Il MUDEC,  museo delle Culture di Milano, ospita fino al 26  febbraio un’inedita  e completa retrospettiva su Jean  Michel Basquiat,  artista prematuramente scomparso a ventisette anni nel  1989, fra i   protagonisti della scena artistica americana e mondiale degli anni  ’80. La retrospettiva al MUDEC 1980-1987 intende mettere in  relazione le collezioni etnografiche del MUDEC e la cosiddetta “arte  primitiva” con i principali movimenti artistici del XIX e del XX  secolo.  E’ stata curata da Jeffrey  Deitch,  amico dell’artista, critico, curatore ed ex direttore del MOCA di  Los Angeles e da Gianni Mercurio, curatore e saggista ed è promossa  dal Comune di Milano.
  
L’esposizione presenta circa 140 lavori realizzati tra il 1980 e il 1987 e accosta opere di grandi dimensioni, disegni, foto, collaborazioni con l’amico Andy Warhol e una serie di piatti di ceramica nei quali, con ironia, Basquiat ritrae personaggi e artisti di ogni epoca: opere caratterizzate dall’uso di materiali poveri e da un segno grafico inconfondibile, pieno di rabbia, provenienti in larga parte dalla raccolta di Yosef Mugrabi, il più grande collezionista di Warhol, e da altri prestatori privati. I temi ricorrenti nell’opera di Basquiat come la musica, il jazz, i fumetti, l’anatomia, ma anche la poesia e la scrittura sono il fil rouge che guida il visitatore tra le differenze sociali e razziali, l’emarginazione e la diffidenza verso il diverso che nell’America di quegli anni, come nelle società multiculturali di ogni epoca, faticano a trovare esiti positivi.
Jean Michel Basquiat nasce a Brooklyn - New York nel 1960 da padre haitiano e madre statunitense originaria del Portorico. La madre favorisce il precoce interesse artistico di Jean-Michel, influenzato dai cartoons televisivi, accompagnandolo spesso al Brooklyn Museum, al Metropolitan Museum e al Museum of Modern Art di New York. Durante un ricovero ospedaliero avvenuto in seguito a un investimento automobilistico che gli causerà l’asportazione della milza, la madre regala a Jean-Michel il testo di anatomia Gray's Anatomy che lo influenzerà al punto da chiamare “Gray” il gruppo musicale che il giovanissimo Basquiat fonda insieme a Vincent Gallo e ad altri amici e con cui suonerà e si esibirà fino al 1980.
 Dopo  il divorzio dei genitori, a otto anni Jean Michel inizia a  frequentare la City-as-School a Manhattan, per ragazzi iperdotati a  cui non si addice il tradizionale metodo didattico, e a 11 anni è  già un bambino capace di parlare, leggere e scrivere in francese e  spagnolo, oltre all’inglese. In questa scuola, a 17 anni, stringe  amicizia con Al Diaz, un giovane writer attivo con lo pseudonimo di Bomb-1 che  opera sui muri della Jacob  Riis a Manhattan:  insieme a lui il giovane Basquiat acquista piena  consapevolezza della propria vocazione artistica, ma  comincia anche  a fare uso di LSD e altre droghe pesanti. Compaiono in questo periodo  fra il ’78 e l’80 a Soho e nel Lower East Side di New York i loro  primi, enigmatici, graffiti che sono firmati SAMO,  acronimo di "Same  Old Shit" – "solita vecchia merda" –  nato da un gioco di parole  un giorno che i due fumavano la Marjuana e usato per la prima volta  in un’esercitazione scolastica sui temi della pubblicità.
Lo studio in strada 1980-81
 Ai  primi soggetti firmati da Basquiat è dedicata la sezione iniziale  della mostra. Si tratta di graffiti spesso dipinti su porte e  finestre che Basquiat trova abbandonate per strada; in essi  protagonista assoluto è il mirabolante contesto  urbano,  con tutta l’energia e la cacofonia delle strade di New York: sirene  di ambulanze, incidenti d’auto, insegne pubblicitarie o le griglie  tracciate sui marciapiedi dai ragazzini per il gioco del “mondo”.  Parole e lettere astratte irrompono nel graffito sparato con la  bomboletta, mescolate a immagini. Lavorando sul pavimento di  appartamenti di amici e nella strada stessa, Basquiat produce una  serie di opere già rilevanti sotto il profilo artistico, prima di  avere un proprio atelier o i soldi per comprarsi il materiale
 Ma  la vera valenza di SAMO si rivela nel maggio  1978,  quando Basquiat e Diaz si mettono a spargere la tag per SoHo  e TriBeCa,  nel quartiere newyorkese di Manhattan, e poi per tutto il down-town  di New York accostato al simbolo del copyright, come SAMO©. Da quel  momento fotografati e contesi dai giornali locali, come il SoHo  News e il Village  Voice,  i graffiti con  la scritta SAMO© diventano famosi quanto il "bambino  radiante" di Keith Haring.
  
Le tag realizzate da Basquiat e Diaz col pennarello indelebile o la bomboletta spray sono sempre accompagnate da frasi a effetto dense di idee ermetiche, rivoluzionarie o apparentemente senza senso, inventate come "un modo per prendere in giro la falsità": "SAMO come la fine della religione che ti lava il cervello, della politica inconcludente e della falsa filosofia", SAMO come clausola liberatoria", "SAMO salva gli idioti", "SAMO come la fine del punk in vinile", "SAMO come alternativa al fare arte con la setta radical-chic finanziata dai dollari di papà", "SAMO come espressione dell'amore spirituale", "SAMO per la cosiddetta avanguardia". Dopo la rottura del sodalizio con Al Diaz, nel 1980, Basquiat scriverà nelle vie del centro della città “SAMO© IS DEAD”. In seguito non utilizzerà mai più l’acronimo.
Lasciati  già nel 1978 gli studi alla City-as-School e la casa paterna,  Basquiat si guadagna da vivere vendendo postcard in città e un  giorno, in un ristorante di SoHo, fa la conoscenza di Henry  Geldzahler e di Andy Warhol, ma ci vorranno altri anni prima che  Jean-Michel riesca ad essere accolto nella "Factory" del re  della Pop art. Nei primi anni ’80 Basquiat è ormai cliente fisso  dei due club più esclusivi nella scena socio-culturale di New York:  il Club 57 e il Mudd Club, frequentati anche da Warhol e da Madonna,  con la quale allaccerà per alcuni mesi una relazione, e da Keith  Haring, che gli diverrà amico fino alla morte.
  
Nel  1980 Basquiat è presente al Times Square Show, una retrospettiva  sponsorizzata da Collaborative Projects Incorporated (Colab) e da  Fashion Moda, nella quale farà il suo formale debutto newyorkese  anche Keith Haring. L’evento sancisce la nascita di due nuove  avanguardie della Grande Mela: la downtown (Neo-pop) e la uptown (Rap  e graffiti). Intanto Glenn O'Brian sceglie Basquiat per interpretare  se stesso nel film-documentario New  York Beat,  che uscirà nelle sale solo nel 2001 con il nome di Downtown  81.  O'Brian  aiuterà l’artista anche a vendere alcune tele ai  Produttori del film.
Nel 1981 l’artista partecipa alla retrospettiva New York/New Wave con Robert Mapplethorpe, Keith Haring, Andy Warhol e Kenny Scharf, mentre il poeta e critico d'arte Rene Ricard pubblica "The Radiant Child" sulla rivista Artforum, pubblicizzando Basquiat e il suo percorso artistico e proiettando l’artista alla ribalta della cronaca d’arte contemporanea.
Modena  1981 è  la seconda sezione della mostra al Mudec, dedicata alla prima  “personale” di Basquiat che fu organizzata appunto in Italia, a  Modena nel maggio 1981 dal gallerista Emilio Mazzoli. 
  Nei  lavori qui esposti, ancora firmati con lo pseudonimo SAMO – che  inquadrava Basquiat fra i rappresentanti della nuova scena  graffitista –  gli echi della strada sono molto presenti e vengono  resi da Basquiat con l’uso della bomboletta spray privilegiando la  visione frontale e la veloce linearità dei contorni delle figure. Ma  già il suo graffito va evolvendo con il sofisticato trattamento  della superficie e la presenza di una tematica maggiormente  individualizzata sia in ambito iconografico – come l’iconismo  pastorale di risonanza biblica e l’arcaico classicismo figurale che  troviamo in The  Field Next to the OtherRoad –  sia in ambito pittorico, come in Untitled (1981).
  
Ma  l’esordio “europeo” del  giovane artista americano è piuttosto  sfortunato e  viene accolto con sarcasmo dai critici e collezionisti  al di qua dell’Atlantico. Invece, solo un anno dopo, nel marzo  1982, Basquiat  riscuote grande apprezzamento di pubblico e critica  nella sua mostra personale a New York, nella galleria d'arte di  Annina Nosei.
Lo studio di Pince Street, 1981-82. E’ la terza sezione della mostra e presenta alcuni dei lavori più iconici di Basquiat: essi furono infatti dipinti nel seminterrato della galleria di Annina Nosei in PrinceStreet, a Soho, dove, in occasione della preparazione della sua personale, Basquiat fu invitato dalla Nosei a usare il seminterrato come suo primo studio vero e proprio. Qui nacque la leggenda dell’artista sfruttato in un’umida cantina e obbligato a sfornare dipinti da vendere ai collezionisti che venivano portati giù a vederlo lavorare; ma in realtà era un bellissimo spazio, con il soffitto alto e finestre a battenti che facevano entrare la luce naturale. Qui nello studio del seminterrato Basquiat realizzò opere stupefacenti nonostante molte distrazioni e il fastidio dei collezionisti entusiasti che scendevano giù e insistevano per comprare i suoi quadri prima ancora che egli avesse l’opportunità di contemplarli e di decidere che erano effettivamente compiuti. Lo studio di Crosby Street 1982-83. La sezione presenta i lavori di crescente complessità, unita a un’audace semplicità, che Basquiat realizzò dopo che Annina Nosei lo aiutò a trovare un loft al primo piano del n.151 di Crosby Street, a pochi isolati di distanza dalla galleria, dove poter lavorare senza distrazioni. Lì capitavano meno collezionisti, ma ancora vari amici e perditempo: Basquiat lavorava spesso con il televisore acceso e sintonizzato su programmi di cartoni animati perché il movimento delle figure lo ispirava. In questo periodo Basquiat espone in Svizzera e poi in Olanda, con due retrospettive presso la Galerie Bischofberger a Maennedorf e alla Delta di Rotterdam. Rientrato in America, l’artista-musicista produce il disco hip hop Beat Bop e nello stesso periodo conosce e ha una breve relazione con la cantante Madonna, non ancora all’apice del successo, ma a cui rimarrà legato tanto che la popstar dieci anni dopo finanzierà la retrospettiva a lui dedicata al Whitney Museum di New York e nel 1996 pubblicherà un breve ma sentito ricordo di lui sul Guardian.
Lo  studio di Great Jones Street, 1984-88. 
  Risale effettivamente solo al 1983 l’importante e durevole  amicizia con Andy Warhol che, accolto Basquiat nella sua Factory, lo  aiuta a sfondare come fenomeno artistico emergente a livello  internazionale. Warhol, artista eccentrico ma con il fiuto anche per  gli affari immobiliari, affitta a Basquiat un’antica rimessa per  carrozze in Great Jones Street, nel quartiere di SoHo.  I lavori di Basquiat del 1984‐88  esprimono una composizione di più ampio respiro e un maggiore  impegno cromatico. Le sue opere diventano sempre più profonde e  spirituali. Talvolta le immagini appaiono rozze, infantili e   attingono alla Art  Brut di Jean Dubuffet,  ma l’elemento distintivo è l'uso delle parole, inserite nei  dipinti come parte integrante, oppure come sfondo, o volutamente  cancellate, per attirare l'attenzione dello spettatore.
Collaboration  paintings, 1984-85.
  Nel  1984 Gallerista di Basquiat Bruno  Bischofberger,  propone a lui, a Francesco  Clemente e  ad Andy  Warhol di  lavorare “a sei mani” alla realizzazione di una quindicina di  tele che vengono dipinte nello studio di Warhol in Union Square e che  restano nella storia dell’arte contemporanea uno degli episodi più  cospicui di collaborazione fra artisti. La reciproca contaminazione  spinse Warhol a ritornare alla pittura a pennello dei suoi primi  lavori, mentre Basquiat intensificava l’uso di serigrafie,  fotocopie e tecniche di stampa già sperimentate in passato.  A scopo artistico personale dipinge poi un altro ciclo di opere  insieme al solo Warhol, eseguendo oltre cento quadri nei quali è  riconoscibile l'apporto di entrambi, e allestendo una mostra comune  il cui manifesto presenta in maniera eloquente i due artisti come  protagonisti di un incontro di boxe. La boxe rappresenta  per Basquiat uno stile di vivere, e nelle interviste egli paragona  spesso l'arte a una sfida sul ring. Anche la metafora della Jam  Session si  presta a contestualizzare e a descrivere il dialogo serrato,  all’insegna dell’ “improvvisazione jazzistica” che i due  artisti andarono sviluppando in questo periodo.
“La  mascotte di Warhol”
  Nel  settembre ‘84 alcune tele realizzate a più mani vengono esposte a  Zurigo e il New York Times definisce Basquiat "la mascotte di  Warhol". Jean Michel Basquiat comincia a soffrire di questi  giudizi inclementi, e la sua ipersensibilità lo sospinge  ulteriormente nell’abuso  di droghe fino a renderlo tossicodipendente da eroina e a soffrire di frequenti  disturbi psichici. Nel 1985 l’artista espone ancora alla Galerie  Bischofberger di Zurigo,  alla Mary  Boone Gallery di New York ed alla Akira  Ikeda di Tokyo,  ma oramai è schiavo  della droga nonostante  molti dei suoi amici, compreso Warhol, vittime dei suoi attacchi  paranoici, tentino di aiutarlo a disintossicarsi.
  
Basquiat  appare sulla copertina del New York Times con il titolo "New  Art, New Money: The Marketing of an American Artist".  Nel 1986 espone ancora una volta le sue opere a Zurigo, poi ad  Abidjan, in Costa d'Avorio, facendo il suo primo viaggio in Africa.  Poco dopo si interrompono i rapporti con Mary Boone, fino ad allora  sua agente commerciale newyorkese e il pubblico ed i critici mostrano  ormai una certa fatica ad accettare i suoi lavori con lo stesso  entusiasmo di un tempo.
Nel 1987 Andy Warhol muore per i postumi di un’operazione alla cistifellea e il forte attaccamento al re della Pop Art di Jean-Michel lo conduce all'abuso di eroina per superare il trauma. L’artista espone ancora a New York nella galleria del cugino di Tony Shafrazi, suo ultimo mercante, poi inizia un tentativo di disintossicazione che non porterà mai a termine. Basquiat muore il 12 agosto del 1988, a ventisette anni, per una grave overdose di eroina. Lo stesso destino toccherà anche all'amico Haring, che muore di AIDS due anni dopo, e che il 17 agosto era stato presente al suo funerale insieme a Francesco Clemente e ad altri amici, al cimitero di Green-Wood a Brooklyn.
Filmografia  minima
  Comprende  il documentario New York Beat Movie di Edo Bertoglio (1981); il  lungometraggio Basquiat di Julian Schnabel (1996); il documentario  Finding My Precious Basquiat di Johnalynn Holland (2005); il  documentario A Conversation with Basquiat di Tamra Davis (2006) e  Jean-Michel Basquiat: The  Radiant Child del 2010.
 
			 
													  
							 
			 		 
		   
 
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                         
                                                                 
                        