I trattati di pace quale causa remota della II guerra mondiale

Le “paci” punitive imposte agli sconfitti favoriscono l’affermarsi del revanscismo e dello sciovinismo.


I trattati di pace quale causa remota della II guerra mondiale Credits: http://web.mclink.it/MK4761/trattato.html

Segue da Le cause della conclusione della I guerra mondiale / Link al video della lezione Unigramsci

Il governo di unità patriottica

Dinanzi alla rotta di Caporetto, si forma un governo di unità nazionale patriottica presieduto da Vittorio Emanuele Orlando e anche i socialisti riformisti come Turati e Treves fanno appello alla resistenza nazionale contro l’invasione austriaca, per arrivare a una giusta pace. Il fronte del Piave, dove si ricompone l’esercito italiano, tiene, arrestando l’avanzata austriaca.

I motivi della sconfitta degli Imperi centrali

Nel 1918, prima che il grosso delle forze statunitensi riuscisse a raggiungere l’Europa, gli Imperi centrali dislocano le loro truppe dalla Russia, uscita dalla guerra a seguito della Rivoluzione, al fronte occidentale in Francia, lanciando un’ultima, tanto poderosa quanto disperata, offensiva. Riescono nuovamente ad arrivare a pochi kilometri da Parigi, posta per la prima volta sotto tiro dalla possente artiglieria tedesca. Ma è ormai troppo tardi, l’arrivo delle truppe fresche ben armate ed equipaggiate dagli Stati Uniti, l’introduzione da parte dei britannici di una nuova terribile arma: il carro armato, la travolgente propaganda rivoluzionaria bolscevica, la fine dei viveri a causa del terribile embargo imposto dalla Gran Bretagna, la disgregazione dell’esercito austro-ungarico per la propaganda socialista e nazionalista portano alla ormai inevitabile tracollo degli Imperi centrali. Il governo tedesco, per tentare di salvare in extremis l’impero, cerca vanamente di aprire trattative di pace, rifiutate dagli alleati che puntano ormai a una resa senza condizioni.

Da Vittorio Veneto al 4 Novembre

Grazie ai consistenti aiuti franco-inglesi l’esercito italiano lancia una controffensiva che sfonda a Vittorio Veneto il fronte austro-ungarico. Con l’esercito nemico in via di disgregazione, il 3 novembre sono conquistate, senza più incontrare significative resistenze, Trento e Trieste e già il 4 novembre è conseguita la vittoria, dal momento che i soldati ungheresi e slavi si rifiutano definitivamente di combattere e l’imperatore Carlo, perso il controllo della truppa, si dà alla fuga, temendo di dover render conto delle proprie malefatte.

L’ammutinamento della flotta tedesca a Kiel

In Germania è decisivo l’ammutinamento della flotta di stanza a Kiel e la rivolta popolare a Berlino, che spingono il Kaiser Guglielmo II a cercare rifugio, ignominiosamente, nei Paesi Bassi. Crollati gli Imperi centrali, in Germania e Austria è proclamata la repubblica. L’11 novembre, infine, anche la Germania capitola e la guerra si conclude con lo spaventoso bilancio di circa 10 milioni di morti, senza contare feriti e mutilati.

I trattati di pace e il nuovo assetto mondiale

Il 19 gennaio 1919 si apre a Parigi la più importante “conferenza di pace”, contro la Germania, che doveva stabilire le linee guida del nuovo assetto politico-territoriale europeo. Protagonisti della conferenza sono il presidente Wilson degli Stati Uniti, Lloyd George, primo ministro della Gran Bretagna e Clemenceau, presidente della Francia. L’Italia è male rappresentata dal presidente Orlando e dal primo ministro Sonnino, esponenti della destra liberale conservatrice. L’impero francese, l’Impero Britannico e il Regno d’Italia intendevano approfittare, al massimo, della sconfitta dei nemici per appropriarsi di tutti i vantaggi territoriali, politici ed economici possibili, mentre Wilson, che non poteva espandersi territorialmente in Europa, intende evitare che le altre potenze divenissero troppo forti e, soprattutto, mira ad arginare la propaganda rivoluzionaria bolscevica. Perciò rivendica, anche se in modo molto parziale, il diritto dei popoli all’autodeterminazione, aspetto centrale dei 14 punti in nome dei quali aveva condotto in guerra il proprio riluttante paese.

La pace punitiva di Versailles

I vincitori impongono ai vinti ben cinque trattati di pace separata, che saranno alle origini della Seconda guerra mondiale, tanto che alcuni storici parlano ormai di una nuova guerra dei Trent’anni durata dal 1914 al 1945. A Versailles è imposto un trattato estremamente punitivo alla Germania – che avrà conseguenze nefaste, a partire dall’affermazione dell’estrema destra e dello stesso nazismo – che deve rinunciare, in primo luogo, al suo impero coloniale, che viene spartito fra Inghilterra, Francia e Giappone, lasciando a bocca asciutta l’Italia. L’Alsazia e la Lorena, due ricche regioni di confine, sono annesse dalla Francia. La regione della tedesca della Saar è assegnata per 15 anni alla Francia. A est la Germania deve cedere ampi territori alla Polonia e a nord alla Danimarca. La Germania è, inoltre, costretta ad assumersi l’intera colpa della guerra e a pagarne in toto i danni: una somma pazzesca che ammontava 132 miliardi di marchi-oro da saldare in 30 anni. L’esercito tedesco è ridotto al minimo indispensabile per reprimere i tentativi rivoluzionari interni e il paese deve rimanere privo di difese a ovest, lungo tutto il confine con la Francia. All’Inghilterra dovrebbe andare l’intera flotta da guerra tedesca, che viene affondata per evitare di doverla consegnare al nemico.

La fine di tre imperi

Più in generale, i trattati di pace punitiva, che favoriscono in Germania e Austria il revanscismo e la destra sciovinista, segnano la fine di tre imperi multinazionali – l’austro-ungarico, il germanico e il turco ottomano), il quarto, l’impero russo, è già stato rovesciato dalle rivoluzioni del 1917. In particolare il trattato di Saint-Germain decreta la fine dell’impero asburgico e la nascita di nuovi stati indipendenti come la Cecoslovacchia, la Polonia e la Jugoslavia. L’Italia ottiene il Trentino italofono e il Süd Tirol germanofono, Trieste e parte dell’Istria, aree in cui le popolazioni slavofone sono talvolta maggioritarie.

I nuovi assetti europei e mediorientali

La Repubblica austriaca è ridotta a un ottavo dell’Impero asburgico, con ben 6 milioni di abitanti, senza sbocco al mare e con una capitale enorme e un’industria divenuta sproporzionata rispetto allo scarsissimo mercato interno. L’Ungheria perde ingenti territori a danno della Cecoslovacchia, della Jugoslavia e, soprattutto, della Romania, alleata dell’Intesa. Nel Baltico, dall’Impero russo, sorgono nuovi Stati indipendenti come la Finlandia e i tre paesi baltici: Lituania, Lettonia e Estonia. La Turchia è ridotta alla sola penisola dell’Anatolia. Palestina, Mesopotamia e la Giordania passano sotto il controllo dell’Impero britannico. Siria e Libano finiscono sotto il controllo della Francia, la Turchia europea e praticamente tutte le isole del Mar Egeo passano sotto il dominio greco. Lo stesso controllo della penisola anatolica è posto in discussione dalla volontà delle potenze imperialiste europee di creare nella zona orientale uno Stato curdo, secondo la logica del divide et impera.

La fine del predominio europeo e il sorgere dei movimenti anticoloniali

Fra le principali conseguenze della prima guerra imperialistica mondiale occorre ricordare, in primo luogo, la fine del predominio mondiale europeo, a vantaggio di nuove potenze imperialiste emergenti come gli Stati Uniti e il Giappone. In secondo luogo, altrettanto importante, è la diffusione del socialismo al livello internazionale, grazie alla imponente spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre, che fa da volano a un altrettanto eccezione sviluppo dei movimenti anticoloniali e antimperialisti.

La Società delle nazioni

Nell’Aprile del 1919 viene fondata, su spinta del presidente Wilson, essenzialmente in funzione antisovietica, la Società delle nazioni, con sede a Ginevra, che dovrebbe regolare pacificamente le controversie internazionali. Essa, tuttavia, esclude dalle sue fila la grande maggioranza dell’umanità: oltre ai popoli coloniali, ovvero buona parte dei paesi extraeuropei, sono escluse l’Urss, per non aver pagato i debiti contratti dallo zar, la Germania e, infine, gli stessi Stati uniti che, dopo la vittoria elettorale dei Repubblicani – grazie al mancato voto per il presidente democratico, che ha tradito la fiducia dei suoi elettori portando il paese in guerra – non aderiscono, in nome dell’isolazionismo e contro Wilson che ne è stato il promotore. La Società delle nazioni diviene, di fatto, uno strumento politico degli imperi coloniali britannico e francese, che la controllano e sfruttano per imporre i propri interessi a livello internazionale, dandogli una parvenza di universalità. Tuttavia, La Società si mostra ben presto impotente dinanzi agli scopi per cui era stata fondata, ovvero contenere in primo luogo le lotte di liberazione dei popoli coloniali, che avevano ricevuto grande impulso dalla Rivoluzione di Ottobre. Anche l’utopia posta da Wilson alla sua origine, ossia la possibilità di risolvere pacificamente le controversie internazionali, deve infrangersi dinanzi alle guerre condotte dai grandi Stati imperialisti, che dominano la Società delle nazioni, contro il paese della rivoluzione e la sollevazione dei popoli coloniali. Così, come la Santa Alleanza nel secolo precedente, anche la Società delle nazioni diviene uno strumento conservatore degli assetti territoriali imposti dalle grandi potenze vincitrici, che si ergono a garanti del nuovo ordine reprimendo con operazioni militari le forze nazionali e internazionaliste, che intendono rimetterlo in questione in nome di un nuovo ordine internazionale maggiormente giusto e razionale.

Continua sul prossimo numero

30/06/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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