrice del fanatico giustizialismo tutto legge e ordine e, infine, vi sono i ricchi che controllano la religione e sono interessati solo al profitto. Inoltre funziona molto bene la dialettica che si riesce a costruire fra film d’azione, noir, giallo e film processuale. Resta, al solito, il difetto che si possano risolvere i problemi dell’attuale società grazie all’impegno eroico di un pugno di individui, che non si pongono mai realmente il problema di mobilitare le masse, ma al limite di condurre una lotta per l’egemonia su di esse in quanto giurati in tribunale. Certo, resta l’essenziale elemento catartico per cui anche pochi individui, impegnati in prima linea – seppur inconsapevolmente – nella lotta per l’emancipazione del genere umano possono fare la differenza.

Nell’ottavo episodio si chiude, almeno per il momento, il processo divenuto il centro della serie, ma al contempo si aprono diversi nuovi enigmi atti a lanciare la prossima serie. Nella conclusione purtroppo la questione delle peggiori nefandezze compiute dai ricchi alla guida della chiesa restano troppo sullo sfondo, anche se si annunciano approfondimenti nella prossima serie. Ritornano i grandi temi della discriminazione delle donne, degli afroamericani cui si aggiunge quella che subiscono i latinos di recenti immigrati, soprattutto se donne. Per altro emerge che i futuri responsabili del rapimento avevano lavorato come squadristi al servizio del padronato per reprimere le lotte dei lavoratori. Riemerge, inoltre, tutto il puritanesimo caratteristico degli Stati Uniti, per cui il procuratore inquirente riesce quasi a far condannare a morte la vittima, cui è stato ucciso il figlio, in quanto colpevole di avere una relazione extraconiugale, peraltro in parte comprensibile per la completa mancanza di amore da parte del marito. Infine, emerge la tragica condizioni delle donne orientali rinchiuse in un bordello, costrette a ricorrere all’eroina per poter sopravvivere alle costanti violenze sessuali che erano costrette a subire.

Crudelia di Craig Gillespi commedia, distribuito da Walt Disney, Usa 2021, voto: 7+; film ben rifinito e certamente godibile, rivisita la storia della famosa Carica dei 101, da un punto di vista spiazzante, ovvero dal punto di vista del personaggio che nel celebre cartone animato incarna il male assoluto. Rovescia così il significato di un classico prodotto dell’industria dello spettacolo da un punto di vista straniante, nella prospettiva del negativo. Nella contrapposizione e nel rovesciamento dei contrari si presenta anche un significativo squarcio di lotta di classe, anche se essenzialmente incentrata su due grandi antagonisti. Notevoli sono anche la colonna sonora e i costumi.

Madre di Bong Joon-ho, drammatico, Corea del Sud 2009, voto: 7-; non c’è dubbio che Bong Joon-ho sappia davvero il fatto suo come filmmaker. Anche questo film giovanile, ripescato dopo il successo di Parasite, lo dimostra ampiamente. D’altra parte tutto questo talento rischia di andare sprecato come nel caso di Parasite, in quanto per creare sapientemente il colpo di scena finale, si lascia emergere in tutta la sua brutalità la cattiveria dei poveri, per usare il termine di Brecht. D’altra parte, mentre in quest’ultimo erano chiarissime le cause sociali, economiche e politiche di questa cattiveria “seconda”, ossia quale conseguenza della cattiveria “prima” dei ricchi, ciò non si palesa nelle opere del regista coreano. Anzi la cattiveria dei poveri, per quanto tutto sommato realisticamente rappresentata, finisce quasi per giustificare quella dei ricchi. Tanto che, esattamente come in Parasite, la tragedia si volge in tragicommedia, in quanto si ritorna sostanzialmente, in modo decisamente conservatore, al punto di partenza. Certo, visto che il povero è essenzialmente il sottoproletario tale conclusione potrebbe apparire tutto sommato necessaria. D’altra parte il problema di fondo di questa lettura solo apparentemente radicale del conflitto sociale, dipende dal fatto che il regista ha fatto propria la posizione opportunista di Marcuse per cui nei paesi a capitalismo avanzato la classe potenzialmente rivoluzionaria sarebbe generalmente rappresentata dai “grandi esclusi” e non dal proletariato, colpevolmente il grande assente nei film di Bong Joon-ho.

Seules les bêtes di Dominik Moll, thriller, Francia e Germania 2019, candidato a 2 Cesar, voto: 7-; ben costruito e certamente piacevole, il film riprende la celebre struttura formale della Ronde, che consente di vedere la stessa storia dai diversi punti di vista soggettivi dei suoi personaggi. D’altra parte, se il tema di fondo della Ronde è quello della commedia, in Seules les bêtes domina il tragico. Peccato che, come generalmente avviene nel cinema europeo, si tratta di una tragedia monca, priva della necessaria conclusione catartica. Si tratta di un chiaro indizio della decadenza della classe dirigente dell’Ue e del principio di morte che sembra attraversare una parte consistente della cultura “alta” europea. I personaggi sono presentati in modo alquanto realistico anche se, come di consueto, mancando del tutto lo spirito d’utopia e nessuno di essi apre una possibile prospettiva. Infine, dopo troppi film che tendono a esaltare la vita rurale, qui viene al contrario presentata nei suoi aspetti più deteriori. D’altra parte, anche in questo caso, si finisce con l’avere un quadro poco dialettico, in quanto troppo unilaterale.

The Shift, di Alessandro Tonda, thriller, Italia e Belgio 2020, voto: 6,5; film realizzato con pochi mezzi, ma certamente efficace e godibile. Il film lascia anche alquanto da riflettere su come trattare i minorenni radicalizzati dal terrorismo islamico. In casi del genere è essenziale non pensare astrattamente, come tendono a fare gli apparati di sicurezza e spesso anche di informazione di massa che vedono solo il terrorista e non, al contempo, la vittima. Peccato che il film non sia in grado e non abbia il coraggio di indagare le ragioni economiche e sociali che fanno sì che un minorenne oltre che terrorista debba anche essere considerato una vittima, da curare piuttosto che da uccidere seduta stante, come purtroppo generalmente avviene, impedendo così di comprendere più a fondo un fenomeno tanto tragico quanto sconcertante.

Il cattivo poeta, di Gianluca Jodice, biografico, Italia 2021, voto 5,5; film su Gabriele D’Annunzio indubbiamente ben realizzato e a tratti piacevole e interessante. Peccato che tanto impegno e tanti talenti – dal regista esordiente, al montatore, agli attori – siano non solo completamente sprecati ma, per quanto forse inconsapevolmente, latori di un contenuto decisamente revisionista. In effetti, il cattivo poeta ribelle aristocratico, esponente della destra più radicale – e chi lo sostiene nel suo delirio di onnipotenza – vengono presentati addirittura come dei valorosi resistenti al presunto unico errore del fascismo, ovvero l’alleanza con il nazismo. In realtà la critica del cattivo poeta è rivolta all’alleanza con il barbaro tedesco e, quindi, è in realtà animata da nazionalismo e pregiudizi razziali, non contenendo nessuna critica al regime nazista. Non a caso è stato scelto come consulente storico del film un intellettuale decisamente conservatore.

08/10/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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