I dazi sono delle imposte su beni e servizi importati all'interno di un Paese e vengono decisi per aumentare i prezzi dei beni importati rendendoli più costosi rispetto ai beni e servizi nazionali, ed è in questo modo che vengono protette le aziende locali. I controdazi sono sempre delle imposte ma di ritorsione simmetrica, ma non sempre.
Il 2 aprile il presidente americano, Donald John Trump, come abbiamo visto nei telegiornali ha firmato un decreto con un ordine esecutivo che ha istituito dazi reciproci cioè, ha messo in moto un sistema di imposizione doganale sulla base dei dazi che erano stati applicati alle importazioni degli Stati Uniti verso i Paesi di tutto il mondo con Tributi del 31% sulle importazioni dalla Svizzera, del 20% per l'UE e del 34% per la Cina, che ora sono del 145%, sebbene siano in corso degli accordi, che potrebbero comportare una riduzione di queste imposte. L’Unione europea ha annunciato controdazi tra l’8% e il 30%, gli stessi che gli Stati Uniti hanno applicato all’acciaio e all’alluminio che colpirebbero secondo previsioni le esportazioni americane per circa 2,2 miliardi di dollari, ma l’intero pacchetto non è entrato ancora in vigore. I Dazi minimi del 10% sono per tutte le merci in arrivo negli USA.
Tra i vari commenti diffusi dai media c’è stato quello che le regole dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) sarebbero state violate. Questa affermazione non è esatta perché per i dazi non ci sono regole circoscritte e, quindi, mirate sui valori monetari, ma sono in vigore delle Linee Guida da seguire per le Imprese Multinazionali che forniscono una serie di raccomandazioni periodiche per una condotta responsabile delle imprese, le quali debbono avere particolare attenzione per il rispetto delle leggi e delle normative internazionali, inclusi gli accordi commerciali. Le Linee Guida OCSE sono state introdotte nel 1976 e vengono costantemente aggiornate per monitorare gli sviluppi nel commercio internazionale e delle governance aziendali. In sintesi, mentre le Linee Guida OCSE non sono direttamente legate ai dazi doganali, che sono quelli che Trump sta modificando, l’OCSE promuove delle raccomandazioni finalizzate verso un comportamento aziendale responsabile che non influenzi indirettamente le politiche doganali e le pratiche delle imprese multinazionali. In questo modo l’OCSE cerca di evitare comportamenti che potrebbero essere considerati come tentativi di aggirare i dazi doganali. In sintesi, le Linee Guida OCSE sono mirate a: sottolineare l'importanza del quadro di conformità delle norme internazionali e delle convenzioni e accordi di commercio; monitorare le imprese multinazionali ed i governi; non imporre vincoli, ma debbono essere un'indicazione per le imprese e per la governance internazionale; non controllare direttamente i dazi doganali, ma promuovere la trasparenza, la responsabilità e la cooperazione internazionale, elementi che possono indirettamente influenzare le politiche doganali; avere una funzione che non influenzi le gestioni aziendali che potrebbero essere percepite come un tentativo di eludere o ridurre i dazi doganali attraverso la manipolazione dei prezzi di trasferimento e la manipolazione delle transazioni tra le imprese e gli scambi commerciali o attraverso altre pratiche commerciali che potrebbero essere considerate non lecite.
Le operazioni sui dazi di Trump che sono una serie di rimodulazioni fiscali sul versante dell’import verso gli Stati Uniti in generale non sono in contrasto con le Linee Guida OCSE, ma sono delle scelte economiche sbagliate perché scaricano sui Paesi del resto del Mondo la crisi del debito pubblico degli Stati Uniti che ha superato i 36 mila miliardi di dollari. Le politiche sui dazi che Trump ha inaugurato stanno facendo decollare nuovi processi di economia internazionale mirati a raggiungere un nuovo equilibrio economico tra import ed export nel bilancio degli Stati Uniti ma saranno sufficienti a ridurre il debito pubblico? Certo genereranno forse un surplus di introiti derivanti anche dalle delocalizzazioni di imprese verso gli Stati Uniti come Trump ha richiesto, ma anche con ciò il debito pubblico statunitense diminuirà? Certo è che i dati per i primi cento giorni del governo di Trump sono negativi [1].
Trump non ha considerato che gli equilibri di bilancio all’interno dei vari Paesi che esportano negli Stati Uniti vanno sempre monitorati in funzione del pareggio tra entrate e uscite in quanto gli aumenti dei dazi faranno diminuire le entrate di questi Paesi perché le loro esportazioni verso gli Stati Uniti diminuiranno ed è chiaro che si attiveranno a catena delle crisi aziendali non facilmente gestibili senza diminuire l’occupazione e questo significherà che i consumi diminuiranno e le importazioni dagli Stati Uniti verso questi Paesi di conseguenza diminuiranno anche loro e l’export statunitense diminuirà di conseguenza.
La ragione dichiarata da Trump per le rimodulazioni dei dazi è stata quella del debito pubblico degli Stati Uniti che ha un costo per gli interessi passivi che è in dollari ed ha un suo peso finanziario nel bilancio degli Stati Uniti e pesa anche nei circuiti monetari dei mercati finanziari internazionali delle borse che presentano dal 2 aprile spesso chiusure a ribasso.
Il dollaro si sta inflazionando e sta diminuendo di valore nelle quotazioni dei cambi monetari e in sintonia con il quadro delle operazioni di Trump sui dazi il suo valore sta diminuendo e questo influisce anche sui mercati finanziari delle borse finanziarie, che spesso chiudono con il segno meno. La motivazione è anche per il calo della fiducia degli investitori sugli asset in dollari e cioè di quelle voci attive nei bilanci delle aziende statunitense. Questo calo di fiducia è in corso da circa tre anni e la previsione per il rapporto euro-dollaro, che è quella maggiormente seguita dagli investitori europei, è di 1,05 entro la metà del 2025. Mark Haefele della UBS GWM prevede un euro più forte del dollaro con un tasso di cambio euro-dollaro, invece, di 1,08 per la metà del 2025, 1,09 nel giugno 2025 e 1,12 nel dicembre 2025.
In generale questo è il quadro di previsione finanziaria per gli Stati Uniti, e “ci si aspetta una crescita statunitense molto più lenta dopo l’annuncio degli aumenti dei dazi del 2 aprile”, almeno in questo scenario di base come è stato delineato. “Si prevede una crescita del PIL USA per l’intero anno inferiore all’1%. Per quanto riguarda l’inflazione si stima che i dazi di Trump, quelli annunciati finora e quelli già applicati, potrebbero aggiungere circa 2 punti percentuali ai prezzi al consumo negli Stati Uniti entro la fine dell’anno. Sebbene l’aumento dell’inflazione rappresenti una sfida per la Federal Reserve, si ritiene che la crescita sarà molto più lenta e porterà la Fed a tagliare i tassi di interesse di 75-100 punti base nel resto del 2025” [2]. È importante considerare che i dazi di Trump, essendo “reciproci” per la loro funzione di bilanciamento tra le importazioni e le esportazioni realizzate verso i Paesi presenti nell’elenco di quelli colpiti dai dazi americani il 2 aprile 2025 [3], sono aumenti di imposte impropri e sono pertanto considerate imposizioni fiscali. Il caso più evidente sono stati i dazi verso la Cina che hanno rilanciato i controdazi cinesi su alcuni beni e, nel contesto delle scelte economiche della Cina, sono state interrotte anche alcune importazioni dagli Stati Uniti, in particolare gli aerei Boeing [4].
I media parlano esplicitamente di “guerra commerciale” ma sia chiaro manca la “causam belli” perché nessun paese ha aumentato unilateralmente i dazi sui prodotti e sui servizi esportati dagli Stati Uniti, che erano quelli storici. Questo prima del 2 aprile, quando di fatto è stato Trump ad avviare questo possibile conflitto modificando in modo unilaterale i dazi storici.
Si pone quindi un interrogativo importante: chi vincerà questa “guerra commerciale” impropriamente definita tale? Intanto, è da dire che, se non verranno bloccati questi processi di rimodulazione continua di questi dazi gli effetti saranno devastanti per tutti. La “guerra economica” è un tipo di conflitto ibrido, cioè ha cause diverse ed è focalizzata in un contesto commerciale nel quale sono presenti diversi strumenti: finanziari, industriali e legali, mirati in pratica all'indebolimento degli Stati che vengono colpiti dai dazi. È un processo tanto complesso quanto irreversibile che, quando viene messo in moto ha come obiettivo la distruzione dell'economia degli Stati avversari: se i belligeranti circoscrivono il conflitto a segmenti specifici, come il divieto di esportare una categoria di beni o alla militarizzazione di un'intera industria come sta avvenendo nell’Unione europea con gli investimenti di 800 miliardi di euro per il riarmo che coinvolgono una pluralità di settori, si avrà una diminuzione della produzione nei settori non militari. La fase in corso, caratterizzata dai congelamenti dei beni in Europa della Russia e le sanzioni hanno creato motivazioni per far partire un’economia di guerra in Europa.
La sospensione di aiuti allo sviluppo e alle linee di credito per gli aiuti ai paesi in difficoltà voluta da Trump, che ha anche sospeso i finanziamenti all’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo, USAID, finalizzata [5] agli aiuti umanitari e sanitari destinati alle popolazioni più vulnerabili, ha avuto come risultato l’aggravamento delle condizioni di vita in alcuni Paesi. Nel contesto delle relazioni USA-Israele e del conflitto in corso, il caso di Gaza si presenta drammatico in quanto oltre alle distruzioni ed alle morti, quelle popolazioni hanno problemi di alimentazione primaria e Trump non fa nulla.
L’economia di guerra in questa fase è ritmata da scelte politiche ma che tendono a raggiungere l’equilibrio nei mercati finanziari che oggi sono pronti a cogestire con gli Stati dell’Ue i nuovi processi finanziari di economia di guerra che l’Unione europea ai suoi livelli di Commissione Ue e Parlamento europeo stanno programmando. Questi programmi di guerra non cambieranno, anche grazie al Pd, perché, soprattutto, mentre parla di pace ha votato nel parlamento europeo per eleggere Presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen.
L’economia di guerra si sta presentando per i paesi Ue come l’adeguamento di un intero sistema produttivo nazionale verso uno sforzo bellico che, anche se viene mascherato come “riarmo” si sta rivelando come una riorganizzazione ordinaria delle economie nazionali per sostenere uno sforzo di produzione di armamenti bellici che non risponde a una reale minaccia, perché la Russia non ha intenzione di invadere l’Europa. L’Ue sta rilanciando con un’enfasi ridicola e pericolosa investimenti finanziari per la produzione di apparati bellici e ciò comporterà nuovi processi di priorità d’investimenti finalizzati alla produzione di impianti militari e nello stesso tempo sta operando una razionalizzazione e diminuzione delle risorse finanziarie destinate ad altri settori avviando allo stesso tempo una redistribuzione dei finanziamenti per sostenere un sistema produttivo di guerra che è presentato con motivazioni astratte ma sarà permanente.
In conclusione, nei dettagli dei processi economici l'economia di guerra è una forma di economia pianificata, e non è liberista ma statale. Ogni Stato, quindi, cercherà di controllare e dirigere le sue risorse produttive per sostenere lo sforzo bellico anche se al momento siamo in assenza di motivazioni concrete che in Europa non esistono, ripetiamolo, sono soltanto ipotesi di sicurezza astratte. Come sappiamo dalle fasi storiche precedenti i conflitti bellici sono stati spesso usati preventivamente contro il deterioramento di una situazione di crisi economica e in questa fase il debito pubblico degli Stati Uniti è stato conclamato come una motivazione per i dazi di Trump. Rilanciando produzioni militari, e contemporaneamente de-strutturando segmenti produttivi non militari si liberano risorse finanziarie che provocheranno morti e distruzioni. Questi sono gli obiettivi del capitalismo corrente in questa fase che è un sistema imperialista.
Note:
[1] Giù il pil dei 100 giorni, Trump accusa Biden non i dazi, ANSA, 1 maggio 2025.
[2] UBS GWM CIO Daily: Guerra commerciale: Le ultime previsioni di UBS, Mark Hafaele, 4 aprile 2025.
[3] Cosa c'è scritto nella tabella dei dazi di Trump, e perché i calcoli sono sbagliati: l’Ue e il caso Vietnam, Massimiliano Jattoni Dall’Asén, Corriere della Sera, 3 aprile 2025.
[4] Guerra dei dazi, media: la Cina rimanda negli Usa gli aerei Boeing, Sky Tg 24, 21 aprile 2025.
[5] Fondi USAID: i tagli agli aiuti del governo USA condannano a morte milioni di persone, Medici Senza Frontiere, 10 marzo 2025.