Giustizialismo in salsa brasiliana

Bolsonaro è sempre più indebolito e ora il tribunale supremo indaga sulle elezioni del 2018 che lo hanno visto vincitore. Si tratta di una vera opposizione al presidente o di un regolamento di conti all’interno della classe dominante?


Giustizialismo in salsa brasiliana

Mentre in Brasile imperversa la crisi sanitaria creata dal coronavirus si è svolta martedì 9 giugno l'udienza del tribunale elettorale brasiliano per discutere il possibile annullamento delle elezioni del 2018, che avevano sancito la vittoria del duo Bolsonaro-Mourao, in virtù dell'attacco hacker contro un gruppo Facebook di donne critiche a Bolsonaro, che avrebbe beneficiato la sua candidatura. L'udienza si è conclusa con il rinvio a nuova data, in attesa di ottenere maggiori elementi sulla questione dei supposti attacchi hacker. A tal fine è stato chiesto il parere ad uno dei giudici del tribunale supremo federale (STF), Alexandre de moraes, per verificare se ci possano essere elementi di connessione tra gli attacchi hacker oggetto del processo e le ondate di messaggi sui principali social network brasiliani durante la campagna elettorale del 2018, con l'obiettivo evidente di favorire la candidatura Bolsonaro.

Il processo era cominciato nel novembre dello scorso anno, ma il relatore ne aveva proposto l'archiviazione per insufficienza di prove, stavolta sembra si andrà più a fondo. I fatti contestati sono i seguenti: nel corso della campagna elettorale del 2018 si erano formati gruppi di donne che organizzavano manifestazioni contro Bolsonaro per il suo essere misogino, razzista ecc., creando anche un gruppo Facebook chiamato “Donne contro Bolsonaro”. Pochi giorni dopo però, tale gruppo cambiava il nome in “Donne con Bolsonaro”, cambiando i gestori della pagina e venendo poco dopo elogiato dallo stesso candidato presidente, che lo ringraziava pubblicamente dell'appoggio sulla sua pagina Facebook. L'ipotesi dei ricorrenti è che Bolsonaro sapesse dell'attacco hacker, o addirittura lo abbia finanziato direttamente.

In ogni caso sembra difficile pensare che tale richiesta possa avere effetto positivo, perché un annullamento delle elezioni del 2018 significherebbe necessariamente traghettare il paese nel giro di pochi mesi a nuove e quanto mai incerte elezioni, in una fase di evidente emergenza sanitaria e con il potere temporaneamente nelle mani dell'attuale presidente della Camera, Rodrigo Maia, principale esponente del blocco di centrodestra definito “Centro”, che ha la maggioranza in entrambe le camere. Più probabile che si vada ad un votazione con una maggioranza risicata contro l'annullamento, che permetterebbe di mantenere il presidente in carica, ma al tempo stesso operare una pressione affinché “cambi” il suo operato, anche perché le prove che Bolsonaro abbia realmente pagato gli hacker non sembrano molto consistenti.

Più in generale, vorremmo qui riflettere sulla via giustizialista che ha preso una parte consistente dell'opposizione politica a Bolsonaro. Se infatti, nelle ultime settimane sono state decine le manifestazioni di hooligans e movimenti sociali, che sono arrivati in alcuni casi anche al confronto fisico con i sostenitori di Bolsonaro, l'opposizione “democratica” cerca ancora di scommettere sulla opposizione legale a Bolsonaro, convinta di trovare prove che dimostrino il suo essere stato eletto sulla base di campagne di disinformazione, che abbia avuto finanziata la sua campagna illegalmente da alcuni grandi impresari, che sia stato appoggiato dalle milizie ecc.

Sebbene questi elementi siano con ragionevole certezza veri, non ci appare questa la giusta strada da seguire per chi lotta legittimamente per la fine di questa terribile esperienza politica. Tutto ciò provato anche dal fatto che lo stesso impeachment di Bolsonaro non appare più tra le rivendicazioni, già che non passa giorno che il suo vice non perda occasione per dare dichiarazioni di totale allineamento con la politica del presidente, dimostrando di essersi tolto la maschera di politico più “responsabile”, che aveva portato ipocritamente per tutto lo scorso anno.

La strategia di lotta più opportuna, ovviamente adottando tutte le precauzioni previste dal momento di crisi sanitaria, è quella di manifestare, di togliere le strade ai bolsonaristi, di difendere la democrazia dagli attacchi del presidente, provando ovviamente a riflettere criticamente su quale tipo di democrazia si vorrebbe. Viceversa, non sembra essere questa la modalità scelta dal PT, principale partito di opposizione a Bolsonaro, preoccupato da un lato di perdere l'egemonia politico sul fronte anti-Bolsonaro, dall'altro che manifestare potrebbe portare il governo ad invocare l'articolo 142 della Costituzione, che permette di chiedere l'intervento dell'esercito in situazioni di caos sociale.

A tal proposito è proprio di questa settimana il parere del STF in cui ha fatto presente a Bolsonaro e ai suoi alleati che le forze armate non possono in alcun modo costituire un elemento di mediazione in caso di conflitto tra i poteri dello Stato, impedendo così che esse possano trasformarsi in organo del governo contro il potere legislativo o giudiziario.

20/06/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Matteo Bifone

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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