L’indole al massimalismo

Sia la Rifondazione Comunista dell’epoca bertinottiana, sia il Movimento 5 Stelle sono passati dall’assenza di dialogo estremista e massimalista in un primo momento alla crisi politica interna in un secondo, ovvero quando, spinti da necessità, hanno accettato di entrare in governi che erano totalmente incompatibili con i loro programmi di rinnovamento.


L’indole al massimalismo

Chiunque ponga un’attenzione appassionata sulla mancanza di un’adeguata rappresentazione degli interessi della classe lavoratrice e dei ceti popolari in Italia non può non constatare la sequenza di fallimenti, delusioni, frammentazione e spaccature che si sono susseguite dall’ascesa e dal declino dell’esperimento bertinottiano di Rifondazione Comunista, ma anche dalla parabola ascendente e poi stazionaria rappresentata del Movimento 5 stelle in questi ultimi anni. 

Dalla crisi di Rifondazione successiva alla fase dell’egemonia bertinottiana ne è conseguita una frammentazione pulviscolare di forze comuniste in perenne competizione tra loro e sempre meno riconosciute dai ceti popolari. In questi anni di crisi la rappresentanza delle fasce più impoverite, che hanno sofferto di più l’ulteriore torsione oligarchica della società, è stata egemonizzata dal Movimento 5 stelle. Accanto a queste due forze (con l’insieme di gruppi sociali e movimenti che gli hanno ruotato attorno) un Partito Democratico in costante declino nell’immaginario simbolico delle classi popolari ma forte di un radicamento territoriale e di una presenza nei corpi intermedi della rappresentanza sociale (sindacati in primis) tale da permettergli una rappresentanza elettorale che ne ha arrestato il declino, in particolare nelle fasi di bassa conflittualità sociale e nei periodi in cui l’egemonia sui subalterni non è stata messa in discussione da altre forze politiche significative. 

La forza relativa ma anche la debolezza del Partito Democratico sono strettamente collegate alle scelte strategiche operate dal PD già dagli anni '90 come l’accettazione acritica dell’ordine economico basato sull’ordoliberismo in economia, la subalternità ideologica al progetto europeista ed al ruolo subalterno dell’Italia all’interno dell’Unione politica e monetaria dell’imperialismo europeo, e infine la fede incondizionata nell’atlantismo come orizzonte complessivo all’interno del quale collocare le scelte fondamentali in politica estera. Il tutto inquadrato all’interno di una politica istituzionale basata sulla torsione liberale ed oligarchica del sistema parlamentare di tipo maggioritario che riduce il pluralismo nella rappresentanza politica e schiaccia la dialettica democratica sulle esigenze dell’esecutivo. Se da un punto di vista politico-generale l’adesione incondizionata del PD a queste politiche lo allontana sempre più dal bisogno d’uguaglianza espresso epidermicamente dalle masse popolari, dall’altro il PD si sente interprete degli interessi dei lavoratori in un’ottica corporativa, subalterna e minimalista che è resa credibile dalla mancanza di alternative e dal carattere costantemente eversivo e reazionario della destra italiana

Il tratto antipopolare e liberista portato avanti dai vertici del PD e dal suo ceto di amministratori e burocrati, tuttavia, lascia spazio costantemente all’emergere di forze alternative che, o per tradizione (PRC) o per capacità d’iniziativa (Movimento 5 stelle) hanno costruito inizialmente la loro identità sulla netta separazione ideologica e culturale da chi, ipocritamente, difendeva gli interessi del grande capitale finanziario affermando di difendere anche gli interessi dei ceti impoveriti. La crescita esponenziale di Rifondazione Comunista dopo il 2001 e del Movimento 5 Stelle dopo il 2010 è stata determinata dalla volontà di non condividere l’esperienza di Governo con le forze di centrosinistra, ma di sviluppare la propria organizzazione in difesa degli interessi delle classi popolari. 

In entrambi i casi, tuttavia, l’enigma del “Che Fare” si è riproposto regolarmente di fronte alle scelte politiche di fondo dopo che il movimento era cresciuto. Data la compattezza della destra italiana – frutto di un’alleanza tra i settori più retrivi del capitale finanziario e di quella parte di piccola borghesia più reazionaria -   sia la Rifondazione Comunista di Bertinotti, sia il più recente Movimento Cinque Stelle di Grillo e Casaleggio hanno ondeggiato tra una posizione iniziale massimalista e intransigente e una posizione subalterna e governista in una seconda fase. Entrambe queste due forze hanno rappresentato plasticamente i limiti culturali, politici e strategici del massimalismo italiano che si contraddistingue per una grande confusione tra il piano politico e quello sindacale (si forma un Governo così come si farebbe una trattativa sindacale) e per la totale mancanza di un progetto politico chiaro e condiviso che sia capace di entrare in empatia con i bisogni delle masse e al contempo sappia distinguere nettamente la tattica dalla strategia. 

Se le masse popolari chiedono al partito che hanno sostenuto di dialogare con le altre forze politiche poiché vogliono veder riconosciuti i loro bisogni allora il partito non può esimersi dal dialogo. Se lo fà si espone all’inconcludenza, apparendo come inefficace; tuttavia il dialogo è funzionale a far entrare in contraddizione l’avversario e non va fatto mai sulle cariche, sui ruoli di Governo, sulle poltrone, ma sempre sulle scelte strategiche di fondo. 

La cosa importante non è condividere il potere di uno Stato imperialista con una burocrazia imputridita che mira solo a conservare sé stessa, ma porre le condizioni per un cambiamento profondo delle politiche, forzare al massimo le concessioni che il Governo deve cedere alle classi popolari. Dimostrare a queste ultime che le cose che si stanno chiedendo sono praticabili, anche se appaiono inconcepibili per l’avversario, ovvero che si è in grado di stare un passo avanti, di guidarle ma senza apparire astruso e incomprensibile.

Sia il bertinottismo, sia il grillismo anche se  da angolature e posizioni diverse sono entrati in crisi nel confronto con il pd  (ma anche le forze della sinistra radicale non sono mai state in grado di sviluppare un confronto proficuo con il 5 stelle)  passando dall’assenza di dialogo estremista e massimalista in un primo momento alla crisi politica interna in un secondo, cioè quando, spinti da necessità, hanno accettato di entrare in governi che erano totalmente incompatibili con i loro programmi di rinnovamento. 

Questa confusione di fondo è figlia del massimalismo, che non persegue mai una strategia effettivamente rivoluzionaria, ma riproduce spontaneamente – ovvero senza concetto – le pulsioni immediate di una parte delle classi sfruttate. Il difetto di questa posizione è che manca di una visione strategica, ed è figlia o nipote della visione mazziniana della politica e del popolo, riunito misticamente sotto la figura di un leader o di un’idea. 

Nell’immediato futuro, le forze antioligarchiche si raccoglieranno di nuovo intorno alla figura di un leader carismatico – in questo momento i due personaggi più popolari sono indubbiamente Michele Santoro e Alessandro Di Battista – poiché il carattere di frammentazione nella società italiana (e in particolare tra le classi popolari) è tale da rendere difficilmente praticabile un percorso realmente democratico. Spingere queste formazioni elettorali ad aggregarsi è fondamentale soprattutto per sostenere e rendere più generale la rappresentazione del conflitto di classe nel paese, ma se dal momento dell’aggregazione non  si sviluppa anche il passaggio alla dialettica politica interna, ovvero all’apertura democratica graduale dei soggetti – i limiti dell’oscillazione costante tra estremismo ingenuo e capitolazione ultrariformista, tipici della tradizione mazziniana italiana, saranno sempre presenti con tutta la loro carica di frammentazione e rassegnazione pessimistica conseguente.   

17/11/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Francesco Cori

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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