Giustizia di classe

Nelle società capitaliste non solo non c’è traccia della concreta eguaglianza economica e sociale, ma la stessa eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge è del tutto fittizia.


Giustizia di classe Credits: https://www.supereva.it/vera-storia-moby-dick-53928

La “giustizia” delle società borghesi liberal-democratiche pretende di essere eguale per tutti. In realtà, resta una forma del dominio di classe del blocco sociale al potere sui ceti sociali subalterni. Perciò i reati costantemente commessi dalla classe dominante restano generalmente impuniti, in quanto richiedono un’attitudine eroica del pubblico ministero, considerate le enormi difficoltà che concretamente si presentano in casi del genere.

I principali crimini commessi dai gruppi sociali dominanti e dirigenti ai danni dei sostanzialmente indifesi esponenti dei gruppi sociali subalterni o dell’intera sfera pubblica vanno dal concorso esterno nella malavita organizzata, alle morti sui posti di lavoro, dall’evasione fiscale sistematica, alla bancarotta fraudolenta, dall’altrettanto sistematica corruzione, alle “adulterazioni” ambientali e alimentari, dall’abusivismo edilizio all’aggiotaggio. Essendo le rappresentazioni dominanti patrimonio delle classi dominanti, la (dis)informazione di massa tende costantemente a criminalizzare e a creare terrore verso la microcriminalità delle classi subalterne, mentre tende a occultare, per quanto possibile, la sistematicità dei macro crimini commessi dalle classi al potere, facendoli al massimo apparire come la mela marcia da bonificare, per mantenere incontaminati la schiera dei notabili. Al punto che per certi reati, a partire dall’inquinamento ambientale, vi è una sostanziale tolleranza ideologica, in quanto come l’altrettanto sistematica corruzione negli appalti, vengono spacciati come reati socialmente necessari al funzionamento dell’economia e di conseguenza al benessere sociale. In tal modo la percezione di chi sono i reali criminali viene costantemente distorta dai grandi mezzi di distrazione di massa che puntano tutto sulla cronaca nera, di cui occultano le ragioni socio-economiche, sorvolando sistematicamente sulla macro-criminalità funzionale ad assicurare l’indisturbata dittatura della grande borghesia. La quale, in quanto classe dominante, non può essere intralciata dai lacci e lacciuoli delle normative, anche perché la “giustizia” borghese è funzionale alla difesa della grande proprietà privata, anche attraverso la sistematica razzia della piccola proprietà dei ceti dominati e della pubblica proprietà. Per cui lo stesso diritto umano alla sicurezza viene sistematicamente stravolto da chi manipola l’opinione pubblica, controllando i mezzi di comunicazione di massa, in senso classista. In primo piano è sempre posta la sicurezza dell’individuo e della sua proprietà, in particolare se è parte della borghesia, e non il diritto alla reale libertà dal bisogno, mediante dei servizi pubblici efficienti e tendenzialmente gratuiti e il diritto a un’occupazione stabile e dignitosamente remunerata.

La sicurezza sociale per le classi subalterne, sistematicamente violata, non fa notizia, mentre si tendono a enfatizzare al massimo la microcriminalità degli umiliati e offesi, tanto più se si tratta di stranieri indigenti, per fomentare il razzismo e la criminalizzazione della povertà. Discorso analogo vale per il diritto umano all’eguaglianza economica e sociale, sistematicamente violato, dal momento che la stessa eguaglianza borghese dinanzi alla legge astratta è sempre più ridotta a mera ideologia. Naturalmente i rapporti sociali e di proprietà dipendono dai rapporti di forza fra le classi sociali con interessi necessariamente contrastanti. Per cui se tali rapporti di forza continueranno a mutare esclusivamente a favore della classe dominante degli sfruttatori, la situazione della massa di dominati sfruttati non potrà che peggiorare, anche dal punto di vista borghese del diritto formale. Ad attentare all’attuale equilibrio, favorendo ulteriormente i più ricchi a discapito dei meno abbienti vi sono, dal punto di vista giuridico, le controriforme cui punta da tempo la classe dominante, ovvero la separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri e l’eliminazione dell’obbligatorietà dell’azione penale [1].

Per altro queste problematiche sono comuni a tutte le società classiste, ossia da questo punto di vista tutto il mondo oggigiorno rischia di essere paese, come si suol dire. Peraltro, nel conflitto sociale, come in ogni guerra, la verità viene sistematicamente stravolta a tutto vantaggio della classe dominante. Per cui i grandi mezzi di (dis)informazione ricorrono a qualsiasi mezzo necessario per manipolare gli eventi, sino a stravolgerli, per impedire che divenga possibile distinguere fra vittime e carnefici. Ciò è quanto mai evidente, naturalmente, nel paese padre e paladino della moderna liberaldemocrazia, gli Stati Uniti. Nonostante sia ormai palese in tutto il mondo, per chi ha occhi per vedere, come la criminalizzazione razzista dei poveri sia funzionale a occultare la sistematica violazione della legge da parte dei più ricchi che, per mantenere i loro assurdi privilegi, sono sempre più spinti a negare quei residui di sicurezza sociale, che impedirebbero ai poveri di dover violare sempre più spesso la legge per poter sopravvivere. Così gli Stati Uniti non solo hanno proporzionalmente la nettamente più alta percentuale di popolazione carceraria del mondo – generalmente costretta ai lavori forzati e quasi esclusivamente composta da membri delle classi subalterne –, ma utilizzano sistematicamente la violenza degli apparati repressivi dello Stato per imporre la propria dittatura di classe sugli sfruttati. Una guerra preventiva portata avanti nel modo più sistematico, secondo il modello utilizzato dagli spartani per mantenere sottomessi gli iloti, per cui la vita dei subalterni, in particolare se espressione dei gruppi etnici più sfruttati, è costantemente messa in discussione nel modo più arbitrario dalle forze del (dis)ordine imperante. Così le costanti esecuzioni pubbliche, nel modo più arbitrario, in particolare degli afroamericani vengono generalmente presentate dai mezzi di comunicazione internazionali – vere e proprie casse di risonanza del pensiero unico – come frutto di scontri fra membri delle forze dell’ordine e afroamericani, in quanto tali sospetti. Per altro, queste continue e costanti provocazioni a danno dei settori più deboli e indifesi delle classi subalterne vengono sfruttate a fini rovescisti, ossia per imputare il clima di violenza e di serpeggiante guerra civile – sistematicamente prodotto dalle classi dominanti – agli “sconsiderati atti contro la proprietà privata” dei gruppi sociali meno abbienti. In tal modo, grazie alla solita e ben sperimentata strategia della tensione, puntellata da una vera e propria strage di Stato nei riguardi dei più poveri, si fa artificialmente crescere il panico per la mancanza di sicurezza pubblica prodotta dalla microcriminalità dei subalterni, facendo crescere il consenso per l’uomo forte al potere, pronto a difendere la proprietà privata della classe media e dominante con ogni mezzo necessario.

Così uno dei due partiti, che dominano incontrastati la liberaldemocrazia a stelle e strisce, non solo difende a spada tratta la repressione preventiva volta a criminalizzare la povertà condotta dalle forze del (dis)ordine borghese, con la piena copertura degli organi di (dis)informazione di massa, ma tende a esaltare i cittadini di estrema destra pronti a difendere con le armi la proprietà privata che sarebbe messa in discussione dalle proteste dei subalterni, dinanzi alle costanti provocazioni da parte degli apparati repressivi dello Stato.

Al punto che persino il capo della Stato ha preso nettamente posizione a difesa dell’estremista di destra che ha aperto il fuoco contro i manifestanti che protestavano per le violenze gratuite e arbitrarie della polizia, uccidendo due afroamericani e ferendone numerosi altri. Mentre contro un esponente dei manifestanti che – per difendere il diritto di scendere in piazza dei subalterni, dinanzi alle costanti provocazioni che subiscono – ha reagito di contro agli attacchi sempre più violenti degli estremisti di destra, provocando presumibilmente la morte di uno di loro, si è aperta immediatamente una caccia all’uomo, conclusasi con l’abbattimento del fuggitivo da parte degli apparati repressivi dello Stato. Dunque per gli estremisti di destra impegnati in costanti provocazioni degli esasperati subalterni, che provano a reagire alla costante repressione preventiva, c’è la difesa a spada tratta dello stesso capo dello Stato, mentre per un addetto al servizio d’ordine che provoca, presumibilmente, la morte di un membro dell’estrema destra, intento al solito a provocare pesantemente i manifestanti, vi è di fatto l’esecuzione pubblica di una condanna a morte senza processo. Senza che questi clamorosi eventi provochino quella generale indignazione che ci si aspetterebbe in un paese “civile”. Al contrario la narrazione pubblica di tali tragici eventi, da parte dei mezzi di comunicazione di massa, nazionali e internazionali, continua a parlare sempre di un subalterno, in generale un afroamericano ucciso, senza mai scrivere di un membro degli apparati repressivi dello Stato o della destra radicale che uccide. Allo stesso modo le violenze sono sempre “provocate” dai manifestanti, che esprimono il loro disappunto dopo l’ennesimo assassinio pubblico gratuito di uno di loro e mai attribuite in riferimento alle forze del (dis)ordine borghese o ai provocatori della destra estrema e razzista, come ha fatto giustamente notare forse il più significativo studioso italiano vivente della cultura statunitense [2]. Del resto, come denuncia ancora Portelli nel citato articolo, è la cultura dominante, in particolare nel mondo occidentale, a denunciare sempre la violenza seconda della preda costretta a difendersi e ad assolvere preventivamente la violenza prima e arbitraria dell’aggressore. Così l’epopea divenuta famosa in tutto il mondo, grazie all’industria culturale a stelle e strisce, della conquista del West, ha sistematicamente portato avanti, con le classiche eccezioni che confermano la regola, il rovescismo storico per cui i violenti non sono mai i colonizzatori di origine europea, autori di un vero e proprio genocidio nei confronti degli autoctoni, ma i pochi di questi ultimi che hanno osato resistere, necessariamente con una “violenza seconda”. Persino nei punti più alti della cultura dei colonizzatori d’origine europea, nel classico capolavoro della letteratura statunitense Moby Dick, la creatura demoniaca non è il capitano della baleniera che “dà la caccia alla balena per ucciderla ma la balena che si è difesa e gli ha strappato un gamba. La violenza non è quella del cacciatore, ma della preda che si difende” [3]

Note:
[1] Su tali tematiche non si può non rinviare al più attuale approfondimento di essa da parte di Elisa Pazé, “Anche i ricchi rubano”, Edizioni Gruppo Abele, pp. 189, euro 14. Come introduzione a tale importante pubblicazione rimandiamo all’ottima recensione di Jacopo Rosatelli, Nell’era del populismo penale, la “sicurezza” non riguarda la società, pubblicato ne “Il manifesto” del25.08.2020.
[2] Cfr. Alessandro Portelli, Kenosha e i verbi per difendere il cacciatore e non la preda, in “Il manifesto” del 27.08.2020.
[3] Ibidem.

14/09/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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