L’accordo franco-tedesco sul Recovery fund

Merkel e Macron si accordano su come dovrebbe funzionare il fondo europeo per la ripresa: un piccolo importo che produrrà più danni che benefici.


L’accordo franco-tedesco sul Recovery fund Credits: https://www.google.it/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fpublicdomainvectors.org%2Fen%2Ffree-clipart%2FDebt-crisis-word-cloud-vector%2F27041.html&psig=AOvVaw0EoHjuzM3o1qkNEZ53zFSD&ust=1590157890480000&source=images&cd=vfe&ved=0CAIQjRxqFwoTCNCdl52WxekCFQAAAAAdAAAA

Per mettere a punto le risposte europee alla crisi, lunedì 18 ottobre si è tenuto un incontro tra il Cancelliere tedesco Angela Merkel ed il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron. Nel comunicato stampa congiunto, disponibile anche in lingua inglese, si parla di tante cose, “sovranità sanitaria” (sic!), “mercato unico”, e “recovery fund”, il fondo per la ripresa dalla pandemia causata dal nuovo Coronavirus Sars-Cov-2.

Riguardo quest’ultima questione, la proposta franco-tedesca non è completa, segno che tra i due grandi dell’eurozona ci sono ancora divisioni, ma il quadro che emerge è sufficiente a delineare l’effettiva natura di questo strumento:

  1. Finanziamento: 500 miliardi di nuovo debito contratto dall’Ue sui mercati;
  2. Beneficiari: priorità ai settori e alle regioni più colpite dalla crisi economica sulla base del budget pluriennale europeo e delle sue priorità;
  3. Condizionalità: sane politiche economiche e ambiziosa agenda di riforma da parte degli Stati;
  4. Ancora da negoziare: modalità di trasferimento dei fondi e compartecipazione ai costi.

Finanziamento

I governi di Francia e Germania avrebbero concordato che il fondo sarà inscritto nel nuovo bilancio pluriennale europeo 2021-2027 e non sarà dotato di più di 500 miliardi di euro. Una cifra molto ridimensionata rispetto a quanto ventilato quando se ne è cominciato a parlare (1.500-2.000 miliardi). Cifra che, per di più, deve essere spalmata in sette anni. Per rendersi conto di quanto l’importo sia ridicolmente inadeguato, basta confrontarlo con i pur miseri 55 miliardi messi finalmente a disposizione dal governo italiano dopo un mese di annunci, il famoso decreto-aprile poi ribattezzato decreto-rilancio. La manovra nostrana vale il 2,8% del prodotto interno lordo del paese, mentre il Recovery fund, se non verrà ulteriormente sfoltito in sede di negoziazione, vale solamente lo 0,4% del Pil continentale. Un po’ come se il nostro governo avesse stanziato 7,9 miliardi per far fronte all’emergenza economica e al Covid-19.

Pienamente confermato, invece, il ricorso ai mercati finanziari per raccogliere questi soldi. Non ci sarà nessuna tassa europea - che avrebbe pesato per 158 euro pro-capite per i prossimi sette anni - nessuna monetizzazione del debito da parte della Banca centrale europea, ma nuovo debito pubblico che andrà ad ingrassare ancora di più gli appetiti dei grandi speculatori e che porterà, comunque ed inevitabilmente, a più tasse per le classi popolari. In ogni caso, Francia e Germania sembrano aver capito che per non far deflagrare l’Ue è necessario procedere ad una prima, seppur timida, mutualizzazione del (nuovo) debito. Per decodificare il significato di questa scelta rimandiamo al redazionale uscito qualche settimana fa.

Beneficiari

Nel testo che è stato fatto circolare Francia e Germania hanno riconosciuto la necessità di aiutare in via prioritaria i settori e le regioni economicamente più danneggiate ma sulla base del budget pluriennale europeo 2021-2027 e sulle priorità in esso indicate. Come verrà stabilito quali sono i settori e le regioni più danneggiate sarà dirimente per capire dove andranno i soldi ma altrettanto importante sarà vedere il bilancio per il prossimo settennato. Quel che è chiaro, è che per vedere i soldi veri ci vorrà più di un anno, quindi troppo tardi per “aiutare i settori e le regioni più colpite” che nel frattempo dovranno fare a meno di questo strumento. Il riferimento al budget e alle sue priorità, però, significa anche che a farla da padrone non saranno i più colpiti bensì i settori considerati strategici.

Essendo il budget 2021-2027 ancora in via di negoziazione, per capire che cosa questo significa in concreto ci si deve rifare al precedente 2014-2020. La gerarchia che emerge dagli ultimi sette anni vede il finanziamento di spese che hanno a che fare con la salute - incluse quelle per il covid-19 - aver superato di poco i 6 miliardi, mentre le infrastrutture transeuropee di trasporto hanno ottenuto 41,3 miliardi, i trasporti 15,8 miliardi, l’energia 23 miliardi, l’efficienza energetica 17 (di cui 7,5 destinati ai privati), ICT non destinata all’efficientamento energetico o alla sanità 12,3 miliardi, la promozione del turismo 3,8 miliardi, ecc [1]. Peccato che la crisi economica non si abbatta sui vari settori seguendo la lista di priorità dei burocrati che siedono a Bruxelles.

Alcune linee di finanziamento, poi, sono espressamente dirette a finanziare soggetti pubblici o privati, grandi o piccoli. Per quanto riguarda la ricerca e l’innovazione, alle pubbliche amministrazioni sono arrivati 12,4 miliardi mentre alle imprese private quasi il doppio, 22,4. Più in generale, i finanziamenti espressamente ed esclusivamente dedicati alle amministrazioni pubbliche hanno elargito 39 miliardi di euro, mentre quelle espressamente dedicate ai privati gliene hanno portati 58 miliardi. Di questi 5,5 sono destinati esclusivamente alle 44.000 grandi imprese continentali, 41,5 milioni espressamente per le piccole e medie imprese, che nell’Ue sono stimate essere 22,3 milioni [2], mentre 11 per chi, indipendentemente dalla grandezza, sviluppa servizi dedicati alle Pmi. Se si fossero divisi questi soldi tra tutti i potenziali beneficiari, a ciascuna grande impresa sarebbero toccati 125 mila euro mentre a ciascuna Pmi 1.860.

Infine, c’è da ricordare che le modalità che l’Ue adotta per assegnare i fondi sono, in molti casi, legate a progetti, quindi su base concorrenziale. Il che significa che i meno efficienti rimangono tagliati fuori, allargando così ancora di più la forbice tra chi sa stare sul mercato e chi è destinato a soccombere. Una modalità che entra in contrasto con il proposito del Recovery fund, che dovrebbe, almeno a parole, aiutare chi è stato maggiormente colpito dalla crisi ma che, al contrario, si rivelerà l’ennesimo strumento per favorire la centralizzazione dei capitali e la ristrutturazione produttiva.

Condizionalità

Parzialmente ridimensionato dal recente accordo sul Mes, che ha ridotto le condizionalità in entrata al finanziamento delle spese sanitarie pur lasciando campo libero alle condizionalità ex-post, il ricatto delle riforme strutturali, del taglio alla spesa pubblica, in particolare quella sociale, dei salari e dei diritti - o come si usa dire “sound economic policies and ambitious reform agenda” che potremmo tradurre come “sane politiche economiche e ambiziosa agenda di riforma” - torna prepotentemente all’ordine del giorno con il Recovery fund, il più sinistro degli strumenti dell’interventismo europeista in epoca di Coronavirus.

Il tanto temuto memorandum con cui la Troika ha commissariato i governi Greci e che sembrava uscito dalla porta del Mes, rientra dalla finestra del Recovery fund: se si vuole che le imprese e le amministrazioni pubbliche del proprio paese beneficino dei soldi del fondo europeo per la ripresa, il governo nazionale dovrà sottostare a tutta quella serie di diktat e contro-riforme che hanno messo in ginocchio le classi popolari e l’economia greca. Un bell’affare!

Punti ancora da negoziare

Il compromesso tra la linea rigorista interpretata dalla Merkel e quella più solidale interpretata da Macron non è privo di lacune. Innanzi tutto, malgrado la grancassa mediatica, nel testo diffuso alla stampa non si accenna alle modalità con cui l’Ue trasferirà i soldi ai beneficiari. Quella dei trasferimenti a fondo perduto, infatti, è solo una modalità, sebbene maggioritaria, che però convive con altri modi, tra cui l’utilizzo di strumenti finanziari e prestiti di vario genere.

Pertanto, è assolutamente possibile che alla fine si arrivi ad un doppio indebitamento: da un lato quello dell’Ue direttamente nei confronti dei grandi speculatori, dall’altro quello degli Stati membri nei confronti dell’Unione, o che si arrivi al compromesso di avere parte delle risorse elargite sotto forma di prestito e parte a fondo perduto, in modo da permettere a tutti di salvare le apparenze.

Altra questione su cui non si è raggiunto un compromesso, o sul quale non ci si è voluti esprimere per non evidenziare il maligno che si nasconde nei dettagli, è l’eventuale partecipazione alle spese da parte dei beneficiari. Sia a livello europeo che a livello nazionale, infatti, molti incentivi non coprono mai il 100% dei costi ma prevedono il co-finanziamento da parte del beneficiario. Se questo principio sarà mantenuto, dunque, i soggetti che vorranno accedere alle linee di finanziamento del Recovery fund dovranno metterci qualcosa, di tasca propria se avranno risorse e liquidità o tramite l’aiuto di terzi, vale a dire le banche. Un modo, anche questo, che non contribuisce certo ad aiutare i settori e le regioni “più” colpiti.

Qualcuno ancora pensa che il Recovery fund è di sinistra?

Note:

[1] ESIF 2014-2020 categorisation ERDF-ESF-CF - planned | Data

[2] Business economy - size class analysis

24/05/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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