Crollo delle nascite e la doppia morale sulla immigrazione

Il degrado del welfare, delle condizioni e delle retribuzione dei lavoratori e del loro potere contrattuale, non è responsabilità degli immigrati ma di chi li sta sfruttando, oltre che delle dei maggiori sindacati e delle “sinistre”.


Crollo delle nascite e la doppia morale sulla immigrazione

“Il numero di figli per donna cresce anche in Repubblica Ceca e Romania. Italia in fondo alla classifica con Spagna e Malta tra i Paesi meno fecondi. Nel 2022 migliora del 5% il Portogallo”

(Il sole 24 Ore del 30 Gennaio 2023).

Ormai dell'argomento se ne parla ben poco. Sui migranti è calato un silenzio assordante dopo mesi, anzi anni, di propaganda della destra che invocava la chiusura delle frontiere e il respingimento in mare delle navi cariche di umana sofferenza, miseria e disperazione.

Molti asseriscono che senza migranti l'economia odierna non andrebbe avanti perché gli italiani non sono disposti a svolgere mansioni umili e sottopagate. Altri ancora attribuiscono invece all'immigrazione la responsabilità oggettiva di avere spinto verso il basso la dinamica salariale con l'ingresso nel mercato del lavoro di un esercito industriale di riserva sottopagato.

In entrambi i casi si sbaglia analisi, o nel migliore dei casi si dicono mezze e pericolose verità, evitando di affrontare nodi salienti, come la libera circolazione delle merci e dei capitali che sta alla base dei fenomeni immigratori, acuiti per altro dalle guerre che insanguinano intere aree del globo creando al contempo emergenze sanitarie e ambientali.

E delle stesse guerre ormai non si vuole parlare dopo l'approvazione della bussola strategica europea [1] e l'aumento esponenziale della spesa militare nei paesi Ue e Nato.

Da tempo manca un punto di vista critico, potremmo definirlo marxista e di classe, sull'immigrazione, sulle dinamiche del mercato del lavoro. In assenza di una lettura articolata e di azioni conseguenti sul campo la propaganda xenofoba ha conquistato spazi ed egemonia.

Del resto non dimentichiamo che 30 anni fa ad affiancare i picchetti antimigranti della Lega furono anche circoli e realtà della cosiddetta sinistra democratica che scesero su un terreno alquanto scivoloso pensando di cavalcare l'ondata securitaria come poi dimostrato dai Pacchetti sicurezza e dall'incapacità di cambiare (non in peggio come invece è avvenuto) le normative in materia di immigrazione e di lavoro.

Da settimane Il Sole 24 Ore torna sull'argomento manifestando la preoccupazione padronale per il calo delle nascite e il ridursi nei numeri di quell'esercito industriale di riserva senza il quale non è possibile gestire l'economia capitalista né alimentare al contempo divisioni all'interno della classe lavoratrice per ottenere forza-lavoro a costi irrisori.

Mentre negli anni scorsi, le destre invocavano la chiusura delle frontiere, era proprio Confindustria ad assumere posizioni critiche e non certo per spirito umanitario.

Eurostat ha pubblicato alcune statistiche dalle quali si evince che nel 2030 ci saranno 190mila bambini in meno rispetto al 2020. Il calo demografico riguarda in particolare alcune nazioni mentre altre presentano al contrario un leggero aumento delle nascite.

Citiamo letteralmente Il Sole 24 ore e la sua rielaborazione dei dati statistici di Eurostat:

“L’Italia è tra i Paesi meno fecondi d’Europa, insieme a Spagna e Malta, con meno di 1,3 figli per donna. Diventa il peggiore tra i 27 se si prende in esame il tasso di natalità, che risulta il più basso nel 2021, pari a 6,8 nati ogni mille residenti contro una media europea di 9,1. Record negativi confermati dalle stime Istat sul 2022: nell’anno passato si è consolidato il calo delle nascite, che perdura - senza interruzioni - dal 2010.

[…] Per avere una popolazione stabile, al netto dei fenomeni migratori, servirebbe un tasso di fecondità superiore a due, necessario per garantire quanto meno il ricambio naturale. Ma l’ultima volta che questo indicatore nell’Ue è stato così alto era il 1975”.

Alla luce di queste considerazioni sorgono spontanee alcune deduzioni dalle quali ripartire per una analisi critica non tanto del fenomeno migratorio quanto degli impatti che lo stesso ha avuto sulla composizione del lavoro nei paesi a capitalismo avanzato. Analizziamo il caso italiano giusto a ricordare che il nemico di classe si combatte innanzitutto in casa nostra.

La riduzione dei salari dei lavoratori a bassa qualifica ha regalato ceti proletari alle destre per l'assenza di un'organizzazione sindacale e politica capace di promuovere lotte e difendere il potere di acquisto e le condizioni di vita di queste categorie. Non è stata così offerta alcuna una concreta alternativa al sovranismo di facciata. In alcuni paesi le organizzazioni sindacali tradizionalmente vicine alla classe lavoratrice, ad esempio in Francia sul finire degli anni settanta, presero posizione contro l'immigrazione chiedendone una drastica regolamentazione. Ma questa posizione non ha arrestato l'egemonia di consensi anzi ha favorito l'ingresso sulla scena politica del Fronte Nazionale.

È vero che anche altrove i salari hanno subito una lenta e progressiva erosione negli anni neoliberisti ma in Italia il crollo del potere di acquisto è stato assai marcato a confronto con la Francia e la Germania per non parlare poi dei paesi dell'Est Europa dove gli aumenti salariali, partendo da livelli decisamente bassi, sono stati ben maggiori.

Dovremmo una volta per tutte ragionare sulla sconfitta del movimento operaio italiano a partire dalla metà degli anni settanta, dalla svolta dell'Eur con la politica dei sacrifici, che ha trovato la strada spianata dal compromesso storico, fino alla cancellazione della scala mobile negli anni ottanta e novanta, mentre il tradizionale ascensore sociale si stava bloccando. Ma urge ricordare anche come innumerevoli attività, un tempo gestite a livello familiare, hanno avuto bisogno di riorganizzarsi industrialmente e in presenza di bassi introiti hanno favorito la presenza di immigrati pagati due euro all'ora, come nel settore dell'agricoltura (e qui dovremmo entrare nel merito delle politiche comunitarie).

Il progresso tecnologico rappresenta un fattore dirimente che ha alimentato gli esuberi di manodopera a bassa specializzazione. Hanno concorso agli esuberi anche i processi di delocalizzazione produttiva che a loro volta hanno determinato all'estero processi di organizzazione industriale.

L'effetto del progresso tecnologico e della scomposizione/ricomposizione delle filiere produttive, ha prodotto in Occidente un risparmio di lavoro e posto fine alla concentrazione produttiva in grandi fabbriche, mentre invece in Asia è avvenuto l'esatto contrario (nascita di grandi poli industriali controllati dalle multinazionali occidentali attratte dal basso costo del lavoro e da condizioni favorevoli). Per anni tutti i paesi europei hanno trasferito non solo in Asia ma nei paesi dell'Est Europa innumerevoli produzioni industriali, ottenendo in cambio legislazioni che hanno minato il diritto di sciopero e accresciuto le disuguaglianze sociali con l'avvento di un'élite di super ricchi. E in questi paesi il vento sovranista soffia forte con un armamentario ideologico anticomunista, xenofobo e neoliberista in economia.

Una volta, nelle grandi fabbriche occidentali, e italiane in primis, l'immigrato entrava subito in contatto con la classe lavoratrice autoctona o locale. C'era il sindacato conflittuale, andato perduto negli anni della concertazione. Pensiamo alle fabbriche del Nord Italia degli anni sessanta e settanta e alla elevata conflittualità della classe operaia che sapeva includere gli immigrati del Meridione in percorsi di lotta e di solidarietà attiva (le famose vignette di Gasparazzo sono ancora oggi illuminanti).

Sempre negli anni sessanta e settanta il sindacato e i movimenti extraparlamentari parlavano esplicitamente del controllo della produzione da parte dei lavoratori. Dopo la feroce ristrutturazione, a cavallo tra gli anni settanta ed ottanta, è cambiato tutto, disarticolato il processo produttivo del valore. Sono cresciute le piccole e medie imprese nelle quali il sindacato o non esiste o ha una posizione alquanto subalterna ai datori, limitandosi alla contrattazione di secondo livello, grazie anche alla detassazione dei premi sulla quale anche il Governo Meloni, in nome della fatidica semplificazione, sta lavorando con un decreto ad hoc previsto per fine Febbraio.

Alcuni economisti marxisti, ad esempio Barba e Pivetti che hanno analizzato bene il cosiddetto lavoro importato, restano convinti che sia stata proprio l'immigrazione senza controllo e pilotata dai padroni ad avere determinato la spinta al ribasso dei salari. Questa lettura, per quanto articolata, non ci convince perché tralascia i fatti storici come l'attacco portato al sindacato e ai movimenti sociali negli anni settanta e ottanta con un arretramento sostanziale del conflitto di classe. I fatti storici vanno analizzati non solo dal punto di vista economico, almeno secondo la nostra modesta opinione.

Non a caso oggi Confindustria, denunciando il calo delle nascite, torna a parlare di riforma del welfare offrendo indicazioni al Governo di destra. Lo stato sociale è stato costruito su famiglie nelle quali lavorava solo l'uomo o al massimo la donna era impiegata in part time o lavori stagionali, avendo così tempo per la cura di figli ed anziani.

L'attuale welfare è quindi inadeguato non solo rispetto ai reali bisogni sociali ma anche rispetto ai processi di sfruttamento capitalista. Viene denunciato che il suo limite sia quello di privilegiare la spesa previdenziale (siamo un paese di vecchi) a discapito delle famiglie e delle giovani generazioni (alle quali le destre toglieranno comunque il Reddito di cittadinanza). E su questa narrazione si insinua l'operato delle destre ma anche le ambiguità del sindacato che punta da anni sui fondi previdenziali e sanitari integrativi a discapito della difesa di sanità e previdenza pubblica.

Come accaduto negli anni novanta attorno alle tutele individuali e collettive, il rischio è quello di buttare via il bambino con l'acqua sporca, ossia favorire la riduzione del potere di acquisto delle pensioni recuperando fondi per la ristrutturazione del welfare secondo i desiderata padronali. Un sindacato diventato sensale dei fondi integrativi difficilmente riuscirà a salvaguardare le pensioni e il welfare per ottenere uno stato sociale equo e attento non solo alle giovani generazioni ma anche alle condizioni di vita di una popolazione vecchia e malandata.

Per ottenere un risultato apprezzabile il sindacato e le forze politiche dovrebbero assumere ben altre posizioni anche in materia fiscale. Da tempo sono in diminuzione le entrate fiscali nelle casse statali. Il motto pagare meno tasse si è impossessato anche della contrattazione sindacale (la detassazione dei premi di cui parlavamo sopra). Se non si vogliono tassare adeguatamente i redditi elevati lo stato sociale entra in sofferenza; se su autonomia differenziata e flat tax non disturbiamo il manovratore padronale e governativo i risultati saranno deludenti e sanciranno un'ulteriore sconfitta di classe

Da anni poi i Governi via via succedutisi hanno abbandonato ogni piano di edilizia popolare. Il patrimonio odierno è vecchio e fatiscente e, con l'acuirsi della crisi, la carenza di alloggi disponibili in affitto diventa drammatica anche a causa dell'aumento esponenziale della domanda determinato dall'insorgere della crisi che ha sancito la proletarizzazione di parte del vecchio ceto medio.

Per contenere la richiesta di alloggi popolari la destra ha calcato, nelle amministrazioni locali ove governa, la strada dei regolamenti penalizzanti per i migranti, anche per quelli in possesso di regolare permesso di soggiorno, e questa scelta, per altro a nostro avviso anticostituzionale, ha guadagnato consensi nei gruppi sociali popolari autoctoni che si vedono scavalcati nelle graduatorie, considerato il minor numero dei componenti dei nuclei familiari.

La libera circolazione delle merci e dei capitali rappresenta allora il punto di partenza di ogni valutazione critica dalla quale far scaturire un'azione politica e sociale conseguente e all'insegna del conflitto.

La circolazione delle merci e dei capitali è stato il faro guida dei paesi Ue. In Italia, come in altri paesi europei, sono state operate scelte di accompagnamento, una tra tutte le politiche di austerità e il Pareggio di Bilancio in Costituzione.

Hanno progressivamente indebolito il vecchio Stato senza adeguarlo ai nuovi bisogni sociali, attaccando la classe lavoratrice e i movimenti sociali con leggi liberticide come la distruzione della scala mobile e dell'art 18 dello Statuto dei Lavoratori, e precarizzando il lavoro e le nostre stesse esistenze.

L'ingresso nel mercato di una forza-lavoro sottopagata ha generato la crisi dei lavoratori non specializzati. In questo contesto si è per aggiunta delocalizzata parte della produzione e sviluppato il fenomeno delle cooperative e degli appalti al ribasso con contratti nazionali che prevedono una retribuzione annua lorda irrisoria.

Se è innegabile che in alcuni casi le cooperative hanno pur rappresentato la sola ancora di salvezza dalla miseria per tanti lavoratori emarginati dal ciclo produttivo, l'intero sistema ha utilizzato a suo piacimento questa situazione alimentando la riduzione del potere d'acquisto salariale e degli spazi per la contrattazione sindacale.

Come vediamo, attribuire ai migranti responsabilità proprie del capitale è un espediente per non fare i conti con le reali contraddizioni sistemiche.

E lo stesso ragionamento andrebbe oggi esteso alla riforma del welfare che nasce non da bisogni reali delle classi sociali meno abbienti ma dalla volontà prevaricatrice del padronato italiano ed europeo.

 

Note:

[1] La bussola strategica è un piano d'azione per rafforzare la militarizzazione dell'UE entro il 2030. Lo scopo dichiarato, naturalmente adducendo esigenze di difesa e sicurezza, è di produrre un deciso salto di qualità e un aumento della capacità di intervento militare “in situazioni di crisi”, quindi di attaccare altri popoli o ingerirsi nei conflitti già in atto all'estero, come sta avvenendo nella macelleria ucraina.

03/02/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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