La critica di Lenin al nazionalismo borghese

Lenin distingue nel modo più netto il diritto dei popoli ad autodeterminarsi e la necessità di contrastare in ogni modo il nazionalismo borghese


La critica di Lenin al nazionalismo borghese Credits: https://www.storicang.it/a/1917-rivoluzione-russa_14627

Segue da: “Lenin, il socialimperialismo e l’autodeterminazione nazionale

Nella decisiva questione della lotta al socialimperialismo e per il diritto dei popoli all’autodeterminazione, Vladimir I. U. Lenin sottolinea un aspetto decisivo, ovvero l’autonomia che deve mantenere il partito proletario nei riguardi della politica portata avanti dai partiti borghesi sulla questione nazionale. Per cui se il partito proletario deve necessariamente battersi per la realizzazione di diritti universali, superando ogni forma di discriminazione economica, di genere, razziale, religiosa o nazionale, deve allo stesso modo opporsi ai partiti nazionalisti borghesi che si battono e rivendicano privilegi per la propria nazione in contrapposizione alle altre. Osserva, dunque, Lenin: “ma, nella questione nazionale (come del resto in tutte le altre questioni), la politica del proletariato appoggia la borghesia solo in una direzione determinata, senza mai confondersi con la politica della borghesia. La classe operaia sostiene la borghesia solamente nell’interesse della pace nazionale (che la borghesia non può dare pienamente e che è realizzabile solo con una democrazia integrale), nell’interesse della parità di diritti e per assicurare condizioni migliori alla lotta di classe. (...) Nella questione nazionale, ogni borghesia cerca o privilegi o vantaggi esclusivi per la propria nazione (…). Il proletariato è contro ogni privilegio, contro ogni esclusivismo” [1].

Tanto più che – come non si stanca di sottolineare Lenin contro i socialsovranisti – il nazionalismo borghese non solo ostacola ogni forma di indispensabile, per l’emancipazione del proletariato, lotta di classe dal basso, ma tende a corrompere i dirigenti dei partiti operai e dei sindacati e, più in generale, nel caso del socialimperialismo ampi strati del proletariato nazionale, facendogli credere di poter realizzare più agevolmente i propri obiettivi riformisti combattendo contro i proletari dei paesi più poveri e arretrati, piuttosto che contro le proprie classi dirigenti e dominanti, le quali generalmente controllano gli apparati repressivi dello Stato e le forze armate. Più in generale, come ci tiene a sottolineare Lenin: “ogni nazionalismo liberale borghese semina la corruzione più profonda nell’ambiente operaio e procura i danni più gravi alla causa della libertà e della lotta di classe proletaria” [2]. Perciò è indispensabile tener ben distinte le soluzioni offerte alla comune questione nazionale dal nazionalismo borghese e dall’internazionalismo operaio in quanto in realtà, al di là di alcune apparenti superficiali analogie nella sostanza si tratta di due soluzioni opposte e inconciliabili. Tale posizione è sottolineata da Lenin nel modo più netto: “il nazionalismo borghese e l’internazionalismo proletario sono due parole d’ordine inconciliabilmente avverse, che corrispondono ai due grandi schieramenti di classe di tutto il mondo capitalistico e che esprimono due linee politiche (di più: due concezioni del mondo) nella questione nazionale” (186).

Per altro Lenin è egualmente radicalmente critico contro chi difende la cultura nazionale, ritenendola un subdolo strumento della borghesia volto a frenare lo sviluppo della democrazia e l’affermazione della cultura internazionale. Anche perché, come denuncia efficacemente Lenin: “la borghesia di tutte le nazioni (..) sotto la parola d’ordine della ‘cultura nazionale’ persegue di fatto la divisione degli operai, l’indebolimento della democrazia, e realizza transazioni commerciali con i fautori del servaggio vendendo i diritti e la libertà del popolo. La parola d’ordine della democrazia operaia non è la ‘cultura nazionale’, ma la cultura internazionale della democrazia e del movimento operaio mondiale. La borghesia inganni pure il popolo con programmi nazionali ‘positivi’ di ogni genere” (181). Perciò, Lenin conclude nel modo più netto scrivendo: “la parola d’ordine della cultura nazionale è un inganno borghese (..). La nostra parola d’ordine è la cultura internazionale della democrazia e del movimento operaio mondiale” (182-83). Da qui la necessità di distinguere nel modo più reciso le posizioni del nazionalismo piccolo-borghese – che talvolta rischia di divenire egemone anche in settori delle classi subalterne – e la posizione limpidamente internazionalista del marxismo. Per dirla con Lenin: “il nazionalismo militante borghese, che istupidisce, ottunde e divide gli operai per piegarli alla borghesia: ecco il fatto essenziale del nostro tempo. Chi vuol servire il proletariato deve unire gli operai di tutte le nazioni, lottando inflessibilmente contro il nazionalismo borghese ‘proprio’ e altrui. Chi sostiene la parola d’ordine della cultura nazionale è da annoverare fra i nazionalisti piccolo-borghesi e non fra i marxisti” (184-85).

Tanto più che, come denuncia a ragione Lenin, nella cultura nazionale dominano gli elementi dell’ideologia dominante borghese o al limite della piccola borghesia mentre sono presenti solo in via del tutto subordinata gli elementi della cultura proletaria, ovvero socialista. In effetti, scrive Lenin: “in ogni cultura nazionale vi sono, benché non sviluppati, gli elementi di una cultura democratica e socialista, poiché in ogni nazione vi sono le masse lavoratrici e sfruttate, le cui condizioni di vita generano inevitabilmente un’ideologia democratica e socialista. Ma in ogni nazione vi è anche la cultura borghese (e, per lo più, ancora centonera [fascista] e clericale), e non solo allo stato di ‘elementi’, ma in forma di cultura dominante” (183). Ciò non toglie che la stessa cultura internazionale si forma non dalla negazione astratta, nichilista della cultura nazionale, ma dalla sua negazione determinata, ossia dialettica, togliendo gli aspetti conservatori e reazionari e tesaurizzando gli elementi democratici e socialisti presenti in nuce, in potenza all’interno della cultura nazionale. Anche su questo aspetto la posizione di Lenin è cristallina: “nel formulare la parola d’ordine della ‘cultura internazionale della democrazia e del movimento operaio mondiale’ noi prendiamo da ogni cultura nazionale soltanto i suoi elementi democratici e socialisti, e li prendiamo soltanto e assolutamente in antitesi alla cultura borghese, al nazionalismo borghese di ogni nazione” (184).

Si tratterà, in particolare, di riprendere le bandiere gettate via dalla borghesia, una volta conquistato il potere politico, e di portarle a compimento. In particolare si tratterà di realizzare sino in fondo la tendenza propria della borghesia, nella sua fase di ascesa al potere, di dare vita a Stati nazionali per assicurarsi un mercato nazionale. L’altra bandiera fondamentale della borghesia, che dovrà essere recuperata dal proletariato, è lo scopo finale stesso del modo di produzione capitalistico, che si esplicita nella sua tensione al superamento delle barriere nazionali per realizzare il mercato mondiale. Dunque, sostiene a tal riguardo Lenin: “il capitalismo in sviluppo conosce due tendenze storiche nella questione nazionale. La prima è il ridestarsi di una vita e di movimenti nazionali, la lotta contro ogni oppressione nazionale, la creazione di Stati nazionali. La seconda consiste nello sviluppo e nell'intensificazione di ogni specie di rapporti fra le nazioni, nella distruzione delle barriere nazionali, nella creazione dell’unità internazionale del capitale, della vita economica in genere, della politica, della scienza, ecc. (...) Di entrambe le tendenze tiene conto il programma nazionale dei marxisti, difendendo anzitutto la parità dei diritti delle nazioni e delle lingue, l’inammissibilità di qualsiasi privilegio in questo campo (nonché il diritto delle nazioni all’autodecisione [...]) e, inoltre, il principio dell’internazionalismo e della lotta intransigente contro la corruzione del proletariato da parte del nazionalismo borghese, foss’anche il più raffinato” (186-87). Tanto più che la tendenza alla costruzione di un unico mercato mondiale è giudicata di importanza decisiva da Lenin, anche perché il capitalismo nel realizzare il suo scopo ultimo non potrà che aprire sempre più la strada al suo becchino: il proletariato internazionale. Perciò, Lenin non manca di evidenziare “la tendenza storico-mondiale del capitalismo a spezzare le barriere nazionali, ad assimilare le nazioni, una tendenza che diventa di decennio in decennio più vigorosa e costituisce uno dei fattori principali per la trasformazione del capitalismo in socialismo” (187-88). Da questo punto di vista occorre evitare il più possibile di fare concessioni al sovranismo piccolo borghese, dal momento che, come denuncia Lenin: “chi non si sia impantanato nei pregiudizi nazionalistici non può non vedere nel processo di assimilazione delle nazioni, realizzato dal capitalismo, un grande progresso storico, la distruzione dell’arretratezza nazionale dei vari angoli sperduti, soprattutto in paesi arretrati come la Russia” (189). Tanto più, come non manca di rimarcare Lenin, che il capitalismo nel suo sviluppo “sostituisce al contadino russo o ucraino ottuso, abitudinario, sedentario, selvaggio un proletario, le cui condizioni di vita spezzano l’angustia specificatamente nazionale, sia grande-russa sia ucraina” (191).

D’altra parte, però, l’obiettivo fondamentale del nazionalismo borghese è quello di tenere il più possibile diviso il fronte comune proletario, l’unico in grado di mettere in discussione il dominio economico, sociale, politico e culturale della borghesia. Come fa notare Lenin a proposito di questa questione: “ogni propaganda di divisione fra gli operai di due nazioni, ogni attacco all’‘assimilazione’ marxista, ogni opposizione di una cultura nazionale nel suo complesso a un’altra sedicente cultura nazionale presa nel suo insieme, ecc., nelle questioni concernenti il proletariato, è nazionalismo borghese, contro il quale bisogna condurre una lotta implacabile” (193).

D’altra parte, Lenin sottolinea come non sia possibile stabilire un preciso limite all’esigenza dei popoli e delle nazioni di battersi per il pieno diritto all’autodeterminazione nazionale. In effetti, nota Lenin a questo proposito: “non sappiamo e non possiamo sapere quante nazioni oppresse avranno necessità della separazione per recare il proprio apporto alla varietà di forme della democrazia e delle forme di transizione al socialismo” [3]. A tal proposito è importante osservare come Lenin sottolinei l’importanza delle vie nazionali sia per la realizzazione di uno Stato democratico, sia per quanto concerne il modo di procedere nel processo di realizzazione di una società socialista, nella delicatissima fase della transizione dal capitalismo al nuovo modo di produzione.

Note:

[1] Vladimir Ilich Ulianov Lenin, Sul diritto di autodecisione delle nazioni [febbraio-maggio 1914], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 238.
[2] Id., Osservazioni critiche sulla questione nazionale [ottobre-dicembre 1913], in op. cit., p. 182. D’ora in avanti citeremo quest’opera direttamente nel testo, rinviando alla pagina fra parentesi tonde.
[3] Id., Intorno a una caricatura del marxismo e all’economismo imperialistico [agosto-ottobre 1916], in op. cit., p. 278.

24/05/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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