Dalla logica alla gnoseologia di Aristotele, IX lezione del corso di filosofia

Mercoledì 27 ottobre dalle ore 18 alle 20.15, nona lezione del corso: “Controstoria della filosofia” (II ciclo), tenuto dal professor Renato Caputo per l’Università popolare Antonio Gramsci. La lezione (che si terrà in videoconferenza per gli iscritti all’Università popolare Antonio Gramsci e in diretta facebook al link https://www.facebook.com/unigramsci/) affronterà – in un’ottica marxista – la logica e la gnoseologia di Aristotele.


Dalla logica alla gnoseologia di Aristotele, IX lezione del corso di filosofia

Mercoledì 27 ottobre dalle ore 18 (puntuali) avrà luogo la nona lezione del corso di filosofia – tenuto dal professor Renato Caputo – intitolato “Controstoria della filosofia da un punto di vista marxista”, secondo ciclo: “Dal comunismo utopistico di Platone al realismo immanente di Aristotele”.

I giudizi

La connessione dei termini dà luogo ai giudizi. La logica secondo Aristotele non si occupa di tutti i tipi di enunciati, ma solo di quelli che dicono qualcosa della realtà, dei giudizi di cui si può determinare la verità o la falsità mediante il confronto con il reale, ossia degli enunciati apofantici. Se, ad esempio, dico “o mio dio fammi la grazia” oppure “per favore passami il coltello”, questi due enunciati sono semantici, nel senso che sono significativi, ma non sono apofantici, perché non dicono nulla riguardo la realtà, esprimono una preghiera o una richiesta.

Le forme dei giudizi

I giudizi (apofantici) sono classificati da Aristotele in base a due variabili: la quantità (universali o particolari) o la qualità (affermativi o negativi), combinandoli avremo quattro tipi possibili di giudizio:

 - universali affermativi (ad esempio “tutti gli uomini sono colti”); A

 - universali negativi (ad esempio “nessun uomo è colto”); E

 - particolari affermativi (ad esempio “alcuni uomini sono colti”); I

 - particolari negativi (ad esempio “alcuni uomini non sono colti”). O

Il quadrato aristotelico

Con riferimento al quadrato Aristotelico (realizzato dalla scolastica)

AE = sono contrari: non possono essere entrambi veri, ma possono essere entrambi falsi. Se tutti gli uomini sono colti non può essere vero che nessun uomo è colto. Ma visto che non tutti gli uomini sono colti sono entrambi falsi.

IO = sub-contrari: non possono essere entrambi falsi. Se non è vero che alcuni uomini sono colti, non può esser falso che alcuni uomini non lo sono.

A-I e EO = subalterni: la verità dell’universale implica la verità del particolare, ma non viceversa. Se tutti gli uomini sono colti, lo sono anche alcuni, mentre se alcuni sono colti non lo saranno necessariamente tutti.

A-O e E-I= contraddittori: uno è vero e uno è falso. Se tutti gli uomini sono colti non può esser vero che alcuni non lo sono, mentre se alcuni non lo sono, non tutti saranno colti.

Il sillogismo

La relazione tra giudizi è detta da Aristotele sillogismo, il ragionamento per eccellenza. Il sillogismo designa un procedimento deduttivo a-priori – come la geometria – mediante il quale date determinate premesse (tutti gli uomini sono mortali) possiamo ricavarne una necessaria conclusione (Socrate è mortale). Il passaggio dalle premesse alla conclusione avviene grazie al termine medio (Socrate è uomo) che funge da soggetto nella premessa maggiore (gli uomini sono mortali) e da predicato nella premessa minore (Socrate è un uomo). Il ragionamento è valido in ogni caso (valido non vuol dire vero), indipendentemente dal contenuto:

 se tutti gli A sono B (se tutti i cani sono gatti)

e se tutti i C sono A (se tutti i barboncini sono cani)

allora tutti i C sono necessariamente B. (tutti i barboncini dovrebbero essere gatti dal punto di vista formale, ma non lo sono dal punto di vista del contenuto). La logica è formale, perché analizza la forma dei ragionamenti indipendentemente dal loro contenuto (si occupa delle validità e non della verità). Sarà la scienza ad accertare la verità o meno delle premesse (ad esempio se è vero che tutti i cani sono i gatti) e, quindi, della conclusione (tutti i barboncini sono gatti).

Il sillogismo dimostrativo e i sillogismi probabili

Il sillogismo fin qui analizzato è quello della scienza, quello categorico (o apodittico, che ha quindi un valore conoscitivo) tale per cui se la premesse sono vere anche la conclusione è vera, esistono però anche altre forme di sillogismo (come il retorico, il dialettico o l’induttivo) che giungono a conclusioni probabili. In effetti perché un sillogismo sia dimostrativo (ossia scientifico) è necessario che almeno una delle due premesse sia universale. Nel sillogismo induttivo, ad esempio, entrambe le premesse sono di tipo particolare mentre la conclusione è universale, ma in realtà non scientifica, ma solo probabile, perché il legame riguarda un numero limitato di casi: ad esempio Giovanni, Francesco e Carlo sono belli (caso particolare, cui si giunge mediante l’esperienza); Giovanni, Francesco e Carlo sono vanesi; tutti gli uomini vanesi sono belli (conclusione universale solo probabile, non abbiamo fatto e non potremo fare esperienza che tutti gli altri uomini vanesi siano [necessariamente] belli).

Il sillogismo categorico

Il sillogismo categorico (che si usa nella scienza) è un ragionamento deduttivo che dimostra la necessità delle conclusioni a partire dalle premesse date, però esso non può giudicare la verità o falsità di quelle che usa. Se l’oggetto della logica si limita all’analisi formale della correttezza dei ragionamenti, la questione della verità (del contenuto) è invece necessaria per la scienza.

Il metodo induttivo e intuitivo

Le premesse usate in una dimostrazione possono derivare da una dimostrazione precedente, ma il regresso non può andare all’infinito, è necessario quindi individuare proposizioni vere senza poterle dedurre da altre. Per risolvere questo problema Aristotele introduce altri due metodi accanto a quello deduttivo che rimane comunque il principale: quello induttivo e quello intuitivo. Mediante l’induzione possiamo cogliere principi universali a partire dall’osservazione di molti casi particolari, ad esempio osservando molti individui concreti cerchiamo di ricavare le caratteristiche dell’idea di uomo, in questo modo però non possiamo mai giungere a conclusioni vere, ma solo probabili.

I tre princìpi della logica aristotelica

I principi possono essere anche colti con l’intuizione, nella loro evidenza tramite l’intelletto. Esistono principi (assiomi) comuni a tutte le scienze a altri specifici di ognuna. Tra i primi il più importante è quello di non contraddizione, (già intuito da Parmenide: non è possibile che l’essere non sia), non è possibile che un predicato appartenga e non appartenga a un soggetto (due predicati opposti non possono essere attribuiti a uno stesso soggetto: Socrate è uomo/Socrate è non-uomo); da esso deriva il principio di identità (ogni cosa è uguale a se stessa, per cui l’essere necessariamente è e non può non essere) e del terzo escluso: A=A; significa che A non è NON-A; dunque o è A o è NON-A, una terza possibilità è esclusa (se l’essere è, significa che non può non essere, quindi l’essere non può essere e al contempo non essere).

Il procedimento deduttivo

Mediante l’intuizione e attraverso gli assiomi ogni scienza deve costruire le proprie definizioni che costituiranno il punto di partenza del procedimento deduttivo. La logica non può entrare nel contenuto, ma può indicare le condizioni formali di correttezza.

Psicologia: introduzione generale

La psicologia in Aristotele è parte della fisica e studia l’anima in quanto forma del corpo (ossia della materia), al contrario della matematica che studia le forme astratte o separate dalla materia. L’anima (quale spirito vitale) è l’atto primo di un corpo, ovvero fa sì che un corpo (un ente materiale) che è vita in potenza, risulti vita in atto. 

Anima-forma e Corpo-materia costituiscono un sinolo e, dunque, l’anima non può non essere mortale. Come lo strumento coltello ha la funzione di tagliare, così lo strumento corpo ha la funzione di vivere e di pensare. L’atto di questa funzione è l’anima (quale spirito vitale). 

L’anima non è materia, ma è connessa al corpo

La concezione dell’anima di Aristotele differisce dal modello naturalistico-materialistico degli atomisti che consideravano l’anima una materia sottile. Per Aristotele, infatti, l’anima è principio e struttura formale della vita. D’altra parte, di contro al modello orfico-pitagorico, che considerava l’anima una sostanza a sé stante, per Aristotele l’anima è solo se connessa al corpo.

Le tre funzioni dell’anima

L’anima vegetativa è responsabile della nutrizione e riproduzione. Essa è propria di tutti gli esseri vivente, piante comprese. 

L’anima sensitiva presiede alle sensazioni e al movimento. Essa è propria degli animali e dell’uomo.

L’anima intellettiva è propria solo dell’uomo, in quanto è l’unico vivente in possesso della ragione.

La gnoseologia

La gnoseologia di Aristotele si differenzia da quella di Platone, in quanto per il primo la conoscenza inizia sempre dai sensi e, dunque, vi è continuità fra la sensazione e l’intelletto. La sensibilità secondo Aristotele si compone dei cinque sensi più il senso comune, che costituisce una sorta di coscienza della sensazione, un “sentire di sentire”. Il senso comune coordina le sensazioni derivanti dai cinque sensi, ad esempio associando il suono, il colore e la sensazione tattile di uno stesso oggetto.

Il processo della sensibilità è un processo passivo in cui l’oggetto esterno è percepito. Dalla sensibilità deriva poi l’Immaginazione, quale capacità dell’uomo di combinare immagini indipendentemente dagli oggetti cui si riferiscono. L’immagine è una traccia, una memoria lasciata nell’anima dalla sensazione. L’immagine nell’anima diviene autonoma nei confronti degli oggetti esterni da cui proviene. 

Inoltre l’immaginazione tende a fondere immagini di oggetti affini (diversi tipi di cane) in un’immagine generale (l’immagine del cane) che è un antecedente sensibile dell’universale (il concetto di cane) che viene alla luce solo a opera dell’intelletto.

Aristotele rigetta la concezione innatista della conoscenza, infatti, a suo avviso l’intelletto lavora solo a partire dai dati offerti dalla sensibilità e dall’immaginazione ed enuclea mediante un processo di astrazione la forma intelligibile delle cose, ossia i concetti universali su cui si fonda la nostra conoscenza.

Differenza fra Immagine generale e concetto

Il concetto differisce dall’immagine generale perché quest’ultima è legata al sensibile. Ad esempio l’immagine generale del cane dipende dalle esperienze che abbiamo fatto, mentre il concetto di cane prescinde da ogni particolarità sensibile, da ogni cane particolare di cui si è fatta esperienza.

I due momenti dell’intelletto

L’intelletto nella filosofia di Aristotele si articola in due momenti:

1. L’intelletto potenziale, quale capacità di cogliere e apprendere i concetti a partire dalle esperienze sensibili tramite un processo di astrazione. L’intelletto, infatti, si presenta naturalmente secondo Aristotele come una “tabula rasa”.

2. L’intelletto attivo o attuale: rappresenta la conoscenza in atto dei concetti, degli intelligibili. L’intelletto attivo agisce sull’intelletto potenziale illuminandolo e determinandolo ad attuarsi nella conoscenza. Come, ad esempio, la luce cha fa divenire atto i colori che nell’oscurità sono presenti solo in potenza.

L’intelletto attivo è separato ed eterno

L’intelletto attivo, diversamente da quello potenziale, non muore, è eterno. Aristotele lo considera “separato, impassibile, non commisto”. Se l’intelletto attivo sia dell’uomo o di dio o di entrambi e qual è il significato della separazione fra intelletto attivo e potenziale, sono problemi che Aristotele non si pone e che saranno invece posti e dibattuti dai pensatori arabi, dalla scolastica cristiana e dai filosofi rinascimentali.

Aristotele toglie il dualismo fra sensibilità e ragione

Il contributo decisivo dato da Aristotele alla storia della filosofia è che, a differenza del suo grande predecessore Platone, supera il dualismo fra sensibilità e ragione e ricompone i due tipi di conoscenza in un processo unico.

3. Etica

Il termine Etica deriva dal greco ethos, che significa “costume”, “abitudine”. Il termine è stato introdotto in filosofia da Aristotele per indicare la scienza pratica che si occupa dei princìpi che stanno alla base del comportamento umano. In Aristotele l’etica ha una forte connotazione sociale: è all’interno della comunità che si formano le abitudini positive che danno luogo alle virtù. Nella filosofia i termini “morale” ed “etica” sono stati usati generalmente come sinonimi fino a Hegel, che ha attribuito all’etica una dimensione sociale e politica e alla morale una dimensione individuale.

La differenza fra etica e politica

Il fine delle scienze pratiche è la realizzazione della felicità; l’Etica tratta della felicità individuale, la Politica di quella collettiva, che per Aristotele è quella preminente proprio perché il bene dello Stato garantisce la felicità di tutti i cittadini.

La felicità per l’uomo consiste nell’agire secondo ragione

Se per Platone il bene è un’idea universale e unica per tutti, per Aristotele la felicità è un concetto relativo, diverso per i diversi enti. Per Aristotele la felicità consiste nella realizzazione della propria natura, ora visto che l’uomo ha una natura razionale, la felicità per l’uomo consiste nell’agire secondo ragione, ossia in modo virtuoso. La virtù è quindi il fine dell’agire umano. La razionalità si estrinseca soprattutto nelle attività direttamente legate al pensiero, nella vita contemplativa, nella vita dedita allo studio e alla ricerca. Non tutti gli uomini possono però – secondo Aristotele – raggiungere questo ideale, anche se tutti possono vivere secondo virtù.

22/10/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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