La Guerra del Kippur del 1973, tra calcolo politico, complicità e tradimento

La guerra del Kippur del 1973 non fu una sorpresa incontrollata, ma un conflitto limitato e politicamente calcolato. Secondo le memorie di Vinogradov e i documenti desecretati di USA e Israele, Sadat interruppe volontariamente l’offensiva per avvicinarsi a Washington, sacrificando una possibile vittoria militare. Israele accettò il rischio della sorpresa iniziale per ottenere maggiore sostegno americano. Gli Stati Uniti, guidati da Kissinger, calibrarono il conflitto per evitare vittorie decisive e consolidare la propria influenza in Medio Oriente. La guerra risultò quindi un equilibrio tra successo apparente, vittoria mutilata e supremazia diplomatica.


La Guerra del Kippur del 1973, tra calcolo politico, complicità e tradimento

 Per lungo tempo la guerra del Kippur è stata presentata come la grande “sorpresa araba” che sconvolse Israele il 6 ottobre 1973. La storiografia tradizionale, soprattutto occidentale, insiste sulla genialità tattica egiziana e sull’impreparazione israeliana, seguite dalla rapida controffensiva di Tel Aviv. Oggi, però, nuovi materiali d’archivio e memoriali inediti in Occidente offrono un quadro molto diverso. Le memorie di Vladimir Vinogradov, ambasciatore sovietico in Egitto, pubblicate da qualche anno in Russia ma semisconosciute in Occidente, e i documenti desecretati di Henry Kissinger (FRUS, telcons, memorandum), insieme a una parte della documentazione israeliana, confermano in parte le memorie di Vinogradov, ma soprattutto indicano che la guerra fu in realtà un conflitto limitato e controllato, più vicino a un calcolo politico che a una battaglia decisiva.

In questa prospettiva, tre elementi emergono con chiarezza: Sadat ingannò il suo esercito e i suoi generali, fermando l’offensiva quando era ancora possibile un successo sostanziale, non consentendo al generale Shazly di avanzare in profondità nel Sinai. Israele non fu la vittima inerme, sorpresa dall’attacco a sorpresa egiziano, ma scelse di correre rischi calcolati, accettando la sorpresa iniziale per fini politici. La guerra ebbe negli Stati Uniti il tessitore di un conflitto che non doveva essere distruttivo per nessuno dei due contendenti; essi agirono come arbitri, calibrando il conflitto per impedire una vittoria schiacciante di una parte e preparare la propria centralità diplomatica in Medio Oriente, espellendo dalla regione l’influenza sovietica.

Sadat: dall’offensiva al tradimento politico

Il ruolo di Anwar al-Sadat fu centrale e controverso. L’attraversamento del Canale di Suez da parte delle truppe egiziane rappresentò uno dei momenti di massimo successo militare arabo. Tuttavia, la decisione di arrestare l’avanzata oltre le prime linee di difesa israeliane appare inspiegabile se letta solo in termini militari.

Per Vinogradov, Sadat agì con duplice calcolo: rafforzare il prestigio egiziano dopo l’umiliazione del 1967, ma senza compromettere il passaggio strategico dall’orbita sovietica a quella americana. Lo scrive in modo netto:
Prova A (Vinogradov)

“Si comportava come se nessuna penetrazione israeliana fosse avvenuta, e come se l’esercito egiziano fosse alle porte di Gerusalemme. Sadat ignorava le proposte dei suoi generali, primo fra tutti Shazly, che chiedevano di proseguire l’offensiva. Preferì arrestare l’avanzata e consolidare le posizioni. Così facendo, consegnava di fatto l’iniziativa al nemico.” La scelta non fu un errore tecnico, ma un atto politico. Come osserva ancora Vinogradov:

Prova B (Vinogradov)

“Non cercava la vittoria militare totale, ma un conflitto che mostrasse la forza dell’Egitto senza distruggere le possibilità di un compromesso politico. La sua vera intenzione era quella di sganciarsi dall’URSS e rivolgersi a Washington.”

La decisione di Sadat spezzò la fiducia dei suoi comandanti, in particolare del Capo di Stato Maggiore Saad el-Shazly, che arrivò a parlare di un vero “tradimento dell’esercito”.

Israele: sorpresa, complicità o calcolo?

Sul fronte opposto, Israele non fu colto completamente di sorpresa. L’intelligence israeliana ricevette avvisi chiari di una possibile offensiva araba nei giorni immediatamente precedenti al 6 ottobre. Tuttavia, Golda Meir e Moshe Dayan decisero di non ordinare una mobilitazione preventiva.

I documenti declassificati americani mostrano che questa scelta era nota anche a Washington.

Prova C (Kissinger, Telcon 5 ottobre 1973)

“I nostri rapporti d’intelligence ci dicono che un attacco arabo è probabile. Gli israeliani lo sanno. Ma hanno deciso di non mobilitare pienamente, per non sembrare aggressori e per rafforzare la loro posizione politica.”

Alcuni analisti, come Israel Shamir, sostengono che Tel Aviv accettò consapevolmente la vulnerabilità iniziale.

Prova D (Shamir, commento su documenti israeliani)

“La dirigenza israeliana aveva in un certo senso già concordato tutto il da farsi. Accettò la vulnerabilità iniziale come prezzo per ottenere, a guerra in corso, un sostegno diplomatico e militare ancora più forte dagli Stati Uniti.”

In questo senso, Israele trasformò la sconfitta tattica dei primi giorni in una vittoria politica: senza la minaccia iniziale, non sarebbe stata possibile la mobilitazione diplomatica e logistica che ne seguì.

Washington: arbitro della crisi controllata

Gli Stati Uniti non si limitarono a osservare. Kissinger, nei suoi memorandum, concepiva la guerra come una “crisi gestibile”. L’obiettivo era duplice: salvare Israele da una possibile disfatta, ma allo stesso tempo impedirgli di vincere troppo rapidamente.

Prova E (Kissinger, Memorandum 6 ottobre 1973)

“Non dobbiamo permettere che Israele annienti l’Egitto, né che l’Egitto infligga un’umiliazione irreparabile a Israele. La nostra influenza nella regione dipenderà dalla gestione di questo equilibrio.”

In una conversazione con Nixon, Kissinger fu ancora più esplicito:

Prova F (Telcon Kissinger–Nixon, 9 ottobre 1973)

“Se Israele vince troppo in fretta, non avremo voce in capitolo nei negoziati. Dobbiamo mantenere la guerra entro certi limiti, così che entrambe le parti abbiano bisogno di noi.”

Queste parole dimostrano che per Washington la guerra non era un dramma imprevisto, ma un’occasione per consolidare il proprio ruolo geopolitico e ridimensionare l’influenza sovietica in Medio Oriente.

Conclusione

Il confronto tra le memorie di Vinogradov e i file di Kissinger produce un’immagine radicalmente diversa della guerra del Kippur. Non un conflitto “spontaneo”, ma un copione concertato, in cui:

  • Sadat sacrificò la possibilità di una vittoria egiziana per aprire il canale diplomatico con Washington.
  • Israele accettò la sorpresa iniziale per trasformarla in leva politica e rafforzare il legame con gli USA.
  • Gli Stati Uniti gestirono la crisi come un “esperimento controllato”, evitando estremi e ponendosi come arbitri inevitabili della pace.

Come nota Vinogradov, “l’Egitto ottenne solo un successo apparente, Israele una vittoria mutilata, e l’America la supremazia diplomatica”. La guerra del 1973 fu dunque meno una battaglia militare che un atto geopolitico calcolato, destinato a ridefinire gli equilibri della regione.

01/11/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Orazio Di Mauro

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