Libano. Umanità del sottosuolo

Seconda tappa di Laboratorio Libano nei campi profughi palestinesi e intervista a Kassem Aina.


Libano. Umanità del sottosuolo Credits: Kassem Aina - foto di nefg

Seconda tappa di Laboratorio Libano nei campi profughi palestinesi situati nell'omonimo paese. Intervista a Kassem Aina, fondatore e direttore generale della Ong palestinese Beit Atfal Assomoud. La speranza di ritrovare l’unità dei palestinesi. La lotta dei profughi palestinesi del Libano per tornare nella loro terra libera dall’Occupazione. Il sogno di vivere in uno stato democratico insieme: cristiani, musulmani, ebrei.

di Laboratorio Libano

Dall’ultima intervista che ti abbiamo fatto nel 2011 sono passati quattro anni. Già allora l’arrivo dei profughi palestinesi dai campi della Siria in quelli del Libano stava creando varie difficoltà. Qual è oggi la situazione nei campi profughi del Libano in generale e in modo particolare dei palestinesi arrivati dalla Siria che si trovano ora a vivere qui? E cosa sta facendo Beit Atfal Assomoud per questo specifico problema?

Prima di tutto voglio ringraziare voi e tutti gli amici che ci sono sempre vicini e sono solidali con la causa palestinese e in modo particolare con i palestinesi che vivono in Libano. Attualmente nei campi profughi vivono 42mila profughi palestinesi siriani, ma il numero era maggiore negli anni scorsi: alcuni di questi infatti hanno preferito ritornare in Siria, mentre altri hanno lasciato il Libano per l’Europa in maniera illegale. Questi palestinesi “siriani” stanno soffrendo moltissimo perché il supporto che fornisce l’UNRWA si sta affievolendo. Noi come associazione cerchiamo di fare il massimo con i mezzi che abbiamo. Per esempio, riguardo i bambini, abbiamo pensato di inserirli nelle scuole insieme ai bambini palestinesi del Libano, entrambi hanno il precario supporto dell’UNRWA. In generale le condizioni di vita dei palestinesi nei campi sono terribili ma, pensate, i palestinesi poveri che già vivevano nei campi libanesi hanno ospitato i palestinesi provenienti dalla Siria, una popolazione scioccata dalla guerra, depredata e saccheggiata di ogni cosa. Ma il loro shock è continuato arrivando qui in Libano perché hanno trovato una situazione completamente diversa. In Siria, infatti, da profughi godevano degli stessi diritti di tutta la popolazione autoctona siriana, erano alla pari, mentre qua in Libano sono privati, come noi, dei diritti civili ed umani. Dicevo che noi stiamo cercando di sostenerli in vari modi: a quelli che per esempio sono arrivati nella valle della Beqā, e dal momento che sono in condizioni pessime, gli stiamo fornendo il gasolio per scaldarsi; ai loro bambini offriamo un supporto particolare per quanto riguarda l’istruzione avendo aperto delle sezioni di classi speciali solo per loro e anche delle classi di recupero degli anni scolastici. Non possiamo discriminarli perché per noi sono tutti uguali, sia che arrivino dalla Siria, sia che siano già in Libano, sono tutti palestinesi. Ma certamente i palestinesi della Siria hanno una priorità nei nostri programmi e dunque hanno un trattamento speciale, perché bisogna capire che per tanti di loro la fuga dalla Siria è stato un grande shock, per alcuni l’abbandono della loro seconda patria. Per la vecchia generazione è stato un po’ come scappare due volte dalla propria patria, in Siria almeno potevano lavorare, studiare e avere gli stessi diritti dei siriani, mentre qui non hanno nessun diritto. Una volta arrivati qui i palestinesi della Siria continuavano a dirci: ma come potete accettare tutto questo? Come potete vivere in queste condizioni? Senza diritti umani? Alcuni di loro hanno preferito tornare in Siria, perché non potevano vivere qua, in Libano c’è discriminazione, non soltanto nella testa delle persone. È la legge che discrimina. Pensate che dal 24 novembre le compagnie aeree e alcuni paesi non accetteranno i documenti di viaggio dei palestinesi del Libano: proibito viaggiare. Perché il documento di viaggio nello loro mani non è più valido perché non elettronico e quindi non potranno più viaggiare e resteremo segregati in Libano, come in una prigione. Se non ci danno un nuovo passaporto elettronico non potremo viaggiare: ad esempio, ho un meeting al Cairo il prossimo mese e se non mi danno un passaporto magnetico non potrò andarci. Quindi ora abbiamo un nuovo problema da affrontare. Al governo libanese chiediamo solo il rispetto dei diritti umani, non vogliamo la nazionalità libanese, ci consideriamo ospiti e continuiamo a rivendicare il diritto di tornare nella nostra terra. L’unico modo per risolvere questa situazione è che i governi dei paesi europei, gli USA e nello stesso tempo anche e soprattutto gli amici libanesi solidali con noi facciano pressione sui rispettivi governi affinché applichino anche ai palestinesi i diritti che vengono applicati a tutti i popoli del mondo. Noi non possiamo dimostrare, non possiamo pressare il governo, siamo inesistenti per loro, ecco perché i palestinesi, anche i più giovani cercano di lasciare il Libano; loro sono stanchi e sotto pressione per colpa della situazione: niente diritti, niente lavoro. Preferiscono andarsene. Spesso vendono la loro casa (n.d.a. parliamo di stanze grandi quanto un loculo) per raggranellare quattro soldi per cercare di andarsene in Europa.

La situazione in Libano ci sembra sempre più precaria e difficile del solito. La mancanza di un presidente della Repubblica, la spaccatura tra i due blocchi politici pro e contro Bashir Al Assad in Siria e gli ultimi fatti come l’attentato - del 12 novembre scorso - nel popoloso quartiere di Burj al-Barajneh, a Beirut Sud, ci sembrano una conferma. Cosa pensi di questo e come tutto ciò si riflette sulla vita quotidiana dei palestinesi che vivono in Libano? Come giudichi la posizione di Hezbollah da molti accusato di creare instabilità nel paese?

Beh, fammi dire questo… Hezbollah rappresenta la Resistenza libanese. Questo partito fu fondato perché Israele occupò il Libano, Hezbollah combatte in Siria. Sta combattendo l’ISIS e Al Nusra. Quei fanatici, terroristi!, autori di questi massacri. Quello che è successo a Burj al-Barajneh, e quello che è successo prima, sono crimini, grossi crimini. Loro colpiscono persone innocenti, anche quello che è successo a Parigi è opera dell’ISIS. Quindi io penso che la lotta di Hezbollah in Siria ha un significato: è logico che siano andati in Siria a combattere perché vogliono evitare che i gruppi fanatici vengano in Libano a compiere massacri e cercano quindi di reprimerli direttamente in Siria. Per un intero anno sono stati in grado di farlo (n.d.a. dall’ultimo attentato a quello del 12 novembre è passato un anno), ma quello che è successo a Burj al-Barajneh è stato veramente terribile. Lo scopo era quello di creare un conflitto tra i rifugiati palestinesi del campo profughi (n.d.a. Burj al-Barajneh è il più grande campo profughi palestinese di Beirut) e i libanesi sciiti dello stesso quartiere. Sin dall’inizio qualche emittente televisiva libanese aveva indicato i palestinesi come esecutori dell’attentato, hanno anche fatto due nomi di palestinesi coinvolti che sono poi risultati appartenenti a due palestinesi morti due anni prima in Siria. Ma sia Nasrallah che Nabih Berri, come tutti i leader politici libanesi, hanno esplicitamente e in modo chiaro escluso il coinvolgimento dei palestinesi in queste azioni terroriste. Nello stesso tempo i palestinesi del campo di Burj al-Barajneh sono andati a solidarizzare con i parenti delle vittime del massacro. Penso che i libanesi adesso non dovrebbero solo solidarizzare con Hezbollah, ma dovrebbero anche lottare contro l’ISIS, Al Nusra e tutti i movimenti di fanatici. Quindi penso che i libanesi dovrebbero supportare Hezbollah nel lottare contro questi gruppi: se essi dovessero mai entrare in Libano (spero che non siano in grado di farlo), farebbero grandi massacri contro i cristiani, contro i musulmani, contro tutti, perché loro sono contro l’umanità.

I movimenti islamici più radicali come Daesh, il Fronte Al Nusra, e altri sono sempre più attivi in tutto il Medio Oriente, da noi in Europa si ha l’impressione che le loro idee stiano facendo breccia anche tra i palestinesi in genere e anche tra quelli dei campi. Pensi sia un analisi corretta? Se sì, cosa ne pensi e cosa credi si possa fare per contrastare politicamente questi fenomeni?

Dunque, in generale i palestinesi - e sto parlando dei profughi palestinesi del Libano - appoggiano la Resistenza, cioè resistere contro l’Occupazione. Io non posso essere contro Hezbollah se sono contro l’occupante. Quindi se combatto Israele perché dovrei essere contro Hezbollah? Ma sono certamente contro l’ISIS e contro tutti i gruppi fanatici che stanno praticando un ruolo negativo anche contro l’Islam stesso, che è la religione della pace e non è quello che stanno facendo loro. L’Islam non dice, per esempio, di assassinare i cristiani. Loro lo stanno facendo, perché? Loro stanno uccidendo i sunniti, perché? Loro sono sunniti, ma stanno uccidendo altri sunniti in Iraq, in Siria. Io non penso che i palestinesi siano con questi gruppi fanatici, ma certamente ce ne sono alcuni, soprattutto tra i giovani più disperati che hanno completamente perso ogni speranza, che sono senza lavoro e sono allo sbando più totale che: o cercano di lasciare il Libano o si ritrovano tra le maglie di questi gruppi di fanatici che gli offrono anche una soluzione economica pagandoli per la loro affiliazione. Sono ragazzi che si lasciano comprare perché purtroppo non hanno scolarizzazione e nemmeno una coscienza politica. Quello che dico sempre è che per lottare contro i gruppi fanatici bisogna scolarizzare i giovani e dargli un lavoro, allo scopo di dargli e avere dignità. Se ti senti una persona dignitosa non cadi nella rete di questi gruppi.

Cosa ne pensi dell’attuale situazione in Palestina? Ci sembra sia in corso una nuova Terza Intifāda (n.d.r. “sussulto”, “sollevazione”), iniziata e portata avanti dalle nuove generazioni. Il fatto è che però ci sembra priva di una guida, di una personalità, di un leader politico e con i partiti che appaiono sempre più divisi tra loro. Credi che senza un coordinamento comune o una guida si possa continuare a contrastare efficacemente in questo modo Israele che è sempre più feroce e forte?

Beh sì, certo, possiamo proprio dire che questo è l’inizio della Terza Intifāda, ci sono un sacco di morti, di arresti, di bambini, ragazzi detenuti, c’è un grosso aumento di detenzione minorile. Israele li prende e li mette dentro. Sì sono d’accordo che non c’è un reale coordinamento sino ad ora; non c’è una vera leadership sino a questo momento. Ho preso parte ad una grande conferenza in solidarietà con l’Intifāda formata da esponenti di tutti i paesi arabi, tutti i partiti palestinesi vi hanno partecipato. La discussione verteva sul fatto che è necessario un coordinamento comune e un'agenda su come proseguire e per trovare una soluzione per i ragazzi detenuti, perché non possono continuare in questo modo. Ma una delle cose più positive riguardo l’Intifāda è che ora gli israeliani hanno più paura, sono molto impauriti, anche se i palestinesi non hanno armi, perché i palestinesi stanno usando solo pietre e coltelli. L’Intifāda non è soltanto a Gerusalemme, è iniziata a Gerusalemme ma ora è anche in West Bank e a Gaza. Proprio ieri c’è stato un attacco di Israele a Gaza e anche contro i palestinesi che risiedono in Israele. Sono d’accordo che dovrebbe esserci una leadership. Perché questa Intifāda? Penso che ci siano due ragioni, una è l’Occupazione israeliana che sta lasciando la nostra gente in condizioni terribili, specialmente a Gerusalemme; vogliono prendere Al Aqsa: sono pazzi. La seconda ragione è che i giovani non sono soddisfatti riguardo l’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), quindi loro stanno affrontando non un solo nemico... ne stanno affrontando due. Ecco perché tutto questo: inoltre i giovani stanno agendo in modo spontaneo, dietro di loro non c’è nessuna direzione o partito, nessuno gli ha chiesto di fare ciò, tutto parte dalla loro rabbia. Non è facile, l’Occupazione è così violenta e io non riesco ad immaginare un bambino di 12 o 13 anni nelle loro mani. Tu riesci ad immaginarlo? Il problema è anche l’Europa che non si sta comportando bene, dove sono i movimenti di solidarietà, cosa stanno facendo? E inoltre gli arabi sono ancora peggiori, immobili su questo. I soli che stanno solidarizzando con noi sono gli iraniani e i siriani che stanno facendo manifestazioni di solidarietà, nonostante i loro problemi e la guerra in corso. In Siria hanno fatto una manifestazione a Damasco, ma gli altri arabi stanno dormendo. Penso che l’Intifāda non si possa fermare perché l’inizio è stato spontaneo e dal “basso”, fatto da giovani, giovanissimi che vogliono finalmente avere voce in capitolo scalzando l’ANP in modo da rappresentare veramente la parte che può opporsi-confrontarsi con Israele. Sono 20 anni che l’ANP e Israele discutono tra di loro del nulla, Abu Mazen e gli israeliani discutono, discutono, ma nulla arriva; ogni anno gli israeliani si prendono nuovi insediamenti. Ogni giorno. Nessun miglioramento in questi “dialoghi”. Nessuno! Come non può riconoscere i diritti umani Israele? Come non li può riconoscere l’Europa? Questi che parlano di democrazia, sono come gli arabi che dormono? Ecco perché i giovani hanno iniziato la terza Intifāda. Quello che posso dire è che forse presto ci sarà un coordinamento tra i partiti politici allo scopo di guidare l’Intifāda, perché i giovani da soli non possono prendere la leadership, perché loro non fanno parte di nessun partito politico. Solo in questo modo (con un coordinamento unico) si può continuare l’Intifāda arrivare a costringere Israele ad accettare nuove prospettive-condizioni. Anche perché in questa fase Israele è debole, non può controllare tutto e tutti, chiunque può trovare dei sassi o avere un coltello. Loro non possono prevenire tutto e quindi ognuno, singolarmente, può fare quello che vuole. Io spero che i palestinesi si possano finalmente unire, mettendo da parte le divisioni di questi anni, per questa nuova Intifāda. Noi profughi palestinesi del Libano vogliamo tornare nella nostra terra libera dall’Occupazione, tornare nelle nostre case: i palestinesi sono l’unico popolo che può tristemente vantare il primato di essere da 68 anni un popolo di rifugiati. Prima della crisi siriana eravamo il popolo più numeroso come rifugiati nel mondo. Mi auguro, è un sogno, che un giorno potremo vivere in uno stato democratico: cristiani, musulmani, ebrei. Vogliamo vivere insieme non in due Stati, non credo nei due Stati. I due Stati non risolveranno il problema. In Beit Atfal Assomoud noi continuiamo ad educare i nostri bambini a non essere nemici dei cristiani o degli ebrei: noi siamo contro tutti i fanatismi. Non è facile, ma lavoriamo in tal senso perché noi siamo una Ong laica e indipendente.

04/12/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Kassem Aina - foto di nefg

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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