Hegel a Tubinga

La riflessione kantiana è interpretata da Hegel, Hölderlin e Schelling, come avente in sé il fondamento di ogni possibile sviluppo della filosofia e più in generale della rivoluzione spirituale dell’epoca, al cui pieno dispiegamento si trattava di contribuire.


Hegel a Tubinga

Dal momento che un po’ tutti gli interpreti hanno riscontrato un influsso decisamente maggiore di Immanuel Kant sui testi hegeliani degli anni in cui fu precettore a Berna (1793-1796) rispetto a quelli in cui fu studente a Tubinga (1788-1793) [1], non essendo verificabile un reale confronto con la filosofia critica nel periodo trascorso al seminario teologico tubinghese (Stift) e, tantomeno, un suo reale superamento [2] è presumibile che solo in Svizzera Georg Wilhelm Friedrich Hegel abbia avuto modo di conoscere in maniera approfondita le opere kantiane. Ciò non impedisce che la riflessione kantiana sia interpretata da Hegel, ma anche da Friedrich Hölderlin e Friedrich Schelling, come avente in sé il fondamento di ogni possibile sviluppo della filosofia e più in generale della rivoluzione spirituale dell’epoca, al cui pieno dispiegamento – in contrasto con le interpretazioni deboli e tutte difensive datene dal rettore del seminario di Tubinga Gottlob Christian Storr – si trattava ora di contribuire.

Tale ideale che accomuna i geniali studenti dello Stift è bene espresso da un passaggio di una lettera di Schelling a Hegel, in cui si trova l’evidente riferimento all’esigenza comune ai due amici di preservare i princìpi rivoluzionari della filosofia kantiana dai tentativi compiuti dalla teologia dogmatica di sminuirne la portata. “Entrambi vogliamo andare avanti – scrive Schelling – entrambi vogliamo impedire che la grandezza che la nostra epoca ha prodotto, si ritrovi nel suo insieme con il lievito stantio dei tempi andati; – essa deve restare tra noi pura, come è spuntata dallo spirito del suo creatore, e, se possibile, essa deve passare da noi alla posterità, non con delle deformazioni e deviazioni verso la vecchia forma più sublime, e con il chiaro annuncio che all’intera attuale costituzione del mondo e delle scienze si offre la lotta per la vittoria e la sconfitta” [3].

Così, l’implacabile critica del giovane Hegel alla teologia confessionale e dogmatica di Storr diviene, dunque, comprensibile solo nel quadro di quella vera e propria rivoluzione copernicana rappresentata dalla filosofia critica, che si era rivolta contro il dogmatismo della filosofia di “scuola” [4]. In altri termini, la concezione della religione di Hegel doveva svilupparsi attraverso la presa di distanza critica dalla prospettiva dominante nel corpo docente del collegio, proprio a partire dal rifiuto del tentativo di recuperare all’ortodossia la filosofia kantiana.

Come osserva Carmelo Lacorte, richiamandosi a Eduard Zeller, “dopo il primo periodo (quello di Stoccarda) in cui è palese la simpatia dell’adolescente Hegel per i principi illuministici della tolleranza, e in generale per gli avversari illuminati dell’ortodossia, l’interesse che Hegel mostra per le dottrine della teologia ecclesiastica, «a cui egli più tardi ha attribuito un grande valore», è assai ridotto durante il periodo giovanile, e egli «si ricorda di esse quasi soltanto per caratterizzarle come contraddittorie»” [5]. Inoltre, lo stesso quadro delle letture del giovane Hegel in questi anni, non è affatto riconducibile a opere di interesse teologico, “occorre infatti esaminare più da vicino anche la vita dello Stift e vedere in quale direzione andasse l’interesse di Hegel per quel che riguarda le sue letture extrascolastiche: non vi troveremo alcun tentativo di approfondimento delle lezioni di teologia, ma piuttosto uno studio svolto in concorrenza e in diretta opposizione a quella” [6]. Tra le letture extrascolastiche di questo periodo, per quanto concerne i classici della filosofia, Rosenkranz ricorda [7] in particolare gli estratti fatti da Hegel su opere di Locke, Hume e Kant. Più in là aggiunge: “assieme a Hölderlin, Fink, Renz ed altri amici, Hegel, secondo precise notizie, lesse e discusse Platone (ci restano ancora di quel periodo alcuni suoi tentativi di traduzione), Kant, il Woldemar, l’Alwill e le Lettere su Spinoza di Jacobi” [8], e naturalmente Rousseau di cui legge con passione L’Emilio, Il contratto sociale, Le confessioni [9]. Come fa giustamente osservare Janicaud: “sembra che Hegel abbia letto principalmente Rousseau, Jacobi e Kant, sorgenti d’ispirazione che non sono per lui – sottolineiamolo – in contraddizione con l’ammirazione verso l’Antichità” [10].

Schelling – caduto in uno stato malinconico per l’utilizzo che veniva fatto allo Stift della filosofia critica – osserva che: “a dire il vero essi hanno estratto alcuni ingredienti del sistema kantiano (della superficie, s’intende), da cui ora tamque ex machina vengono apprestati intorno a quemconque locum theologicum, decotti filosofici tanto vigorosi che la teologia che già cominciava ad intisichire, presto si leverà più sana e più forte che mai” [11]. Hegel nella sua risposta fa notare come: “sotto il materiale da costruzione, che rubano al rogo kantiano per impedire l’incendio della dommatica, essi però portano sempre a casa anche carboni ardenti: portano l’universale divulgamento delle idee filosofiche” [12]. Sorge, così, per la prima volta in Hegel il bisogno di un’autonoma rielaborazione del patrimonio culturale trasmessogli e vengono alla luce i primi scritti frammentari, come del resto lo stesso processo di formazione della sua autocoscienza. 

 

Note:

[1] Edoardo Mirri, a questo proposito, ricorda “l’osservazione, fatta da quasi tutti i commentatori del giovane Hegel, di una diversa sua posizione a Tubinga e a Berna nei confronti di Kant e di Johann Gottlieb Fichte, assai più presenti, con la loro negazione di ogni «statutarietà» della religione, nel periodo bernese che non in quello tubinghese”. G.W.F. Hegel, Scritti giovanili I, traduzione italiana di E. Mirri, Guida, Napoli, 1993, p. 26.

[2] A Tubinga la presunta critica del giovane Hegel a Kant altro non è che il recupero di tesi di Jean-Jacques Rousseau, per cui la religione soggettiva non è tanto fondata sul principio universalistico e trascendentale della morale, ma su una serie di principi determinati in maniera più o meno induttiva da una presunta costituzione naturale dell’uomo in cui, contro all’intellettualismo di certo illuminismo vicino alla scolastica, si esalta il sentimento come espressione immediata della ragione.

[3] G.W.F. Hegel, Epistolario I (1785-1808), tr. it. di P. Manganaro, Guida, Napoli 1983, p. 114.

[4] Per quanto riguarda le tesi kantiane, contro cui si batteva strenuamente Storr e che saranno per buona parte alla base della riflessione sulla religione del giovane Hegel negli anni di Tubinga, ha scritto Carmelo Lacorte: “in quanto religione naturale, il cristianesimo si riduce ai principi morali, cioè a quella pura religione che è scritta nel cuore e nella ragione di tutti gli uomini [I. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione [1793], tr. it. di Poggi A., riveduta da Olivetti M., Laterza, Bari 1995, pp. 151 sgg.]; tutto il restante complesso dei dogmi, dei riti e delle cerimonie (che, rettamente intesi, possono servire anch’essi come mezzi per l’educazione alla religione pura) la determinano invece come fides statutaria”. C. Lacorte, Il primo Hegel, Sansoni, Firenze 1959, p. 166. “Il razionalista – precisa Kant – deve, per definizione, mantenersi all’interno dei limiti della conoscenza umana. Perciò egli non negherà mai – come fa invece il naturalista – la possibilità della rivelazione (o la sua necessità come mezzo per ‘introdurre’ alla vera religione) : ‘perché su questo nessun uomo può decidere mediante ragione’ [I. Kant, La religione…, op. cit., p. 155]. Ma non potrà perciò stesso neppure affermarne la possibilità e la realtà, e si distinguerà dal soprannaturalista in quanto, là dove quest’ultimo considera la rivelazione «come condizione necessaria e sufficiente» della vera religione, egli la considera solo come elemento «accidentale» [Ivi, p. 155)” C. Lacorte, op. cit., p. 165.

[5] Ivi, p. 13.

[6] Ivi, p. 138.

[7] K. Rosenkranz, La vita di Hegel [1844], tr. it., Firenze 1964, pp. 35-6.

[8] K. Rosenkranz, op. cit., p. 61.

[9] Cfr. G.W.F. Hegel, Dokumente zu Hegels Entwicklung, a cura di J. Hoffmeister, Fr. Frommans Verlag, Stuttgart 1936, p. 428.

[10] D. Janicaud, Hegel et le destin de la Grèce, Paris, Vrin 1975, pp. 34-5.

[11] G.W.F. Hegel, Epistolario I, op. cit., p. 106.

[12] Ivi, p. 110.

06/08/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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