Al di là di tutta la retorica liberaldemocratica occorre sempre ricordare che chi vince le elezioni e forma il governo, anche con tutte le distorsioni del maggioritario e dell’uninominale, controlla solo una parte del potere. L’altra parte la controlla lo Stato, il governo può dirigere al massimo, per un periodo limitato, il governo di due poteri per quanto importanti come il legislativo e l’esecutivo. Ma questi poteri possono incidere nella legislazione e nella sua applicazione intermedia, ma non decidono né sulle direttive di fondo, né sulla gestione dell’esistente nella sua immediatezza. Entrambi questi aspetti sono sotto il controllo dello Stato. Perciò, il così detto Stato profondo è sempre pronto a intervenire a gamba tesa quando un governo prova a fare anche una singola cosa che possa mettere in discussione le linee di fondo.
Si può arrivare fino a uccidere un presidente, come negli Stati uniti, o a lasciarlo farlo uccidere come in Italia. Generalmente si ricorre a queste misure estreme solo quando la situazione rischia di sfuggire di mano. È comunque un segnale di debolezza dover ricorrere al monopolio della violenza legalizzata anche nei confronti di un presidente troppo populista. Anche se, al contempo, ha un forte senso intimidatorio. Colpirne uno per educarne cento.
In altri casi si mette semplicemente il veto su i presidenti o i ministri chiave che una coalizione di governo che ha vinto le elezioni potrebbe voler scegliere autonomamente. Lo Stato deve sempre intervenire per far sì che il governo faccia il suo ruolo nel grande gioco delle parti, cioè interpreti in un modo tutto suo un copione che negli snodi fondamentali è già scritto ed è che il governo, nella società capitalista, deve esssere il comitato d’affari che cura gli interessi della borghesia nel suo complesso.
Così tutti i personaggi scomodi vanno stroncati sul nascere con il veto, per non dover ricorrere alla estrema ratio di eliminarli o lasciarli eliminare una volta che sono in carica. Così è bastato che a un certo punto il circo politicista dovesse fare presidente un politicante non filo sionista come Massimo D’Alema per far scattare immediatamente il veto dei poteri forti. È bastata l’intensione di Bersani di voler interpretare un presidente del consiglio anche solo vagamente socialdemocratico, per individuare una serie di franchi tiratori che lo mettessero da parte.
Quando le elezioni furono vinte dai populisti di centro del M5s e dal demagogismo di destra radicale della Lega, lo Stato impose per far rispettare alla lettera i propri copioni, tre suoi interpreti di fiducia nei ruoli chiave del: presidente del consiglio, ministro degli esteri e ministero dell’economia. Oggi è bastato che il governo di coalizione fra la destra radicale e la destra moderata provasse a tergiversare – volendo continuare a tenere insieme il sostegno all’imperialismo dell’Unione europea a trazione coalizione dei volenterosi, con il governo della destra radicale statunitense – per assistere a una entrata sfacciatamente a gamba tesa dello Stato, per imporre che in caso di contraddizioni interimperialiste si stia sempre con il proprio polo, soprattutto se ha una postura più aggressiva in senso reazionario. Dal punto di vista dello Stato bisogna schierarsi sempre e comunque con chi fa gli interessi dell’imperialismo transnazionale nel suo complesso, piuttosto che di una sua sola componente.
Negli Stati uniti per tenere a freno il cavallo pazzo Trump sono stati lasciati fare due attentati alla persona del presidente, non andati a segno, e uno indiretto, a scopo intimidatorio, come quello che ha lasciato colpire Kirk. In tutti questi casi il cosiddetto Stato profondo è un eufemismo come quando si parla di servizi segreti deviati, o di corruzione pubblica nel capitalismo a vantaggio dei privati. Si tratta semplicemente di nascondere qual è la reale natura dello Stato imperialista, dei sevizi segreti in un paese a capitalismo maturo, o del fatto che il capitalismo implica che lo Stato pubblico sia al servizio degli interessi privati della società civile economica. Dunque, in tutti i casi in cui lo Stato deve intervenire a gamba tesa per riaffermare il suo ruolo di classe dirigente è sempre meglio lasciar fare il lavoro sporco all’utile idiota di turno, pur di non doversi sporcare direttamente le mani. Ecco, ad esempio, il ruolo della destra neo nazista nella strategia della tensione e nelle stragi di Stato o, più attualmente, il gioco delle parti in cui ben si inserisce il terrorismo islamico.
Tornando alle miserie dei nostri giorni eccoci all’intervento diretto, a gamba tesa dello Stato nei confronti di un governo che esitava troppo, per mantenere gli idilliaci rapporti con la destra radicale al governo degli Stati uniti, interessata a disimpegnarsi dal fronte contro la Russia, per riprendere il controllo del proprio cortile di casa, anche in funzione anticinese. Tale posizione opportunista rischia di far perdere di vista l’ideologia dominante che mira a fare gli interessi dell’imperialismo nel suo insieme, piuttosto che di un suo singolo ramo. Ecco allora che occorre portare avanti la guerra sino all’ultimo ucraino pur di giustificare la guerra in prospettiva contro la seconda potenza nucleare del pianeta, indispensabile per giustificare la politica di riarmo imprescindibile per la sopravvivenza dell’imperialismo stesso dei paesi più importanti dell’Unione europea.
A questo scopo non ci si deve fare scrupoli di schierarsi con i neo nazisti ucraini per costringere il governo di quel paese, per quanto corrotto e ostaggio dell’estrema destra, a rinunciare a ogni trattativa che possa portare a una reale tregua duratura con la Russia. A questo scopo non si esita ad assumere il linguaggio più smaccatamente orwelliano per spacciare la politica schierata (senza sé e senza ma) per una guerra mondiale atomica.
Il massimo dell’ipocrisia si raggiunge quando lo Stato profondo pretende a ogni costo la guerra contro la Russia per difendere il diritto internazionale, mentre non solo non si fa niente nei confronti del proprio alleato Israele, che fa carta straccia del diritto internazionale, ma non si dice nulla neanche sul governo sfacciatamente imperialista statunitense, altro massimo alleato, quando rilancia apertamente la politica delle cannoniere per tornare a fare dell’America latina il proprio cortile di casa.
Naturalmente questo abuso quanto mai vergognoso e abnorme dei due pesi due misure si fonda esclusivamente sul suprematismo per cui ai paesi imperialisti e ai suoi alleati tutto è permesso, mentre bisogna reprimere nel modo più implacabile qualsiasi forma di resistenza. Molto significativo che lo Stato sia impersonato dal Pd reale, che è l’altra faccia, di governo, del Pd di lotta incarnato da Schlein. A ognuno la sua maschera in questo quanto mai grottesco gioco delle parti.
Ma quali sono i motivi reali per cui si vuole necessariamente la guerra con una delle due più potenti potenze militari e nucleari del mondo, che potrebbe annichilirci in un attimo? In primo luogo trattasi di motivi strutturali cioè economici. Paesi a capitalismo maturo come l’Italia possono pensare di aggirare e rinviare il redde ratrionem con la crisi di sovrapproduzione solo con le politiche di guerra imperialista. In secondo luogo l’imperialismo nostrano deve avere come primo referente imperialista quello franco-tedesco-britannico tanto che nel caso sorgessero contraddizioni interimperialiste con l’imperialismo Usa non si può esitare a schierarsi con il primo. L’Italia è divenuta un subfornitore della Germania e oltre che economicamente, geograficamente, socialmente, storicamente e culturalmente è naturalmente più legata alle altre potenze imperialiste europee. Senza contare che tale schieramento essendo appoggiato da tutte o quasi le forze politiche dell’arco parlamentare è quello più facilmente imponibile a una opinione pubblica, che avrebbe maggiori difficoltà ad accettare una subordinazione agli Usa guidati dalla destra radicale.
Infine l’esigenza di schierarsi in caso di contraddizioni interimperialiste con la parte più oltranzista è funzionale alla cosa che più preme alla classe dominante borghese nel suo complesso cioè il comando sulla forza-lavoro. Senza dimenticare che spostare parte significativa delle classi medie – che sono sempre determinanti rispetto al fronte centrale della lotta di classe – su posizioni filo-imperialiste e, quindi, scioviniste, è indispensabile a rendere quasi inespugnabile il dominio di classe della grande borghesia sul proletariato.
Per preparare il popolo italiano, tedesco, francese ad accettare di finire presto di nuovo in prima linea nella guerra imperialista, come non accadeva da ottant’anni, si è tornato ad aizzare lo spauracchio della leva obbligatoria che quando inizia la guerra vera e propria è praticamente inevitabile, mentre in tempi di riarmo preparatorio è il modo migliore per far accettare all’opinione pubblica popolare la necessità di finanziare un esercito di mercenari. Orwellianamente Crosetto lo ha presentato come un esercito di leva su base volontaria, un controsenso. Esemplare a tale proposito il caso della Germania, per cui se non si riesce a convincere un numero sufficiente di giovani a entrare nell’esercito mercenario, bisognerà reintrodurre parzialmente la leva obbligatoria mediante il sorteggio. Naturalmente per avere un numero di effettivi sufficienti prima di iniziare la guerra di mercenari è indispensabile pagarli adeguatamente, ma a tale scopo bisogna minacciare il popolo che se non vuole essere responsabile di mandare i propri figli in prima linea, deve accettare ogni sorta di sacrificio per il riarmo. Non si dice che con il riarmo ci sarà certamente la guerra, perché la Russia non aspetterà certo che il nemico si riarmi per aggredire chi si sta preparando per aggredirla e, a quel punto avere i figli in prima linea sarà la migliore delle ipotesi, perché la peggiore è che saranno messi in condizioni di non nuocere da un attacco nucleare.
