Grecia 2018: austerità, scioperi e nazionalismo

Con la limitazione al diritto di sciopero cade la retorica governativa che chiedeva austerità oggi in cambio di un sistema di relazioni industriali migliori per il domani.


Grecia 2018: austerità, scioperi e nazionalismo Credits: https://www.flickr.com/photos/laoulaou/

Ad Agosto la Grecia tornerà sul mercato dei titoli di stato e non avrà bisogno di linee di credito preferenziali. O almeno, ne sono convinti il capo del governo Alexis Tsipras e il ministro delle finanze Euclid Tsakalotos.

Lo stesso ottimismo non è condiviso al di fuori della Grecia. Il Fondo Monetario Internazionale continua a sostenere che la Grecia abbia bisogno di un consistente taglio del debito pubblico prima di potersi reggere sulle proprie gambe. Gli altri creditori sono di opinione differente. In questo senso può essere indicativa l’opinione di Thomas Wieser, uno principali consiglieri dell’Eurogruppo (l’incontro dei ministri della finanze dei paesi europei) considerato da Varoufakis come un personaggio chiave “in tutte le politiche e in tutte le forzature che hanno portato all’immolazione della Grecia e all’ignominia dell’Europa”. Secondo Wieser un taglio del debito ad Agosto sarebbe possibile, ma sarebbe sottoposto a delle condizioni. In pratica, si ripresenterebbe la situazione degli ultimi anni: riforme antipopolari in cambio di uno sconto sul debito.

La riunione dell’Eurogruppo del 22 gennaio ha dato il via libera a un nuovo blocco di “aiuti” finanziari. Per la precisione si tratta di 5 miliardi e 700 milioni di euro destinati in grandissima parte a coprire gli interessi sul debito e a permettere allo stato greco di pagare gli arretrati. L’Eurogruppo non si è espresso sul futuro degli “aiuti” finanziari ad Atene. Anzi, come sintetizza il sito KeepTalkingGreecehanno detto all’incirca che è una decisione che spetta ai greci”. Come dire: “Voi potete uscire dal programma di aiuti, ma poi sono fatti vostri”.

Ancora in sciopero

Per sbloccare gli “aiuti”, il Parlamento greco ha dovuto approvare una nuova serie di riforme. Tra le 1.500 pagine della legge approvata, c’è di tutto: dal taglio al welfare per le famiglie alla possibilità di mettere all’asta le case pignorate agli inquilini morosi.

Tra i tanti provvedimenti, risalta uno particolarmente anti-sindacale: la restrizione al diritto di sciopero. Secondo la nuova legge, il sindacato potrà dichiarare sciopero solo col voto favorevole del 50% degli aderenti, in precedenza la norma prevedeva il 30%. Anche se l’efficacia della norma potrebbe essere limitata, dato che i sindacati greci non hanno una copertura molto alta, si tratta di una rottura netta col sindacato da parte di Tsipras. Dalla firma del memorandum di austerità a oggi, il governo greco aveva cercato di mantenere una retorica per cui doveva accettare misure sociali regressive ma preparava il terreno per un ritorno in un secondo tempo della capacità dei lavoratori di contrattare la propria posizione. In pratica: austerità oggi in cambio di un sistema di relazioni industriali domani. Ora, però, questa retorica cade.

A Dicembre e Gennaio due scioperi generali hanno fermato il paese, chiamati sia dai sindacati confederali ADEDY e GSEE sia dal sindacato comunista PAME. Come hanno riconosciuto anche i media internazionali, gli scioperi hanno paralizzato il settore pubblico e causato rallentamenti anche nel privato. Da qualche anno in Grecia gli scioperi generali non avevano questo impatto.

Durante le manifestazioni del PAME c’è stato anche un’irruzione nel Ministero del Lavoro. Si tratta di un evento notevole, dato che il sindacato si era sempre espresso contro azioni di questo genere. All’apice delle proteste contro l’austerità, i militanti del PAME e del Partito Comunista di Grecia (KKE) difesero il Parlamento dall’assalto di gruppo anarchici.

Come già detto, scioperi e mobilitazioni non sono mancati in questi anni in Grecia, ma la loro portata si è ridimensionata, come è naturale dopo un picco di conflitto come quello del 2011-2012. E come è naturale dopo una tremenda sconfitta come quella del tentativo di SYRIZA di contrattare con le autorità europee. Questo ciclo di scioperi ha riportato in manifestazione decine di migliaia di lavoratori in sciopero, come riportato anche dai media più ostili al movimento operaio.

Il provvedimento sugli scioperi ha già avuto ripercussioni anche al livello dei rapporti internazionali di SYRIZA. Il Parti de Gauche (fondato da Melenchon nel 2008) ha richiesto al Partito della Sinistra Europea (SE) di escludere SYRIZA dalle proprie fila. Secondo il PG, è diventato impossibile per molti aderenti alla Sinistra Europea condividere uno spazio con un partito che “ha spinto la sua logica di austerità fino ad attaccare il diritto di sciopero”. La richiesta è stata immediatamente condannata dal Presidente della SE, il tedesco Gregor Gisy, ma segnala la crescita delle tensioni interne alla formazione, che già si erano manifestate durante il congresso del Dicembre 2016.

Il nazionalismo

Altre manifestazioni hanno riempito le piazze. A Salonicco si è svolta una grande manifestazione nazionalista. 90mila partecipanti secondo le forze dell’ordine, 500mila (numero assolutamente improbabile) secondo gli organizzatori. La manifestazione si è svolta sulla questione della Macedonia.

Formalmente, lo stato macedone ha assunto il nome di Ex Repubblica Jugoslavia di Macedonia (FYROM) data l'opposizione dei governi greci all'uso del nome "Macedonia". In effetti, il governo greco si riferisce alla FYROM solo col nome della capitale, Skopjie. Formalmente perché già una regione greca si chiama Macedonia e per questioni storiche risalenti a Alessandro Magno. In pratica, perché il nazionalismo greco ha sempre considerato quel territorio come un territorio rubato dagli slavi. Nel corso degli anni le trattative hanno portato all’eliminazione dalla Costituzione della FYROM delle pretese territoriali macedoni sulla Grecia.

La questione è ovviamente sobillata dai potenti ambienti militari e religiosi. Una nuova manifestazione è in programma per domenica 4 febbraio e l’Arcivescovo Girolamo II di Atene ha già espresso sostegno.

La vicenda macedone apre una nuova grana per il governo Tsipras che nei negoziati internazionali cerca di mantenere un equilibrio tra il buon senso (tutto il mondo tranne la Grecia usa il nome Macedonia) e il fronte interno. Gli alleati di governo di Tsipras, i nazionalisti di ANEL, hanno scelto di non prendere parte alla discussione sulla Macedonia, ma sono in evidente difficoltà. Nelle manifestazioni nazionaliste emerge un nome di un nuovo possibile leader per il nazionalismo greco: l’ex generale Frangoulis Frangos, già ministro della difesa per un mese durante il 2012. Per ora sono solo speculazioni, ma un nuovo partito della destra potrebbe ridimensionare i nazisti di Alba Dorata, spazzare via ANEL e incassare il sostegno della Chiesa Greca. E potrebbe obbligare il centrodestra a una futura Grande Coalizione con SYRYZA.

03/02/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Paolo Rizzi

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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