Per l’unità dei comunisti a partire dal conflitto capitale-forza lavoro

Per far pagare la crisi ai padroni è indispensabile rilanciare dalle lotte sui posti di lavoro la costituente comunista e rianimare le strutture consiliari.


Per l’unità dei comunisti a partire dal conflitto capitale-forza lavoro Credits: https://www.finestresullarte.info/flash-news/2268n_pontormo-audiolibro-finestre-sull-arte-cinquecento-a-firenze.php Immagine: Pontormo, Deposizione, dettaglio (1526-28; tempera su tavola, 313 x 192 cm; Firenze, Santa Felicita)

I paesi a capitalismo avanzato vivono un ulteriore terribile periodo di crisi da sovrapproduzione accentuato dalla miope gestione capitalistica della pandemia. Nonostante che anche quest’ultima sia in qualche modo il prodotto dei continui squilibri creati nel rapporto fra uomo e natura, a opera di un modo di produzione interessato esclusivamente a massimizzare nel minor tempo possibile i profitti privati (di un numero sempre maggiore di grandi proprietari), sono ancora una volta i ceti sociali subalterni costretti a pagare i costi maggiormente negativi della crisi. Evidentemente, quindi, se il capitalismo è in crisi nera, lo sono anche coloro che intendono contrastarlo in senso progressista, non essendo in grado di evitare che ancora una volta il lato oscuro della crisi colpisca i produttori, favorendo i grandi sfruttatori.

Altrettanto evidente è che, essendo irriformabile il modo di produzione capitalistico, pesa sempre più l’assenza del partito rivoluzionario, ossia del partito che dal 1848 in poi si è definito comunista. Ora è evidente, a rigor di logica, che in assenza del partito rivoluzionario non si possano dare neppure i suoi membri, ovvero i comunisti. Un comunista senza partito, che pretenda di poter trasformare radicalmente lo stato di cose presente in una prospettiva individuale o settaria, è una contraddizione in termini. Detto altrimenti, non si danno comunisti là dove non esista il partito rivoluzionario.

Dunque, è lapalissiano che chi aspira a divenire comunista realmente non può che avere come compito prioritario la ricostruzione del partito comunista, ossia del partito autenticamente rivoluzionario. Ora è evidente che tale obiettivo centrale per ogni sincero (aspirante) comunista non possa raggiungersi mediante una mera sommatoria della presente miseria, ossia attraverso un inter-gruppi fra le diverse sette, sempre più formato bonsai, esistenti, le quali – come è evidente – non potranno essere parte della soluzione del problema, essendo piuttosto parte integrante del problema medesimo.

Dunque, la ricomposizione dei comunisti non potrà che avvenire da una spinta propulsiva dal basso, che sia in grado di dimostrare all’interno del conflitto sociale stesso la non ulteriormente rinviabile necessità storica della ricostruzione di un partito politico in grado di rivoluzionare, in senso socialista, il modo di produzione capitalistico. Anche perché i comunisti dovrebbero essere le avanguardie riconosciute e reali dei movimenti di lotta sociali e politici di massa contro il capitalismo. Ora è evidente che la capacità di egemonia delle residue avanguardie comuniste nei posti di lavoro, in cui avviene lo scontro più diretto fra capitale e forza lavoro, è indubbiamente minata dalla sempre più irrazionale parcellizzazione delle scarse forze comuniste o sedicenti tali.

Da qui l’impellenza, non ulteriormente procrastinabile, di rilanciare una effettiva costituente comunista a partire dall’unità di azione fra i comunisti ovunque collocati intenzionati a portare avanti, in senso rivoluzionario, il conflitto con il capitale a partire dai propri posti di lavoro o di formazione della forza lavoro.

Certo, si obietterà che le forze comuniste sono così scarse e così in generale inadeguate a svolgere la propria funzione di avanguardie riconosciute e seguite dai movimenti di massa almeno potenzialmente anticapitalisti che tale sforzo ricompositivo non può che essere inadeguato e non funzionale a praticare l’obiettivo di un rovesciamento dei rapporti di forza nel conflitto di classe. Da qui l’istanza, al momento prevalente, di ritenere piuttosto prioritaria la ricostruzione di un fronte unico di classe (anticapitalista e antifascista) o la ricomposizione di un sindacato di classe conflittuale che permetta, in qualche modo, di aggirare l’inadeguatezza dei comunisti dinanzi a una crisi sempre più evidente del modo di produzione capitalistico.

Evidentemente una semplice ricomposizione dei comunisti che non sia in grado di dare una direzione consapevole a un fronte unico di classe anticapitalista e antifascista e a una ricomposizione dei lavoratori più combattivi suoi luoghi di lavoro a prescindere dai sindacati di appartenenza avrebbe scarso valore. D’altra parte è altrettanto evidente che se tale processo di ricomposizione dal basso dei comunisti non viene condotto quanto meno in parallelo al progetto del fronte unico e della unità d’azione dei lavoratori più combattivi a prescindere dalle sigle di appartenenza, questi due ultimi progetti privi di una direzione consapevole rivoluzionaria saranno preda o dello spontaneismo o dell’opportunismo di destra (riformista e revisionista) o dell’opportunismo di sinistra (massimalista, avventurista ed estremista).

In altri termini, se i comunisti riunificandosi non saranno in grado di essere egemoni, non potranno che continuare a fare da retroguardia a movimenti diretti da tradeunionisti o da sindacalisti rivoluzionari. In entrambi i casi, sia che prevalga l’opportunismo di destra che quello di sinistra si commetterà di nuovo il tragico errore di ritenere il sindacato il reale strumento rivoluzionario, trascurando la necessità di impegnarsi prioritariamente nella ricostruzione dei reali strumenti rivoluzionari, ossia il Partito e i soviet, ossia i consigli mediante cui si mira a costruire il dualismo di potere, quale punto di partenza della fase rivoluzionaria. Per altro, all’interno degli stessi consigli e, più in generale, del blocco sociale alternativo a quello borghese dominante non è affatto secondario se a essere egemoni siano le forze proletarie o quelle piccolo-borghesi. Anzi, persino in caso di egemonia proletaria non è affatto indifferente se al suo interno prevalgano le forze riformiste e revisioniste, le forze estremiste o avventuriste o le forze autenticamente rivoluzionarie. In altri termini non è affatto secondario se a prevalere siano le forze ispirate al socialismo scientifico o quelle ancora influenzate dal socialismo utopista.

Per altro, anche a livello sindacale la capacità di egemonia dei comunisti è venuta progressivamente meno proprio con la progressiva scomparsa delle strutture consiliari e del partito comunista (rivoluzionario). Tant’è che i sindacati confederali sono sempre più egemonizzati da riformisti e revisionisti, mentre i sindacati di base di sinistra sono sempre più egemonizzati da sindacalisti rivoluzionari influenzati dalle concezioni anarchiche e soreliane, mentre marxisti, leninisti e gramsciani sono sempre meno capaci di egemonia.

Dunque, anche a livello sindacale sarebbe quanto mai auspicabile la definizione di una linea sindacale comunista comune, che consenta ai reali rivoluzionari di perseguire un processo di fondo comune, pur continuando per il momento a militare in sindacati diversi, anche a seconda di quale sigla sindacale sia egemone in quel determinato settore della produzione.

Anche in questo caso, oltre al revisionismo e al riformismo che porta alcuni lavoratori che si autodefiniscono comunisti a non contrastare efficacemente le burocrazie sindacali nelle proprie organizzazioni sindacali, vi è il settarismo che porta i comunisti opportunisti di sinistra a scambiare la propria setta con il Partito rivoluzionario e, addirittura, a dotarsi di un sindacato in miniatura o di una micro area sindacale, che sia diretta espressione del proprio sedicente Partito rivoluzionario.

Da questo punto di vista i comunisti dovrebbero procedere: 1) a rilanciare la prospettiva della ricostituente comunista a partire da una conferenza nazionale dei lavoratori comunisti, ovunque collocati, impegnati nel conflitto fra capitale e forza lavoro; 2) a rilanciare strutture consiliari nei luoghi di lavoro, di formazione della forza lavoro e nei quartieri proletari, da loro possibilmente egemonizzate; 3) a dotare di una linea comune i lavoratori combattivi appartenenti a qualsiasi struttura sindacale, per rendere efficace la lotta sul piano economico, contrastando efficacemente insieme le burocrazie e le tendenze neo-corporative.

A questo scopo i comunisti dovrebbero, in primo luogo, lasciarsi definitivamente dietro le spalle quelle divisione fra le forze rivoluzionarie che hanno causato in primis la progressiva degenerazione dei paesi del blocco sovietico e poi il conflitto fra filo-sovietici e filo-cinesi che ha portato alla vittoria del blocco capitalista nella guerra fredda. Non dimenticando mai che tanto per Lenin quanto per Gramsci l’unità del partito rivoluzionario (comunista) costituiva un tesoro prezioso e indispensabile da preservare a ogni costo.

23/08/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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