Le cause della Rivoluzione d’ottobre

Il tradimento delle promesse della rivoluzione del 1905, i falliti tentativi di autoriforma e la Grande guerra portano al collasso dell’autocrazia zarista.


Le cause della Rivoluzione d’ottobre Credits: https://www.panorama.it/cultura/100-anni-fa-la-rivoluzione-dottobre-russia-foto/#gallery-0=slide-2

Segue da: I trattati di pace quale causa remota della II guerra mondiale / Link alla lezione Unigramsci

  1. Riforme, industrializzazione, autocrazia nella Russia dello zar Nicola II

La Duma come conseguenza della Rivoluzione russa del 1905

La Rivoluzione del 1905 aveva costretto Nicola II a concedere le libertà politiche e un parlamento: la Duma. Placata la spinta della rivoluzione inizia, però, il tentativo di restaurazione. L’evoluzione in senso parlamentare del sistema politico russo si rivela illusoria. Il suffragio fortemente censitario rende la Duma un docile strumento dell’autocrazia. Inoltre l’assemblea legislativa per la prima volta eletta viene fatta sciogliere per ben due volte dallo zar, scontento dell’esito del voto per la significativa presenza di deputati progressisti. Infine, con nuove controriforme elettorali, volte a rendere ancora più vincolato al censo il diritto di voto, Nicola II rende predominante il voto dei grandi proprietari terrieri, sebbene si tratti di un’esigua minoranza della popolazione. Così i latifondisti per eleggere un deputato hanno bisogno di appena 230 voti, mentre per eleggere un deputato operaio c’era bisogno di ben 125.000 voti.

La rivoluzione passiva di Stolypin

Tuttavia, il primo ministro P. A. Stolypin, impaurito dal rischio che le politiche apertamente reazionarie dello zar avrebbero favorita una nuova rivoluzione, preme per sviluppare una politica di rivoluzione passiva, di contro alla mera restaurazione per cui operano i retrivi ambienti della corte. Così nel 1906 riesce a realizzare la tanto attesa riforma agraria, che in linea teorica avrebbe dovuto consentire la formazione, accanto ai grandi proprietari terrieri, quasi sempre assenteisti, di una massa di piccoli proprietari che avrebbero costituito una base di massa per il partito dell’ordine. In realtà, a essere realmente intaccata fu la struttura comunitaria del villaggio russo, il mir, attraverso cui le terre da coltivare venivano generalmente divise sulla base della capacità di lavoro e dei bisogni dei diversi nuclei familiari. Inoltre solo una ristretta minoranza di agricoltori, che aveva disponibilità monetaria, poté divenire proprietaria delle terre che coltivava. Mentre molti contadini finirono con l’essere allontanati dalle terre che da generazioni avevano lavorato, anche se per conto dei signori.

La politica reazionaria dello zar

Inoltre, la politica portata avanti dallo zar andava in una direzione opposta rispetto a quella del suo primo ministro, mirando a rafforzare ulteriormente il proprio dominio autocratico mediante la nazionalizzazione panrussa forzata delle popolazioni alloglotte passate sotto il suo dominio. In tal modo, per evitare che il proprio dominio assolutistico e le enormi differenze sociali ed economiche favorissero una nuova rivoluzione, fomentò in ogni modo la guerra fra poveri, contrapponendo il popolo russo, per quanto miserabile, alle minoranze nazionali e religiose. L’ulteriore accentramento del potere imposto dallo zar non poteva che appesantire la già mastodontica e in buona parte parassitaria burocrazia, anch’essa controllata dalla nobiltà. Nel frattempo a corte si afferma come uomo più influente un avventuriero privo di scrupoli e ultra-reazionario: il monaco Rasputin, che diviene confessore della zarina e attraverso essa condiziona lo stesso zar.

Dall’industrializzazione dall’alto di Vitte alle ragioni della rivoluzione del febbraio 1917

Dopo il sostanziale fallimento di Stolypin, si sviluppa un nuovo tentativo di modernizzazione del tanto vasto quanto arretrato impero, a opera del primo ministro S. J. Vitte, che mirò a favorire l’industrializzazione di un paese, ancora essenzialmente agricolo, mediante una politica protezionistica delle nasciture imprese russe, non ancora in grado di competere con le merci straniere, e il pressante invito ai capitalisti e finanzieri stranieri a investire in Russia, a condizioni estremamente favorevoli sia per il basso prezzo della manodopera, che per la bassa tassazione. Sorgono così, con il sostegno di capitali principalmente provenienti dalla Francia, in cui erano sovraprodotti, enormi complessi industriali intorno alle due grandi città del paese: Mosca e Pietroburgo, negli Urali per la grande disponibilità di materie prime, in particolare grandi miniere di ferro, e sul mar Caspio in cui erano presenti i più significativi pozzi di petrolio. Tuttavia nel resto dell’immenso impero russo regnava ancora incontrastata un’agricoltura di sussistenza, tanto che all’inizio del Novecento vi sono appena 2 milioni di operai su 100 milioni di lavoratori, quasi esclusivamente agricoli. D’altra parte nelle fabbriche, per la forte concentrazione di lavoratori e gli alti livelli di sfruttamento, vi è un crescendo di agitazioni, sino a che la Prima guerra mondiale non esaspera la conflittualità operaia, che raggiunge il proprio apice nel febbraio del 1917, quando un grande sciopero di carattere sempre più apertamente politico, contro la guerra e l’autocrazia, diviene spontaneamente insurrezionale. Del resto è proprio a causa del fallimento delle riforme interne all’autocrazia, costantemente contrastate dagli ambienti retrivi della corte, a far sì che la componente rivoluzionaria dell’opposizione finisca con l’avere la meglio sulle componenti gradualiste e riformiste.

  1. I partiti di opposizione alla vigilia della Grande guerra

La variegata opposizione allo zar

L’opposizione allo zar è composta principalmente da: i Cadetti (Partito Costituzionale Democratico), che rappresentano gli interessi della grande e media borghesia liberal-democratica; i Socialisti rivoluzionari, sorti dall’unificazione delle tradizionali opposizioni populiste e anarchiche, che mirano a rappresentare gli interessi delle grandi masse agricole, nettamente maggioritarie nell’ arretrata società russa; i socialdemocratici, che rappresentano gli interessi del proletariato, degli operai, e hanno un’ impostazione marxista, ma si dividono al loro interno fra una minoranza essenzialmente riformista: i Menschevichi, e un’ala, almeno inizialmente maggioritaria, su posizioni rivoluzionarie: i Bolscevichi. Separatasi nel 1912, questa corrente – che dal 1918 avrebbe assunto il nome di Partito Comunista – si configura, secondo le indicazioni del suo più significativo dirigente: Lenin, come un partito di rivoluzionari di professione, molto organizzato e centralizzato.

La posizione di Lenin

Vladimir Ilic Ulianov, universalmente noto con il nome di Lenin – assunto nella lunga militanza clandestina nelle fila dei bolscevichi – è stato non solo il principale esponente della Rivoluzione russa e dello Stato rivoluzionario che da essa deriverà, ma al contempo un grande teorico che ha rinnovato in profondità il marxismo, al punto che dopo di lui si parlerà di marxismo-leninismo. Inizialmente Lenin condivideva la concezione tradizionale del marxismo, a cui erano legati tutti i teorici e politici socialisti russi secondo la quale, essendo la Russia fra i paesi più arretrati in Europa e il proletariato industriale, la classe protagonista della rivoluzione socialista, un’esigua minoranza, la rivoluzione proletaria doveva seguire necessariamente a una rivoluzione democratica anti-assolutistica, che avrebbe favorito lo sviluppo in senso capitalistico del paese con il conseguente enorme accrescimento della classe operaia.

La posizione di Lenin sulla guerra

In esilio in Svizzera a causa della pesante repressione dello zarismo, Lenin diviene il principale avversario dei partiti socialisti che avevano appoggiato i loro paesi allo scoppio della Prima guerra mondiale, tradendo le posizioni contrarie alla guerra imperialista da sempre portare avanti dalla II Internazionale. Nel 1916, alla conferenza di Kienthal, si passa, sotto la spinta di Lenin e dei bolscevichi dal sostegno a una pace senza vinti né vincitori sostenuta dal partito socialista italiano e maggioritaria nella precedente conferenza tenuta a Zimmerwald – sempre in Svizzere, l’anno precedenti, il 1915 – al battersi per trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria, prospettiva sostenuta da Lenin a capo dei bolscevichi russi.

La rivoluzione del febbraio 1917

Nel febbraio 1917 scoppia, dunque, la tanto attesa rivoluzione democratica anti-assolutista in Russia. Si formano nuovamente i Soviet, ovvero i consigli dei lavoratori, che erano stati già protagonisti nella rivoluzione del 1905. Tali consigli dalle fabbriche si diffondono in altri luoghi di lavoro, nelle campagne e fra i soldati. In essi si sperimenta una democrazia dal basso e diretta con delegati revocabili in ogni momento dalla base. I bolscevichi, per il resto minoritari in quanto partito di quadri rivoluzionari di professione, acquistano progressivamente l’egemonia nei soviet delle grandi città.

  1. La Russia nella guerra mondiale

La Grande guerra accentua il totalitarismo dei paesi belligeranti e rende drammatiche le già difficili condizioni di vita del proletariato urbano e contadino in particolare russo. L’esercito russo subisce continue disfatte per l’incapacità degli ufficiali aristocratici che non armano adeguatamente i loro soldati-contadini – per paura che possano rivolgere le armi contro i loro ufficiali e padroni – e usano i 14 milioni di militari sotto i loro comandi come carne da cannone, senza nutrirli e coprirli adeguatamente in quanto non li riconoscono come esseri umani. Al fronte domina la legge marziale e il pugno di ferro contro ogni minima infrazione dell’antiquato codice militare. Inoltre si diffondono nelle retrovie le speculazioni sui beni di prima necessità, che provocano carestie e consentono a pochi speculatori senza scrupoli enormi profitti sulla pelle di milioni di subalterni. Tanto più che, mancando la forza lavoro maschile nelle campagne, la produttività del lavoro è molto bassa e le famiglie contadine sono quasi sempre spinte al di sotto del livello di sussistenza. Nel frattempo in città vige la legge marziale anche nelle fabbriche, per impedire ogni forma di protesta, e scarseggiano al di fuori dalla borsa nera, accessibile ai soli benestanti, gli stessi beni di prima necessità.

L’opposizione alla guerra

Il proletariato russo non aveva voluto la guerra e la considera l’ennesimo disastro prodotto prima dalla classe dominante zarista e perpetuato dalla stessa borghesia, che continua a imporla anche dopo la Rivoluzione del febbraio 1917 che la ha portata al governo del paese, nonostante abbia prodotto fra i soldati proletari russi ben 2 milioni di morti e 4 milioni fra feriti e prigionieri. Così gli scioperi, che si erano ridotti a soli 78 nel clima sciovinista del 1914, diventano 1000 nel 1915 e 1500 nel 1916, nonostante la legge marziale che li reprimeva nel modo più violento. Viene schierato l’esercito per impedire le dimostrazioni, e i militari sono più volte costretti ad aprire il fuoco su scioperanti disarmati. D’altra parte si rafforzano le cellule bolsceviche e la loro propaganda nelle fabbriche e nelle fila dell’esercito. I bolscevichi sostengono che i soldati proletari non devono rivolgere più i loro fucili contro i proletari in divisa di altre nazioni, potenziali alleati, ma contro i veri nemici di sempre: i latifondisti e i capitalisti sfruttatori alla guida dell’esercito e di uno Stato che è rimasto avverso ai reali interessi del popolo. Nel 1916 nella capitale Pietrogrado si arriva a una manifestazione di 100.000 lavoratori, nel corso di uno sciopero politico contro la guerra. Gli scioperi e le manifestazioni, per quanto illegali, dilagano all’inizio del 1917 nelle città sino a raggiungere le sterminate campagne. Gli scioperi tendono a divenire sempre più politici, rivolgendosi in modo sempre più aperto contro la guerra e l’autocrazia.

21/07/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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