La virtù che manca…

L’ironia riduce ogni fatto ad uno spunto per una risata, straccia la sofferenza, per farne polpette da gettare nelle fauci aperte dell’auditel sghignazzante.


La virtù che manca… Credits: http://m.dagospia.com/video-cafonal-silenzio-parla-pingitore-in-un-paese-in-cui-i-comici-diventano-politici-e-i-47669

La natura della politica, nelle sue origini greche, è stata il logos, il discorso. Essere capaci di utilizzare le parole per confrontarsi, persuadere, saper dialogare, era la virtù che tutti gli uomini, i cittadini, dovevano acquisire. Ci sono stati anche i Sofisti, che insegnando la virtù politica per professione, dimostrarono quale fosse il potere delle parole, e non sempre nel segno della verità: “…la parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti e a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentare la pietà.” [1]

L’agorà dell’Atene democratica, la piazza, era il luogo del confronto in cui si mettevano in campo più discorsi, per arrivare a una scelta condivisa, un discorso comune e quando pensiamo che anche oggi dovrebbe essere più o meno così, restiamo invischiati in una profonda amarezza. C’è un Parlamento che rappresenta la piazza della Democrazia, non più diretta certo, ma rappresentativa, in cui si pratica la dialettica politica in vista di… scelte condivise per il Bene comune? Quella virtù politica, quella che rendeva i cittadini degni e consapevoli di esserlo, perché occuparsi della vita pubblica era un diritto-dovere, dove la ritroviamo nelle due Camere, nei dibattiti, nelle scelte e nelle modalità che vengono messe in atto? Lo sappiamo, lo vediamo troppo spesso che il livello sia politico che dialettico nel nostro Parlamento può arrivare veramente in basso.

In compenso gli Italiani amano l’ironia, quell’ironia che la satira dei comici diffonde ovunque, nei programmi TV, radio, nei teatri. L’ironia che riduce ogni fatto, anche il più orribile, ad uno spunto per una risata; che straccia e sbrindella la sofferenza, per farne polpette da gettare nelle fauci aperte dell’auditel sghignazzante. Che non vuole vedere Italiani e Italiane afflitti, perché altrimenti non vanno al supermercato sorridenti, a comprare prodotti che aspettano, tra le corsie ricolme, di essere consumati.

Ironizzare, sdrammatizzare per non indignarsi mai veramente fino in fondo.

Ma è solo indignandosi veramente fino in fondo, che si possono prendere posizioni forti e condivise per riportare l’attenzione su quanto inaccettabile, ingiusto e disumano sia ciò che questo tipo di sistema ci propina e ci fa ingoiare. Si può comprendere quanto il Pensiero unico del sistema economico capitalistico posto come unico modello, abbia reso disumana la realtà quotidiana, dove per strada le richieste di aiuto sono nelle mani e nella voce di individui ai limiti della sopravvivenza, che non possiedono nulla, a cui spesso non diamo o non riusciamo a dare ascolto.

Non bisogna perdere lo sconcerto, bisogna aprire gli occhi al confronto tra i nostri supermercati stracolmi e quelli (se ancora resistono) di Atene, in cui regna il vuoto sugli scaffali, dove quei pochi prodotti essenziali, tutti uguali, creano delle file uniche di colore unico…(ndr, spiegavo ai miei studenti che non potevano crederci, così abituati allo scialacquamento consumistico.)

L’ironia annulla la rabbia, disperde quella forza insita nella percezione dell’ingiustizia sociale a cui assistiamo e di cui non dobbiamo essere complici. Ma qui da noi, i comici fanno politica, se non direttamente come qualcuno, diventano fonte di idee per chi cerca degli appigli o delle risposte… accendi la Tv e Tizio ti spiega i fatti. Quante volte avete sentito ripetere la battuta di Tizio sui fatti? Non ce l’ho con i comici o con la satira, quando questi però non siano funzionali alla Distrazione di massa.

E sui social? Furoreggiano gli eventi-beffa in occasione della scoperta del patrimonio inguattato dal cardinale con attico centralissimo o dello sperpero del denaro pubblico per un albero di Natale 2017 a Roma, soprannominato “Spelacchio”. Likes, emoticons, grasse risate e quella leggera aria soddisfatta per aver costruito o partecipato all’ultima pasquinata… Ma se nel XVII secolo e oltre, contro il potere papale, le pasquinate qualcosa hanno potuto significare nell’opinione di chi le leggeva, oggi non è più tempo.

Purtroppo, è sui giornali esteri che possiamo ritrovare uno sguardo disincantato e parole di critica per scoprire come la nostra società e la nostra politica si presentano, come vengono viste e percepite. Una volta ho sentito qualcuno parlare dell’Italia come del giullare dell’Imperialismo…

E questo, non è un nostro desiderio né il nostro ‘modello’.

Note

[1] da “L’encomio di Elena” di Gorgia, in I Presocratici. Testimonianze e frammenti a cura di G. Giannantoni, ed. Laterza

23/12/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Laura Nanni

Roma, docente di Storia e Filosofia nel liceo. Fondatrice, progetta nell’ A.P.S. Art'Incantiere. Specializzata in politica internazionale e filosofia del Novecento, è impegnata nel campo della migrazione e dell’integrazione sociale. Artista performer. Commissione PPOO a Cori‐LT; Forum delle donne del PRC; Stati Generali delle Donne.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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