Eguaglianza ed egualitarismo in Gramsci

Tanto le religioni che affermano l’eguaglianza degli uomini come figli di Dio o le filosofie che affermano la loro uguaglianza come partecipanti della facoltà di ragionare sono state espressioni di complessi movimenti rivoluzionari che hanno posto gli anelli più potenti dello sviluppo storico.


Eguaglianza ed egualitarismo in Gramsci

Antonio Gramsci parte dalla constatazione che l’egualitarismo è divenuto senso comune nel mondo moderno il che, peraltro, consente di spiegare la posizione radicalmente antimoderna dei più importanti pensatori reazionari contemporanei come Nietzsche e Heidegger. Come osserva Gramsci: la concezione della sostanziale eguaglianza fra gli uomini “è passata nel senso comune, che ha come affermazione popolare che «siamo nati tutti nudi» (se pure l’affermazione di senso comune non è precedente alla discussione ideologica degli intellettuali)” [1]. In altri termini, aggiunge ancora Gramsci: “tutti nascono allo stesso modo ecc. «L’uomo è mortale; Tizio è uomo, Tizio è mortale». Tizio = tutti gli uomini. Così ha origine empirico-scientifica (empirico = scienza folcloristica) la formula: «Siamo nati tutti nudi»” (7, 38: 887-88).

Gramsci individua le origini di tale sentimento di eguaglianza in primo luogo nella concezione cristiana “di dio-padre e uomini-figli, quindi uguali” (Ivi, p. 887). In secondo luogo nel principio razionalista, sviluppato dalla filosofia idealista per cui “la filosofia è la scienza democratica per eccellenza in quanto si riferisce alla facoltà di ragionare comune a tutti gli uomini” (10, 35: 1280-81), ovvero “Omnis enim philosophia, cum ad communem hominum cogitandi facultatem revocet, per se democratica est” (7, 38: 887). Gramsci, perciò, fa notare: “si può osservare il parallelo svolgersi della democrazia moderna e di determinate forme di materialismo metafisico e di idealismo” (10, 35: 1280). Ciò spiega l’odio degli aristocratici per la filosofia e le proibizioni legali contro il suo insegnamento e, più in generale, il contrasto alla diffusione della stessa cultura da parte delle classi dominanti dell’ancien régime

In terzo luogo Gramsci individua l’origine del sentimento di uguaglianza nelle scienze naturali, sulla base della eguaglianza naturale “cioè psico-fisica di tutti gli elementi individuali del «genere» umano” (7, 38: 887), ovvero sulla biologia che considera uguali i membri della medesima specie. Dunque, come osserva Gramsci: “l’uguaglianza è ricercata dal materialismo francese del secolo XVIII nella riduzione dell’uomo a categoria della storia naturale, individuo di una specie biologica, distinto non per qualificazioni sociali e storiche, ma per doti naturali; in ogni caso essenzialmente uguale ai suoi simili” (10, 35: 1280).

Tali concezioni sono il portato di enormi trasformazioni storiche: l’uguaglianza fra gli uomini in quanto figli di dio segna il superamento del mondo antico, mentre la concezione scientifico-filosofica dell’eguaglianza segna il superamento del medioevo e l’affermarsi del mondo moderno. Come chiarisce, a tal proposito, Gramsci “è vero che tanto le religioni che affermano l’eguaglianza degli uomini come figli di Dio o le filosofie che affermano la loro uguaglianza come partecipanti della facoltà di ragionare sono state espressioni di complessi movimenti rivoluzionari (la trasformazione del mondo classico – la trasformazione del mondo medioevale) che hanno posto gli anelli più potenti dello sviluppo storico” (7, 35: 885). 

Perciò Gramsci considera tali concezioni delle utopie fondate sul concetto di “natura umana”, che segnano “il travaglio continuo della storia, un’aspirazione razionale o sentimentale” (ibidem). Tuttavia Gramsci rigetta le teorie positiviste che condannano i tentativi storici di fondare una “democrazia egualitaria” come “artificiali”, in quanto contrari alle leggi naturali. In realtà a essere meramente “convenzionale” è lo “schema conservatore” proprio perché “la realtà lo ha distrutto” (2, 91: 249). In tal modo si pretende di considerare “naturale” solo gli assetti del passato che si vorrebbero artificialmente restaurare, tacciando di “astratto e innaturale” ogni progetto storico di trasformazione radicale dell’esistente. “Il metodo induttivo e le norme dell’osservazione presi a prestito dalle scienze naturali dovevano portare il Taine (…) alla conclusione che la Rivoluzione francese sia stata una mostruosità, una malattia. «La democrazia egualitaria è una mostruosità alla luce delle leggi della natura; ma il fatto che è stata concepita dall’uomo ed anche realizzata tratto tratto nella storia di taluni popoli deve far riflettere gli spiriti più riluttanti ad accettare un regime pur così convenzionale». (…) in verità i peggiori «scientifisti» sono i reazionari che si proiettano una «evoluzione» di proprio comodo e ammettono l’importanza e l’efficacia dell’intervento della volontà umana fortemente organizzata e concentrata, solo quando è reazionaria, quando tende a restaurare ciò che è stato, come se ciò che è stato ed è stato distrutto non sia altrettanto «ideologico», «astratto», «convenzionale», ecc., di ciò che ancora non è stato effettuato e anzi molto più)” (2, 91; 248-49).

Allo stesso modo, Gramsci rigetta con forza il “sarcasmo” (10, 22: 1260) con cui Croce irrideva tali ideali di eguaglianza fra gli uomini che, per quanto possano apparire vecchie utopie agli intellettuali tradizionali, assumono vita reale se corrispondono ai bisogni storici delle masse. Del resto, nella nostra epoca si tratta indubbiamente di utopie che, però, non erano tali quando sorsero. Del resto, a parere di Gramsci, l’utopia ha “un valore filosofico, poiché essa ha un valore politico, e ogni politica implicitamente è una filosofia sia pure sconnessa e in abbozzo” (11, 62: 1488). Così, per esempio, la politica dei giacobini fondata sull’ideale di eguaglianza è considerata da Gramsci realista, in quanto della sua verità “erano persuase le grandi masse popolari che i giacobini suscitavano e portavano alla lotta” (19, 24: 2028). Così il cristianesimo si sforza di “conciliare in forma mitologica le contraddizioni reali della vita storica”, in quanto l’eguaglianza fra gli uomini come figli di dio sarà realizzata nell’aldilà

Divenendo senso comune nelle masse tale utopia assume però la concretezza di una politica, poiché esse prendono coscienza di non essere affatto eguali alle classi dominanti. Tanto che, come nota Gramsci, “in ogni sommovimento radicale delle moltitudini, in un modo o nell’altro, sotto forme e ideologie determinate” (11, 62: 1488) è stata rivendicata tale eguaglianza

Del resto, come sostiene Gramsci: “è un luogo comune pensare che l’Italia ha attraversato tutte le esperienze politiche dello sviluppo storico moderno e che pertanto ideologie e istituzioni conformi a queste ideologie sarebbero per il popolo italiano cavoli rifatti, repugnanti al palato. Intanto non è vero che si tratti di cavoli riscaldati: il «cavolo» è stato mangiato solo «metaforicamente» dagli intellettuali, e sarebbe riscaldato solo per questi. Non è «riscaldato» e quindi disgustoso per il popolo (a parte il fatto che il popolo, quando ha fame, mangia cavoli riscaldati anche due o tre volte). Il Croce ha un bel corazzarsi di sarcasmo per l’eguaglianza, la fratellanza, ed esaltare la libertà – sia pure speculativa –. Essa sarà compresa come eguaglianza e fratellanza e i suoi libri appariranno come l’espressione e la giustificazione implicita di un costituentismo che trapela da tutti i pori di quell’Italia «qu’on ne voit pas» e che solo da dieci anni sta facendo il suo apprendissaggio politico” (10, 22: 1259-60). 

Perciò, al sarcasmo scettico di Croce che mira a distruggere con la forma utopica il contenuto del sentimento presente nelle masse, Gramsci contrappone il “sarcasmo appassionatamente «positivo», creatore, progressivo” di Karl Marx. Quest’ultimo non mira “a dileggiare il sentimento più intimo di quelle illusioni e credenze, ma la loro forma immediata, connesso a un determinato mondo «perituro», il puzzo di cadavere che trapela attraverso il belletto umanitario dei professionisti degli «immortali principii»” (26, 5: 2300). Gramsci chiarisce come anche dal punto di vista “dell’azione storica, l’elemento «ironia»”, tipico del romanticismo “sarebbe solo letterario o intellettualistico e indicherebbe una forma di distacco piuttosto connessa allo scetticismo più o meno dilettantesco dovuto a disillusione, a stanchezza, a «superominismo». Invece nel caso dell’azione storico-politica l’elemento stilistico adeguato, l’atteggiamento caratteristico del distacco-comprensione, è il «sarcasmo» e ancora in una forma determinata, il «sarcasmo appassionato». Nei fondatori della filosofia della prassi si trova l’espressione più alta, eticamente ed esteticamente, del sarcasmo appassionato” (ibidem). Dunque, al contrario del sarcasmo crociano, il marxista non annienta il “nucleo vivo delle aspirazioni contenute in quelle credenze”, ma ne dileggia la forma utopista – “cioè psico-fisica di tutti gli elementi individuali del «genere» umano” – per elaborare una forma in grado di “determinare meglio quelle aspirazioni” (Ibidem). In altri termini, che sia in grado di togliere dialetticamente le “credenze e illusioni popolari (credenza nella giustizia, nell’eguaglianza, nella fraternità, cioè negli elementi ideologici diffusi dalle tendenze democratiche eredi della Rivoluzione francese)” (Ibidem). Proprio al contrario “il sarcasmo di destra cerca invece di distruggere proprio il contenuto delle aspirazioni (non, beninteso, nelle masse popolari, che allora si distruggerebbe anche il cristianesimo popolare, ma negli intellettuali), e perciò l’attacco alla «forma» non è che un espediente «didattico»” (ibidem)

Del resto, tali utopie, che divenivano nel loro tempo pratiche politiche concrete, hanno una particolare importanza per Gramsci poiché prefigurano aspetti realizzati o da realizzare nella società regolata. Così l’utopia pedagogista sviluppata da Lavoisier durante la Rivoluzione francese, anch’essa fondata sull’ideale di eguaglianza della “natura umana”, assume in Lenin il “significato dimostrativo-teorico di un principio politico” (11, 62: 1489) [2].

Allo stesso modo, andrebbe considerato il riflesso teorico di tali pratiche politiche della Rivoluzione francese nella filosofia classica tedesca. Anche qui l’ideale di un’eguaglianza fra gli uomini fondata sulla comune capacità di ragionare e agire moralmente, che ai nostri occhi è certamente utopica, si fondava allora su questa unità di intenti fra intellettuali e masse nella lotta contro il privilegio feudale, universalizzata nei concetti di popolo e nazione. Gli stessi concetti idealisti di Stato etico e società civile sorgono proprio su tale ideale di eguaglianza, in base al quale gli uomini accetterebbero “la legge spontaneamente, liberamente e non per coercizione, come imposta da altra classe, come cosa esterna alla coscienza” (6, 88: 764).

 

Note:

[1] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1977, p. 1280. D’ora in poi citeremo quest’opera fra parentesi tonde direttamente nel testo, indicando il quaderno, il paragrafo e il numero di pagina di questa edizione.

[2] Come chiarisce Gramsci, in riferimento alle celebri Tesi di aprile di Lenin, “nel paragrafo dedicato alla scuola unitaria e precisamente nella nota esplicativa di tale paragrafo (…) si ricorda che il chimico e pedagogista Lavoisier, ghigliottinato sotto il Terrore, aveva sostenuto appunto il concetto della scuola unitaria e ciò in rapporto ai sentimenti popolari del tempo, che nel movimento democratico del 1789 vedevano una realtà in isviluppo e non solo una ideologia – strumento di governo e ne traevano conseguenze egualitarie concrete. In Lavoisier si trattava di elemento utopistico (elemento che appare più o meno in tutte le correnti culturali che presuppongono l’unicità di «natura» dell’uomo)” (11, 62: 1489).

17/06/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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