Unorthodox

Una mini serie da non perdere disponibile su netflix che denuncia l’oppressione della donna nelle comunità religiose ortodosse


Unorthodox Credits: https://www.open.online/2020/04/19/unorthodox-sei-motivi-per-cui-dovreste-vedere-la-miniserie-del-momento/

Unorthodox, mini serie Netflix in 4 puntate ideata da Anna Winger e Alexa Karolinski, regia di Maria Schrader, Germania 2020; voto: 8; interessante mini serie tratta da una storia vera che denuncia, una volta tanto, un fondamentalismo di cui raramente si parla: l’ebraismo ortodosso. In particolare si denuncia la pesante discriminazione e oppressione della donna.
A quest’ultima è, infatti, assolutamente proibito persino seguire la propria passione e attitudine per la musica, in quanto è anch’essa riservata ai soli uomini. Inoltre non ha nemmeno la possibilità di decidere il proprio marito, cui viene data in moglie mediante un sensale, senza averlo conosciuto prima e senza possibilità di rifiutarlo. Inoltre, chi, come la madre della protagonista, si è vista “costretta” a trovare il coraggio di emanciparsi, viene definita da tutti, all’interno della comunità, come pazza e gli viene reso, nei fatti, praticamente impossibile avere contatti con la figlia, al punto che quest’ultima viene considerata orfana all’interno della comunità.
Si tratta di una comunità assolutamente chiusa e asfittica, dove vige una sostanziale teocrazia, dal momento che tutte le decisioni di un certo peso sono lasciate al rabbino. Inoltre alle giovanissime madri viene lasciato come unico destino quello di divenire madri di molti figli, senza aver la possibilità di lavorare nella società civile. Il sesso è assolutamente tabù, non vi è alcuna educazione sessuale, se non la diseducazione che lo porta a considerare un puro strumento atto alla riproduzione. Ogni naturale pulsione libidica è censurata e condannata, tanto che molte donne vivono i rapporti sessuali con il marito come continui stupri. Tale oppressione delle donne naturalmente si estende anche ai maschi, ai mariti e ai padri che ne sono considerati guardiani e responsabili.
Inoltre donne e uomini sono costretti a portare tutta la vita una sorta di divisa e un certo modo, particolarmente assurdo, di portare i capelli, che tende a cancellare completamente le singole personalità. Vivono alienati in un mondo tutto loro, riducendo al minimo i rapporti con il resto del mondo, che si riducono spesso al semplice sfruttamento, per permettere alla comunità di sopravvivere. Cosa ancora più allucinante è che la comunità descritta non si trova in Israele, ma a New York e i suoi membri non hanno praticamente nessun contatto con la modernità che considerano, da veri reazionari, come male.
Al punto che, per riprendere la giovane moglie fuggita – solo grazie al fatto che la madre gli ha lasciato documenti tedeschi e a una rete che la aiuta a sfuggire in gran segreto, senza poter portare via nulla – viene incaricato un giovane malvisto dalla comunità, proprio perché se ne era allontanato. È, dunque, l’unico a conoscere il mondo esterno e viene sostanzialmente costretto a riportare nella comunità la fuggitiva, per essere riaccolto nella propria famiglia ed essere nuovamente tollerato nella comunità. Mentre, ad esempio, il giovane marito della protagonista ha avuto il privilegio di andare in Europa con il padre, dove ha potuto esclusivamente visitare le tombe dei rabbini, alla donna anche questo è proibito, tanto che la giovane protagonista è stata solo a New York, che non conosce praticamente, per la condizione di sostanziale reclusione che vive e che gli rendono difficile stabilire, anche una volta emancipatasi, rapporti con normali ragazzi.
Decisamente significativa anche la seconda puntata che approfondisce, da una parte, gli aspetti irrazionali e reazionari della religione, dall’altra, l’oppressione in modo particolare dei più deboli, a partire dalle donne. In particolare si mostra come le donne all’interno della comunità siano completamente private dell’istruzione, se non quella necessaria a svolgere il ruolo cui sono destinate, ovvero la schiavitù domestica. Particolarmente allucinante è la completa mancanza di educazione sessuale, per cui le donne anche da questo punto di vista sono tenute nella più completa ignoranza, al punto che non hanno nemmeno consapevolezza del loro corpo. Quando, prima del matrimonio, vengono indottrinate, il rapporto sessuale non è presentato né in connessione alla libido e neanche all’amore, ma esclusivamente alla procreazione. Anche gli uomini sono esclusi dall’istruzione, se non quella strettamente religiosa, e non hanno nessun contatto reale con il mondo moderno, a partire dal divieto dello smartphone e di internet.

Anche i rapporti affettivi sono totalmente sottoposti al comunitarismo, che oltre a negare la libertà dell’uomo, il diritto di parola e di pensiero, porta a una separazione assurda persino fra una madre, uscita dalla comunità, e la figlia, tanto da non poter partecipare nemmeno al suo matrimonio. Anche la nipote, sebbene educata e legatissima alla nonna, quando prova a chiederle consiglio una volta abbandonata la comunità, quest’ultima si rifiuta di parlargli, sebbene la giovanissima ragazza sia sola e disperata. Mentre affida al rabbino il compito di riportare la fuggitiva con ogni mezzo necessario, anche con la violenza. Di questa assurdità, nessun membro della comunità, anche i più legati affettivamente alla ragazza, sembra preoccuparsi. Lo stesso marito, per quanto perplesso, pare comunque più preoccupato per le spese sopportate per recuperare la moglie, piuttosto che dei mezzi messi in campo per costringerla a tornare, sui quali anche lui non si interroga più di tanto. Colpisce, infine, come la più dura e intollerante nei confronti della giovane fuggitiva sia una giovane israeliana laica, rappresentante di quella componente sionista altrettanto dura e spietata verso i più deboli, anche se pienamente integrata nella modernità dei paesi a capitalismo avanzato.

La donna, dopo essere stata fatta sposare, è costretta a farsi rasare a zero i capelli. La sua femminilità è del tutto annullata. Conta ed è riconosciuta soltanto in quanto madre, visto che le è stato inculcato che deve produrre più bambini possibili per poter ridare vita ai sei milioni di ebrei sacrificati nell’olocausto. In tal modo i rapporti sessuali divengono un rituale privo di piacere e di amore, del tutto meccanico, in cui la donna deve solo apprendere a sacrificarsi e a soffrire, perché solo così potrà essere madre e venire riconosciuta nella comunità. Tanto più che in tutto il periodo in cui non sono fertili le donne vengono considerate solo come qualcosa di negativo, sono bandite dalla comunità e dallo stesso ruolo di moglie nella famiglia. Ruolo che potranno riassumere solo nel momento in cui torneranno a essere fertili.

In più, in un mondo dove tutto è rigidamente prescritto dalle tradizioni arcaiche di una comunità rigidamente chiusa, come quella ungherese di provenienza, oltre a esse domina solo il Talmud – uno dei testi sacri dell’ebraismo al quale tutto è sottoposto – a cui, però, le donne non possono avere accesso. Così quando la protagonista prova a controbattere rispetto alle insensate usanze tradizionali irrazionali e reazionarie richiamandosi alla legge e mostrando come anche la legge contenga un minimo di umanità, riconoscendo la necessità di un minimo di piacere all’interno dell’atto riproduttivo, viene messa immediatamente a tacere, in quanto la donna non può avere accesso alla legge e, quindi, non può a essa richiamarsi. D’altra parte il marito – che segue meccanicisticamente tutti i rituali e che ha vissuto del tutto estraniato dal mondo nel suo angusto comunitarismo – non è di nessun aiuto, in quanto non ha la minima idea di cosa possa provocare piacere alla donna. Per altro, l’aspetto superstizioso e al contempo ipocrita del fondamentalismo religioso si vede nel modo di comportarsi dell’altro ebreo ortodosso che accompagna il marito il quale, dopo aver passato la mattinata a cercare la tomba di un certo rabbino, per poter attraverso un rito tutto esteriore ottenere il suo aiuto, porta il marito in un bordello. Inoltre, è essenzialmente interessato al solo gioco di azzardo e porta avanti il proprio compito nel modo più cinico, penetrando di nascosto nella casa della madre della protagonista e lasciando un evidente segno di disprezzo, marcando il suo ingresso furtivo.

Infine, veniamo anche a conoscere la tragedia della madre della protagonista, costretta a svolgere in Germania un lavoro pesante e servile, non avendo avuto un’educazione e non avendo nessuno della sua famiglia e della comunità in cui è cresciuta che la riconosca più come essere umano. Tutto ciò perché è stata destinata a sposare un poco di buono, un alcolista assolutamente incapace di provvedere al patrimonio della famiglia, costringendo la moglie a cercare rifugio nella fuga, dal momento che alle donne non è permesso lavorare e la comunità – sempre pronta a punire e a marginalizzare ed escludere il diverso – in una situazione così drammatica non viene in nessun modo in aiuto alla giovane donna. Così, pur di non riconoscere i palesi difetti dell’uomo, si costringe la donna a dover fuggire dall’altra parte del mondo, di modo da far passare lei come la folle e la poco di buono.

Nella quarta parte della serie apprendiamo particolari ancora più aberranti delle visioni del mondo religiose ortodosse. In particolare, emergono gli aspetti reazionari della antica religione ebraica già messi in evidenza da Hegel. Innanzitutto la presunzione di essere il popolo eletto da dio, che non deve avere nessun rapporto di amicizia, né deve mischiarsi con gli altri popoli. Anzi l’averlo fatto, significa aver dimenticato il proprio dio e questo avrebbe prodotto le continue persecuzioni da parte dei popoli vicini, sino all’olocausto. Proprio perciò la comunità è tutta chiusa nella sua antica lingua e tradizione e non ha nessun tipo di rapporti amichevoli al di fuori di essa. Anzi chi se ne allontana è perseguitato, al punto che alla protagonista – di una storia vera, è utile ricordarlo – la si mette dinanzi alla scelta se tornare nella comunità o uccidersi.

Altro aspetto particolarmente repressivo è seguire una religione contrapposta, sostanzialmente, alla natura umana, che impedisce a chi la pratica di seguire il proprio naturale impulso libidico e la propria naturale ricerca della felicità, tanto più se si è donna. Al punto che quest’ultima, data in sposa giovanissima, non può più mostrare i suoi capelli ad altri uomini, tanto che è costretta a rimanere rasata a zero. Scopriamo, inoltre, che la madre, di cui le era sempre stato detto, a partire da zia e nonna, che l'aveva abbandonata da piccola, in realtà era stata a sua volta vittima della comunità. Costretta ad allontanarsene giovanissima e senza istruzione, con la figlia appena nata, era stata perseguitata e portata in tribunale dalla comunità che – con i suoi potenti mezzi – le aveva fatto togliere la patria potestà e, sostanzialmente, lo stesso diritto di vederla. Emerge, inoltre, che alla giovane – pur essendo portata e adorando alla musica –  era proibito, come a tutte le donne, anche il canto in pubblico. Infine, scopriamo – grazie a un significativo montaggio che incrocia la nuova vita della protagonista e la precedente vita all’interno della comunità – che ella, rimasta infine incinta, non riesce nemmeno a comunicare la tanto attesa notizia al marito, il quale era stato convinto nel frattempo dalla madre a ripudiarla, in quanto non sarebbe “mai potuta essere una brava moglie”. È molto significativo mostrare come mediante la lotta la giovane è riuscita a emanciparsi, infine, dal comunitarismo oppressivo e reazionario all’interno del quale era stata, sino ad allora, costretta a sopravvivere.

Il difetto principale della serie è il suo limitarsi alla critica – per quanto sacrosanta – dell’irrazionalismo e dell’oppressione delle visioni del mondo religiose vissute in modo ortodosso, credendo di poter trovare nell’emancipazione da esse l’emancipazione dell’uomo. Senza comprendere che tali forme irrazionali di religiosità continuano a sopravvivere – non a caso proprio negli Stati Uniti – in quanto la società capitalista è una società ultra individualista, senza cuore, che fa nascere negli individui il bisogno di un cuore artificiale e di una comunità, per quanto oppressiva della libertà soggettiva quest’ultima possa essere.

24/05/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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