Tech Workers Coalition – sezione italiana

È nata anche in Italia la sezione del movimento sindacale internazionale dei lavoratori del settore tecnologico. “La Città Futura” intervista un portavoce.


Tech Workers Coalition – sezione italiana

D. Ciao Paolo ci fa molto piacere intervistarti e ti ringraziamo per il tempo che puoi dedicarci. Come collettivo da tempo ci interroghiamo sui cambiamenti in corso in alcuni settori lavorativi dovuti allo sviluppo delle tecnologie. Una massa sempre maggiore di capitale informatico è presente nel ciclo produttivo; ciò sta producendo nuove forme di precariato legate alle nuove condizioni di lavoro. “Pulitori di dati”, precari del food delivery controllati e comandati da piattaforme digitali, cloud workers, ossia lavoratori autonomi che vendono via internet la propria forza lavoro, tutte forme di lavoro in rapida espansione che hanno in comune un alto tasso di sfruttamento e precarizzazione ed essendo spesso forme di lavoro “autonomo” sono anche difficilmente sindacalizzabili. Dunque vediamo molto favorevolmente la nascita della sezione italiana del Tech Workers Coalition (Twc) e come prima domanda ti chiediamo di illustrarci meglio quali sono queste nuove categorie di lavoratori e lavoratrici che tech workers cerca di coalizzare, com’è nato questo movimento sindacale internazionale e quali sono i suoi obiettivi.

R. Twc è un progetto nato recentemente, ma la critica e l’antagonismo al sistema negli ambienti tech sono sempre esistiti. Tutto deriva dai primi scioperi avvenuti nella Ibm, dal sottomondo che negli anni ’90 ha tentato di creare uno spazio alternativo tra le realtà anticapitaliste, sfruttando la totale libertà dell’internet. Guardando ancora più nel passato, siamo figli della prima centralinista che si è tolta le cuffie e ha detto “No!”. Uno dei nostri obiettivi è quello di portare avanti questo “sentimento”, cercando di raggruppare tutti i lavoratori che ruotano attorno al settore Ict. Cerchiamo di concentrarci sui nostri diritti e dare voce a quelle singole prese di posizioni più radicali, nate spontaneamente nel nostro settore: da quelle direttamente tecnologiche, come per esempio ecosostenibilità e privacy, a quelle più sociali, come la lotta alle discriminazioni di ogni tipo. Lavoriamo per mostrare che c’è un connessione tra la nostra società capitalista e la mancanza di diritti sociali, sindacali e civili. Siamo convinti che forzare quella congiunzione possa portare alla fine delle condizioni che opprimono la seconda classe del mondo: gli sfruttati. Rivendicazioni salariali, di riduzioni d’orario e disintossicazione dell’ambiente di lavoro sono gli obiettivi a breve termine, primi passi per creare solide fondamenta e farci affrontare insieme un orizzonte ancora più grande, fatto di sfide sociali e politiche.

D. Sbirciando un pò su internet sembra che all’origine dello sviluppo di questo movimento sindacale vi sia il tentativo di riunire in una rivendicazione unitaria quei lavoratori che pur lavorando nel medesimo settore industriale percepiscono salari differenti a causa della diversa collocazione nella catena del valore. L’ingegnere, il ricercatore universitario o responsabile in azienda, l’informatico, il rider etc., figure differenti che però possono essere uniti nella lotta. Quali sono le battaglie principali finora condotte negli altri paesi e come si possono unire nella lotta figure differenti?

R. Come ho anticipato, Twc agisce per unificare le rivendicazioni di lavoratrici e lavoratori di settori molto differenti, si cerca di tendere quel filo rosso che unisce due sistemi: il primo è quello che oso chiamare “filiera tecnologica”, composta sia da quelli che partecipano direttamente alla produzione di tecnologia, come programmatrici, ingegneri, sistemiste, analisti, grafici e tutte le altre figure tecniche/creative presenti, sia da chi vi partecipa indirettamente, come magazzinieri, personale di cucina, personale di servizio, minatori del silicio etc. Il secondo invece si riferisce a tutti quelli che utilizzano ciò che viene generato dal settore Ict, ai lavoratori che si trovano alla fine della catena di produzione, coloro che sono passati da usare uno strumento tecnologico per produrre, o addirittura emanciparsi, e che ora ne sono “succubi”, come rider, operatrici di call center e tutte le altre figure della gig economy. Questo filo rosso, qual è? Semplicemente è quella serie di contraddizioni che si esprimono tramite salari inadeguati, diritti mancati e ambienti dispotici che, oltre alcune differenze, sono uguali in ogni realtà coinvolta e noi cerchiamo di generare un “effetto farfalla”: un’azione alla volta, per far sì che questo filo si tenda sempre di più. Può sembrare un’impresa irrealistica, ma ha già mostrato risultati e così è nata questa union nel 2015. Dagli sforzi dei primi dipendenti della catena Hyatt a Santa Clara si è arrivati a vedere gli scioperi da parte dei consulenti informatici delle multinazionali in Bangalore, le proteste dei tech worker a Berlino, le dimostrazioni nella Bay Area di San Francisco o la più recente organizzazione dei lavoratori nella sede principale di Google. Ho citato solo una minima parte di tutto quello che hanno fatto e stimolato le persone di questa lotta, anche se neonata ed ancora in fase di creazione. Si possono elencare decine di sottogruppi o sindacati paralleli, come i Game Workers Unite o le tante sezioni sparse che si istruiscono, agitano e organizzano; tutti con un solo scopo che si riassume in: Solidarity forever, for the union makes us strong.

D. Che relazioni intercorrono tra questo movimento sindacale e i sindacati tradizionali?

R. Questa è una domanda interessante, si può dire che, anche se cerchiamo di inserire una voce nuova, non facciamo che riportare alla luce un sistema di tattiche e strategie basato su modelli precedenti con i giusti aggiornamenti. Sottolineerei una differenza fondamentale: crediamo sia necessario inserire l’ambiente sindacale in una macchina più ampia, formata da altre organizzazioni sorelle, figlie di una stessa direzione. I sindacati più all’avanguardia, che oggi riescono a mobilitare i lavoratori verso rivendicazioni non solo lavorative con standard sempre più alti, sono più simili a una trottola che non a un ingranaggio inserito in una macchina più ampia. Twc propone di ricostruire quella macchina, collaborando con tutte le parti del panorama per invertire quella tendenza ad agire come “trottole” e ritrovare il minimo comune denominatore al rialzo, per lavorare nel creare da zero un movimento trasversale nel settore tech. Soprattutto per ricompattare i lavoratori che stanno vivendo una situazione di regressione dei diritti, generata da grandi frazionamenti contrattuali che scatenano una guerra tra poveri. Bisogna spezzare questo modus operandi e la strategia espressa, secondo noi, è la maniera migliore per iniziare questo cambiamento; non sarà un lavoro semplice, ne siamo consci, ma abbiamo l’esempio di altri tech worker, che ci ricordano la possibilità di ottenere successi in condizioni sfavorevoli.

D. La sezione italiana è stata creata più di recente, immaginiamo che ciò sia anche dovuto ad un disomogeneo sviluppo delle forze produttive esistente tra i paesi a capitalismo avanzato. Quali sono le peculiarità italiane?

R. La situazione italiana si può sintetizzare con il termine “comprador”. Indica una figura che svolge la funzione di agente per un’organizzazione estera e ne promuove gli investimenti in loco in campo commerciale, economico o politico; le classi dirigenti nostrane rientrano perfettamente nel concetto di “borghesia compradora”. Per esaminare meglio questo comportamento inizierei dal ceto politico: composto da amministratori e politici inadeguati, pronti “a scambiare perline di vetro in cambio dell’accesso incondizionato ai dati dei cittadini” e offrire un terreno fertile, fatto di appalti e finanziamenti a multinazionali e leader americani e asiatci, che a loro volta assumono tech worker italiani, per produrre software e mezzi da “consumare” in italia. Una grossa fetta del mercato è spartita da una manciata di nomi che si contendono l’accesso a questa enorme fonte, escludendo nel mentre chiunque voglia entrare nel sistema. Qui entra in gioco la borghesia nazionale, divisa tra chi si allinea al comportamento “comprador” e chi vive tra i confini del mercato tecnologico interno, fatto di progetti minori o compromessi, mossi da lottizzazioni occulte, mazzette e giochi di palazzo. Alla fine troviamo i lavoratori che subiscono le ripercussioni di questi atteggiamenti. Il primo gradino di questo inferno è composto dal sistema scolastico e dall’università. Formano una classe di lavoratori perfetta per essere assorbita immediatamente delle Tech Corporate. Seguendo gli schemi classici della delocalizzazione, quest’ultime puntano a inserirli nel proprio apparato, personale con il maggior capitale intellettuale possibile, ad un costo minore, con minori diritti. Per descrivere l’altro gradino userò le parole di Simone Robutti [membro di Twc Italia], per concludere la spiegazione: “Questo soffocamento avviene sia dirottando fondi verso l’estero ma soprattutto fette consistenti di neo-laureati e neo-diplomati in gironi infernali di consulenza, fatti di ritmi forsennati, straordinari non pagati, software scritto di fretta, ambienti di lavoro tossici e totale sottomissione alle richieste di clienti e manager. Il tutto poi per stipendi relativamente bassi. Il meccanismo di ritenzione delle vittime di questo sistema è complesso ma si può cercare di definirlo come una convergenza di vari fattori: molti di questi lavoratori vengono assunti appena usciti dall’università o dalla scuola, attraverso meccanismi di recruitment predatorio che cerca di intercettare gli studenti prima che questi possano avere tempo di sviluppare le competenze per navigare il mondo del lavoro e comprendere le alternative. Vengono poi sottoposti a un lento lavoro di condizionamento, che spesso inizia dal colloquio, al fine di normalizzare le pratiche lavorative e gli obiettivi della consulenza, spesso diametralmente opposti a quelli comuni nel resto dell’industria It. La formazione è rara, spesso lasciata al lavoratore e talvolta su tecnologie utilizzate principalmente in consulenza. Per chi, dopo diversi anni di questa vita, si ritrova a guardarsi intorno la situazione appare grigia: queste esperienze sul curriculum hanno valore principalmente per altre società di consulenza. D’altronde chi può, evita di assumere una persona probabilmente psicologicamente massacrata e tecnicamente allineata ad un modo di lavorare incompatibile con ciò che si fa al di fuori della consulenza. Il percorso di riconversione è sempre possibile ma è spesso arduo e penalizza il lavoratore ben oltre il termine del proprio contratto in consulenza”. Tutto questo produce un vuoto che costringe gli addetti del campo a sottostare a una realtà lavorativa sterile o all’emigrazione verso Usa e Uk o altri hub tecnologici più recenti come Berlino, Barcellona e Parigi. Un terzo effetto si può riscontrare in quella categoria che chiamerei “partite Iva forzate”: un substrato spesso dimenticato, composto principalmente da persone che attraverso la narrazione idealizzata e fuori tempo del “self-made man” vengono lanciate in un mercato saturo, con la complicità indiretta del sistema istruttivo e della società, oppure è composta da ex dipendenti di aziende, convinti a passare al lavoro autonomo, con la falsa scusa di una stabilità di lavoro. Le condizioni vengono accettate, con la speranza di un guadagno dignitoso e della libertà dagli abusi psicologici dei caporali da ufficio, anche se spesso quelle dinamiche tossiche le si ritrovano con i clienti e le “migliori condizioni” si scontrano con i rischi dell’imprendicariato. Il panorama nostrano è quindi estremamente diverso da altri e il nostro movimento comprende queste differenze. Accettiamo di riadattare, rimappare e ripensare in questa fase iniziale, tanto le premesse, quanto le strategie, così da garantire qualcosa di durevole ai tech worker.

D. Gli elementi economici di fondo che regolano una determinata società sono sempre in relazione dialettica con quegli elementi sovrastrutturali, culturali, che spesso giocano un ruolo decisivo nella storia, possono spingere una classe in avanti nella lotta oppure al contrario disgregarne le sue componenti. Non a caso lo stesso Gramsci, per comprendere a pieno la propria epoca, studiò a fondo il ruolo degli intellettuali. La questione culturale sul piano internazionale è molto complessa da risolvere visto che generalmente tale questione è molto legata alla dimensione popolare e alla tradizione quindi generalmente alla nazione se non addirittura alla regione. Da questo punto di vista potrebbe essere interessante indagare l’esistenza di un substrato culturale dai caratteri internazionali. A tal proposito sul vostro sito è indicata l’esistenza di un gruppo di studio sul cyberpunk, potresti spiegare ai profani il perchè di questo focus?

R. Il Workshop sul Cyberpunk è stato un evento molto partecipato, il più recente di una serie di gruppi di studio che coltiviamo fin dal primo giorno di attività in Tech Workers Coalition. I temi variano ma seguono un filo logico che costruiamo di volta in volta. Perché una sessione sul cyberpunk quindi? A nostro parere è uno dei generi che maggiormente ha influenzato la cultura, l’immaginario, l’estetica e l’ideologia del nostro settore. Più nel male che nel bene. Il precedente riguardava invece la cosiddetta “Californian Ideology”, a cui il cyberpunk in qualche modo si opponeva ma che ha finito per riprodurne la visione del mondo e promuoverla come controcultura. In generale, crediamo sia importante educare i Tech Worker: in uno spazio depoliticizzato, ostile a forme di conoscenza diverse dalla propria, l’educazione è l’humus necessario per far crescere i semi che stiamo piantando. Scegliendo temi accessibili e attuali riusciamo a coinvolgere buona parte dei nostri membri e lasciargli, nell’immediato, qualcosa di valore. La risposta è estremamente positiva: per esempio nell’ultima sessione avevamo oltre 30 persone connesse contemporaneamente a parlare di Blade Runner e Neuromante.

LCF: Paolo, nel ringraziarti per la disponibilità, ci fa piacere informare tutte le nostre lettrici e i nostri lettori della campagna Alziamo La Testa lanciata da Tech Workers proprio per sensibilizzare questi lavoratori sulle tematiche legate alle condizioni di lavoro. 

“Noi Tech Worker oggi alziamo la testa e ci riappropriamo della responsabilità di costruire il nostro futuro. Pretendiamo ambienti di lavoro sicuri e salubri, rispetto dei contratti, lotta alla precarietà, tutela degli studenti dalle attività di recruitment predatorio svolte nelle università, autonomia decisionale dei tecnici e lotta al managerialismo. Pretendiamo salari al pari degli altri paesi europei, così che trasferirsi all’estero diventi una scelta e non una costrizione.”

15/01/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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