Il PD fa bene alla Lega

Renzi rafforza la sua leadership nel PD per portare avanti il lavoro su controriforme e sicurezza, che rafforza la Lega. Unico argine possibile è una sinistra di classe autonoma, capace di produrre conflitto dentro un quadro di alternativa di sistema.


Il PD fa bene alla Lega

Le primarie del Partito democratico dello scorso 30 aprile hanno restituito un Renzi più forte di prima nella sua leadership, con buona pace di quanti sperano in un cambiamento del Pd per produrre con questo cartelli elettorali per battere le destre. Che poi, a ben vedere, nella schiera politica di destra entra a buon titolo lo stesso Partito democratico, non da oggi, nell’era Renzi ma praticamente dalla sua nascita, dieci anni fa. Ciò dimostra quanto tempo si sia perso in impossibili alchimie per produrre alleanze elettorali capaci effettivamente di intervenire sulla struttura politica ed economica del Paese per almeno migliorare le condizioni di vita di quanti subiscono le politiche neoliberiste. Ciò dimostra, a maggior ragione oggi, quanto sia inutile politicamente e deleterio per le classi sociali più deboli, continuare, pedissequamente, il tentativo di ricostruire un centrosinistra che non avrebbe alcuna capacità di spostare il Pd su posizioni autenticamente socialdemocratiche.

In dieci anni le primarie del Pd hanno visto una partecipazione in costante calo: dagli oltre 3,5 milioni del 2007, si è scesi a poco più di 3 milioni del 2009, 2,8 milioni del 2013, fino a 1,8 milioni di quest’anno. Ma la caduta di quasi due milioni di partecipanti alle elezioni del segretario del Partito democratico è solo una apparente sconfitta per un partito che fin dalla sua nascita ha smesso i panni del soggetto politico quale strumento di protagonismo popolare “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” [1], indossando quelli di partito mediatico e leaderistico, più funzionali a chi deve farsi interprete di politiche liberali nascoste dietro una retorica interclassista. “Un modello del quale Veltroni è stato l’incarnazione” e che “Matteo Renzi interpreta ai giorni nostri con la perizia di un navigato intrattenitore televisivo” [2]. Un modello che fa della deriva plebiscitaria la sua cifra.

E’ per questo che da un punto di vista renziano il netto calo di affluenza alle primarie non è necessariamente un dato negativo. Aver dimezzato la partecipazione mantenendo un vantaggio enorme su avversari di facciata, consegna a Renzi una leadership ancora più forte nel PD, dal momento che per contrastarla si può sempre meno fare affidamento sulla base del partito. Una soluzione abbastanza in linea con la volontà dei centri di potere, dei quali il PD è espressione, di modellare i sistemi politici in modo da poter governare (comandare) senza consenso. Ed il PD è ovviamente parte di questo quadro. Non lo nasconde, ad esempio, Graziano Del Rio, ministro e renziano doc, che in un’intervista rilasciata a Repubblica si dice certo che “Un segretario forte può solo fare bene al governo” che ora dovrà lavorare “per strutturare quello che abbiamo fatto”. Che poi, detta così, e a guardare la condizione generale del Paese, sembra si sia passati alle minacce.

In un Paese dove cresce la povertà, aumentano le condizioni di precarietà, si riducono i diritti; dove si privatizzano anche i beni pubblici, dove il lavoro non è un diritto ma, al massimo, un’opportunità da sapere cogliere e le condizioni di marginalità sociale diventano un crimine; in un Paese ridotto così da decenni di politiche aggressive contro le classi sociali più deboli, il PD che sceglie Renzi quale segretario nazionale con ampio consenso e sempre minore partecipazione rappresenta esattamente quel “partito personale, o leaderistico” che “in queste condizioni è l’espressione più completa della privatizzazione della politica” [3], tanto avanzata che il ruolo del governo e quello dei partiti si confondono così naturalmente che l’attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni intervenuto in chiusura della campagna di Renzi per le primarie assicura che il suo “contributo sarà sostenere il lavoro del Pd”, auspicando che venga completato il lavoro su riforme e sicurezza. Evidentemente, e com’era prevedibile, il PD ed i gruppi dominanti non si sono rassegnati a veder tramontare il progetto antidemocratico di controriforma costituzionale sconfitto con il referendum del 4 dicembre dello scorso anno, che fondamentalmente mirava all’accentramento dei poteri su un governo forte e all’inibizione del conflitto sociale.

Oggi, è Il decreto Minniti-Orlando il più diretto strumento di repressione delle lotte e delle condizioni di disagio dal quale può innescarsi il conflitto sociale, che mostra l’aspetto più spietato della necessità dei ceti dominanti di contenere il conflitto sociale e le proteste che si muovono contro provvedimenti antipopolari. Ma quel provvedimento, scritto a quattro mani da Minniti insieme ad Orlando, avversario (sic!) di Matteo Renzi alla guida del PD, è anche un modo per spostare sugli immigrati e sui poveri le cause dei problemi sociali che soffocano le vite di milioni di persone in Italia. Nel frattempo, il PD non si vergogna nemmeno di sottrarre al 25 aprile il suo significato politico e simbolico e sfila a Milano in una oscena celebrazione di quell’Unione Europea che detta le politiche di austerità così meticolosamente perseguite dal PD in Italia e che trova un gran sostenitore in Macron in Francia. Non a caso, Renzi e Macron si sono scambiati messaggi di auguri e uguali auspici. Ma quelle politiche producono un cortocircuito che non può che alimentare una guerra tra poveri ad esclusivo beneficio dei ceti dominanti e che concede spazi politici alla destra xenofoba.

Ed infatti, mentre si procedeva alla prima, drammatica applicazione del decreto Minniti-Orlando con il rastrellamento di immigrati alla Stazione centrale di Milano, Salvini, smartphone alla mano, se la spassava in diretta Facebook rigurgitando termini nazisti come “pulizia”, eseguita a suo dire “dopo tante denunce della Lega” [4]. Un episodio, gravissimo, intollerabile per un Paese che voglia definirsi civile, che dimostra plasticamente come PD e Lega siano due facce della stessa medaglia e di come la repressione sia la cifra politica che più immediatamente li accomuna. Ecco che, in Italia come in Francia e in Europa, il gravissimo pericolo dato dall'affermarsi della destra reazionaria, fascista e xenofoba non può essere scongiurato con il richiamo al voto utile e con le alleanze politiche di una sinistra vaga, indistinta e fondamentalmente orientata a mantenere rendite di posizione. Si tratterebbe, infatti, di soluzioni che da una prospettiva di conquista del consenso (elettorale e politico) farebbero un favore alla destra che si dice di voler sconfiggere. Da un punto di vista sociale, tra l’altro (e soprattutto) si darebbe un contributo alla frammentazione delle classi subalterne.

Con i rapporti di forza attuali, non c’è compromesso con chi rappresenta interessi diversi e antagonisti alle classi popolari che possa produrre un miglioramento delle condizioni di vita di lavoratori, disoccupati, studenti, pensionati, precari. L’unico argine alle politiche della destra liberale rappresentata dal PD e a quelle della destra reazionaria e fascistoide della Lega, facce della stessa medaglia, può venire solo dal recupero di una sinistra di classe autonoma, capace di produrre conflitto dentro un quadro di alternativa di sistema (e non di semplice modifica di questo o al massimo di disobbedienza ad esso). Tenendo bene a mente l’insegnamento marxiano per cui il vero risultato che i lavoratori devono perseguire nelle loro lotte “non è il successo immediato, ma l’unione sempre più estesa” delle classi subalterne [5].


Note:

[1] Costituzione della Repubblica Italiana, Parte I, Titolo IV, art. 49

[2] Stefano G. Azzarà, Democrazia cercasi, Imprimatur, 2014

[3] Paolo Ciofi, La bancarotta del capitale e la nuova società, Editori Riuniti Univ. Press, 2012

[4] Matteo Salvini in un post sulla sua pagina ufficiale Facebook il 2 maggio 2017, https://www.facebook.com/salviniofficial/?ref=ts&fref=ts

[5] Cfr. Marx - Engels, Manifesto del Partito Comunista

06/05/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Carmine Tomeo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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