Uno spettro si aggira per l’Europa

Il film A casa nostra offre la possibilità allo spettatore di riflettere sul rischio che corre nuovamente l’Europa nel momento in cui è lo spettro del fascismo a usurpare il ruolo del comunismo.


Uno spettro si aggira per l’Europa Credits: https://play.google.com/store/apps/details?id=com.wanxing.circus&hl=it

A CASA NOSTRA di Lucas Belvaux, Francia, Belgio 2017: valutazione: 7,5

Forse il più significativo film visto quest’anno, fino a questo momento, sugli schermi italiani e non a caso subito fatto scomparire dalle sale. Eppure la pellicola è stata distribuita nel momento migliore, ovvero alla vigilia del ballottaggio delle presidenziali francesi dove per la prima volta un candidato della destra radicale, sulle orme di Trump, ha rischiato di acquisire un enorme potere in una delle maggiori potenze imperialiste europee e internazionali. Tale rischio, che avrebbe reso la situazione internazionale ancora più esplosiva e l’imperialismo maggiormente aggressivo, è stato ancora più sottovalutato del caso americano, nonostante in Francia come negli Stati uniti si sia imposto, con un colpo di stato soft, un sistema presidenzialista fortemente improntato sul modello bonapartista.

Certo anche nel caso francese tale sottovalutazione è dovuta al fatto che l’egemonia ideologica borghese abbia imposto, con il controllo dei mezzi di comunicazione e dell’industria culturale, il mito per cui l’unica realistica alternativa all’attuale restaurazione liberista sia la restaurazione dell’aperta reazione post-fascista. Tale mito si fonda, a sua volta, sul mito altrettanto pernicioso del voto utile e della guerra al terrorismo, che hanno portato alla sconfitta, sebbene di misura, dell’unico realistico antidoto alla necessità di dover scegliere fra la peste e il colera, ovvero il candidato di sinistra (Sanders e Melanchon). Così dinanzi a elettori di sinistra, caduti nella trappola del voto utile, la sconfortante sfida fra il candidato dell’imperialismo finanziario transnazionale e il candidato dell’imperialismo razzista e postfascista, ha portato a sottovalutare, in un’altra parte significativa della sinistra, i rischi connessi al venir meno della coscienza anti-fascista diffusa nelle classi subalterne. Così mentre i più consapevoli esponenti della grande borghesia si schierano consapevolmente con il proprio candidato, diversi membri delle classi subalterne finiscono con il cedere alla sirene di una illusoria terza posizione, di una altrettanto illusoria rivoluzione conservatrice, ovvero a seguire la pericolosa logica meccanicistica che porta a considerare il nemico del proprio nemico necessariamente un proprio amico oppure a sostenere l’altrettanto meccanicistico slogan del tanto peggio tanto meglio.

Il film di Belvaux ha il grande merito di contrastare in modo efficace tali posizioni, mostrando il vero volto del fascismo del ventunesimo secolo, che si nasconde dietro il discorso apparentemente post-ideologico degli attuali rappresentanti della destra radicale in doppio petto. Anche il fascismo sembra aver riscoperto, come il neo-liberismo, le proprie origini e così tende a ripresentarsi sotto le forme ambigue che aveva assunto in Italia con il suo primo programma di San Sepolcro, dove scimmiottava diverse parole d’ordine di sinistra e più genericamente anti-capitaliste, occultando che tali critiche possono essere condotte tanto in una prospettiva progressista quanto da un punto di vista reazionario, come da tempo ha mostrato il cattolicesimo. Ciò, ovviamente, come dimostra l’altrettanto significativo film Piigs, non può portare ad abbandonare la lotta da sempre condotta dalla sinistra di classe contro l’imperialismo europeo che tende a inglobare sempre più gli imperialismi nazionali, ovvero i primi e principali avversari delle forze realmente progressiste. Anche in questo caso bisogna evitare la logica meccanicistica dei riflessi condizionati che portano da una parte esponenti di sinistra ad abbandonare la lotta all’imperialismo europeo, in quanto a esso si opporrebbero anche i reazionari, e dall’altra altrettanti uomini di sinistra a difendere le prerogative del proprio stato nazionale, sebbene imperialista, in quanto sta per essere inglobato nella superiore dimensione transnazionale dell’imperialismo europeo.

Il film è intelligentemente ambientato in una regione del nord della Francia che, fino a pochi anni fa – per la forte presenza del proletariato impiegato nelle miniere e nelle fabbriche e per la credibilità acquisita dal Partito comunista quale alternativa progressista al capitalismo – era considerata un bastione della sinistra radicale. Negli ultimi anni con la terziarizzazione prodotta dalla crisi di sovrapproduzione, per la volontà del padronato di eliminare le forte concentrazioni di lavoratori salariati, che favoriscono la coscienza di classe, a causa della perdita di credibilità del Pcf – troppo spesso coinvolto con i socialiberisti nella gestione, mediante le istituzioni dello stato imperialista, della crisi – hanno finito per affermarsi gli esponenti della destra razzista e radicale post-fascista. Anzi, quest’ultima ha puntato proprio a conquistare tali roccaforti, per conquistarsi credibilità agli occhi delle classi dominanti, come preziosa alternativa di destra, alla crisi di consenso che necessariamente incontra la restaurazione liberista. In tal modo la rabbia sociale fra i subalterni è convogliata nelle rassicuranti, per la classe dominante, braccia della destra populista, cui viene affidata la parte del poliziotto cattivo, indispensabile a far apparire buono il poliziotto neo-liberista.

Tanto più che quest’ultimo non ha necessariamente alcuna credibilità fra le masse popolari, per le politiche di macelleria sociale e antidemocratiche portate avanti, che lo fa apparire a ragione come il partito dell’oligarchia del capitale finanziario transnazionale. Di quest’ultimo Macron, come del resto Clinton negli Usa, è il più sfacciato rappresentante. Proprio per questo, agli occhi di subordinati privati della coscienza di classe – con il venir meno delle miniere e delle grandi fabbriche, delocalizzate nei paesi in via di sviluppo, e della credibilità del Pcf, colpito dall’istituzionalismo quale malattia senile del comunismo – un messaggio populista, anche se di destra, può apparire il necessario antidoto al dominio delle odiate e odiose oligarchie. Tanto più se, a renderlo maggiormente credibile, concorre il volto di una proletaria resa popolare fra la classe dominante dalla sua totale mancanza di coscienza di classe, fra le classi dominate dalla sua eticità che la porta spontaneamente a un’attitudine solidaristica anche nei confronti degli umiliati e offesi.

Nipote di minatori, figlia di operai comunisti autoctoni – fiaccati fisicamente dalle terribili condizioni di sfruttamento e spiritualmente dall’ideologia divenuta dominante dopo la disfatta storica del comunismo europeo – la protagonista è una giovane infermiera a domicilio, che diviene facile preda dei loschi piani della destra post-fascista. Quest’ultima è altrettanto realisticamente rappresentata da un personaggio, altrettanto tipico, un intellettuale borghese, che ha abbandonato la giovanile militanza nazi-fascista per divenire il principale rappresentante locale della destra radicale in doppio petto. Quest’ultimo, sfruttando in modo perfidamente abile le debolezze della giovane precaria - orfana ideologicamente della coscienza di classe, rappresentata in modo altrettanto realisticamente tipico dalla malattia e dalla depressione dei genitori ex operai comunisti - riesce a poco a poco a egemonizzarla.

A questo proposito appare decisiva la responsabilità della vecchia generazione a suo tempo dotata di coscienza di classe, che ha perduto del tutto l’ottimismo della volontà, divenendo politicamente sempre più passiva, tanto da non adempiere al suo dovere, alla sua responsabilità storica, di trasmettere alla nuova generazione la coscienza di classe. Del resto è la stessa crisi e la malattia mortale che affligge la sinistra storica, del tutto incapace di rielaborare la sconfitta, di imparare dai propri errori per riprendere da posizioni più avanzate l’assalto al cielo, a far venir meno nelle giovani generazioni la stessa decisiva consapevolezza della lotta di classe. In tal modo diviene impossibile distinguere i veri amici dai reali nemici, tanto che diviene possibile fraternizzare persino con esponenti della destra radicale a patto che appaiono aver dismesso i panni truculenti del passato squadrismo e aver indossato i tranquillizzanti doppio petto della nuova classe dirigente.

In tal modo, però, l’unico modo per rompere con l’egemonia della destra radicale, su un post-proletariato prodotto dalla perdita della coscienza di classe, risiede nella rottura con la tenebra del quotidiano e nella riscoperta della memoria storica, per cui la destra radicale in doppio petto si rivela essere, al di là delle suo professarsi post-ideologica, come l’erede naturale della destra storica, nazi-fascista.

Questo è anche il principale limite del film, in quanto la soluzione che offre alla resistibile riconquista del potere della destra radicale è piuttosto debole. In primo luogo in quanto la catarsi non è il prodotto di un’opera che dà al suo pubblico gli strumenti per arrivarci in modo autonomo, ma la offre già bella e pronta. In tal modo si perde la valenza critica della dialettica negativa e si cade nell’illusione idealistica che sia possibile superare in modo idealistico le contraddizioni reali, ovvero storiche e sociali. In altri termini, la soluzione catartica esperita dalla protagonista è piuttosto irrealistica, in quanto non è affatto tipica. In primis perché risulta plausibile in un contesto particolare, quello franco-belga, in cui è ambientato il film, dove gli attuali esponenti della destra radicale sono gli eredi naturali della destra nazi-fascista. Tale situazione è oggi, più l’eccezione che la regola, visto che a livello internazionale la destra radicale è piuttosto l’erede spirituale della destra storica fascista.

In secondo luogo non appare universalizzabile l’indicazione di poter uscire dall’eterno presente della tenebra del quotidiano guardando al passato, ovvero riacquisendo una memoria storica che si è interrotta in quanto la generazione della sconfitta non è stata in grado di tramandarla alle nuove generazioni cresciute dopo la fine del mondo bipolare della guerra fredda, dove decisamente più difficile era non schierarsi, assumere posizioni anti-politiche e qualunquiste. Per quanto importante la conoscenza del passato non è affatto sufficiente, in quanto, considerato che l’ideologia dominante è sempre quella della classe dominante, non può che avere successo a livello molecolare, ossia in casi particolari, non universalizzabili.

Inoltre la semplice consapevolezza della continuità storica fra il passato e il presente dominio di classe, non porta da solo alla necessità di elaborare una visione del mondo autonoma di classe su cui fondare un’azione politica rivoluzionaria. Il passato, non illuminato dallo spirito dell’utopia, come osservava a ragione Ernst Bloch, resta un susseguirsi di eterni presenti prigionieri della propria immediatezza, della propria positività. Utilizzando la celebre metafora che Benjamin riprende da Paul Klee il passato non può che apparirci come uno sconsolato cumolo di macerie, al quale possiamo sfuggire solo se ci lasciamo prendere dal vento rivoluzionario dello spirito dell’utopia, sole se riacquisiamo il necessario ottimismo della volontà che ci porta a batterci costantemente per un mondo migliore.

13/05/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://play.google.com/store/apps/details?id=com.wanxing.circus&hl=it

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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