Tra licenziamenti, libero arbitrio padronale e retorica vaccinale

A metà estate 2021 entra in vigore il Green Pass mentre nel paese sono già migliaia i licenziamenti collettivi dal 1° luglio in poi.


Tra licenziamenti, libero arbitrio padronale e retorica vaccinale

A pochi giorni dall’entrata in vigore del Green Pass anche le organizzazioni sindacali fino a oggi silenti hanno dovuto prendere posizione. Non si tratta di innescare polemiche ma di riflettere sulla ormai cronica incapacità di analizzare le situazioni senza i soliti opportunismi categoriali guardando alle condizioni oggettive della classe lavoratrice.

Il Green Pass è ormai divenuto un’autentica arma di distrazione di massa, il paese sembra dividersi tra favorevoli ai vaccini e no-vax e sullo sfondo di questa surreale situazione sono già arrivati migliaia di licenziamenti collettivi senza che gli operai, colpiti dall’arroganza padronale, chiedano conto a Landini, insieme a Cisl e Uil, dell’indecorosa firma sull’accordo che ripristina i licenziamenti collettivi.

Sulle vaccinazioni molto si è parlato ma ben poco è stato detto in merito al protrarsi dello stato di emergenza nel paese che non va analizzato sotto il profilo della libera circolazione per i non vaccinati (del resto non esistono passaporti interni come impropriamente asserito da molti, ma il divieto per i non vaccinati di partecipare a convegni, concerti o sedere al ristorante al chiuso) ma guardando all’affermazione di alcuni dispositivi repressivi sui quali i non sempre condivisibili filosofi Cacciari e Agamben hanno avuto il merito di richiamare l’attenzione.

Tra le poche posizioni ragionate e condivisibili vogliamo segnalare quella di Medicina Democratica che individua nei vaccini uno strumento essenziale, non l’unico, per il contrasto della diffusione della pandemia da Covid-19 e, nel contempo, per ridurre la pressione sulle strutture sanitarie e permettere un graduale ritorno alle attività lavorative,  ludiche e culturali.

In ogni caso la vaccinazione non può essere vista come panacea assoluta che da sola possa alleggerire il peso sulle strutture sanitarie e consentire alle stesse di funzionare al meglio nella cura e nella prevenzione delle malattie. Non è questa la sede per discutere di vaccini, ma resta il fatto che poco si parla della sospensione dei brevetti per consentirne non solo la diffusione nel mondo ma anche la produzione libera in ogni paese superando l’ostacolo, ad oggi insormontabile, della brevettabilità. Questo ragionamento non significa sostenere l’obbligo della vaccinazione o approvare leggi che consentano ai datori di lavoro il licenziamento – o la sospensione senza stipendio – dei non vaccinati. I diritti dei lavoratori e le stesse normative in materia di sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici non potranno essere ridotti alla diatriba tra favorevoli e contrari ai vaccini. Resta il fatto che per alcune figure professionali lo spostamento di mansione, senza decurtazioni salariali o repressione di sorta, diventa una sorta di provvedimento inappellabile.

L’intera discussione sui vaccini è priva di dati scientifici e di adeguate riflessioni sulle norme da adottare per il contenimento del virus; entrano in gioco questioni ben più grandi come la salvaguardia della salute e della sanità pubblica per le quali non molto è stato fatto. E quando si parla di tutela della salute e della sicurezza dovremmo anche pensare che in Italia non ci sono aerei antincendio, i famosi Canadair, di proprietà pubblica in numero adeguato alle necessità mentre il nostro paese, in ossequio alle direttive Nato, continua a investire in caccia da guerra.

Nel nome del cosiddetto ritorno alla “normalità” dovremmo rimettere in discussione non solo le condizioni antisindemiche in materia di salute, istruzione, sanità e lavoro, mentre invece assistiamo a un tragico ritorno al passato, nonostante 120mila morti in un anno e mezzo. Per mesi si era detto di dovere investire nella sanità pubblica ma ad oggi non si intravedono fatti reali, dalle assunzioni di personale medico a quelle dei ricercatori, dagli investimenti nei centri nazionali di ricerca al potenziamento della medicina di base, preventiva e del lavoro). Da anni si rivendica un servizio sanitario universalistico e gratuito che prenda in considerazione le condizioni ambientali, sociali, abitative e lavorative ma anche gli stili di vita condizionati dal potere di acquisto in continuo calo. Se le politiche governative si incamminassero su questo percorso riformatore saremmo in presenza di un radicale cambiamento e di un’autentica inversione di tendenza rispetto al passato/presente volto esclusivamente alla tutela dei profitti. 

Non è casuale che in questi mesi siano tornati a crescere i consumi nei discount, a confermare condizioni economiche sempre più precarie. E qui entrano in gioco le questioni del lavoro perché il cosiddetto ritorno alla normalità scaturisce dal ripristino dei licenziamenti collettivi a partire dal 1° luglio scorso. Da allora sono ormai migliaia gli esuberi, assai meno dei numeri reali perché a cascata gli effetti negativi si riverseranno sugli appalti e sui servizi connessi alle realtà produttive destinate a chiusure e delocalizzazioni.

Il tanto auspicato, non certo da noi, ritorno alla normalità, a detta degli industriali, doveva passare dal ripristino dei licenziamenti collettivi. Per i sindacati un accordo con le associazioni datoriali era possibile all’insegna del baratto a perdere tra occupazione e pochi mesi di ammortizzatori sociali. 

Quanti guardano alla combattività della classe lavoratrice in altri paesi e alle posizioni sindacali decisamente conflittuali al cospetto di quelle italiane, si limitano a parlare del Green Pass ma raramente si soffermano sulle altre questioni dirimenti. In materia di occupazione, contratti, delocalizzazione, welfare e pensioni, i sindacati francesi esprimono posizioni e forme di lotta assai più radicali dei loro colleghi italiani ma nel nostro paese i moderati, “a perdere” diciamo noi, continuano a mietere successi, anzi riscuotono perfino applausi ai cancelli delle fabbriche chiuse dai licenziamenti collettivi.

Se costruisci rivendicazioni contrattuali sul welfare aziendale difficilmente potrai difendere sanità e istruzione pubblica; se accetti di rinnovare i contratti nazionali con il codice Ipca non potrai rivendicare aumenti adeguati al costo della vita; se difendi il contratto nazionale non puoi sottoscrivere accordi che permettano mille deroghe attraverso la contrattazione di secondo livello; se subisci senza reagire quattro morti al giorno per incidenti sul lavoro non sarai nelle condizioni di rivendicare salute e sicurezza per lavoratori e lavoratrici. E analogo discorso vale per i licenziamenti collettivi. Quando accetti lo scambio diseguale tra poche settimane di ammortizzatore sociale e la perdita del posto di lavoro finisci con il subire l’offensiva padronale e la supremazia della ideologia del profitto a discapito della tutela occupazionale, un po’ come accaduto quando trent’anni fa si favorì la legge antisciopero partendo dagli accordi di autoregolamentazione che ipotecarono l’esercizio della libertà e democrazia sindacale.

13/08/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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