2018: una tessera antifascista per la Cgil

Le organizzazioni neofasciste attaccano la Cgil. La risposta deve essere all'altezza.


2018: una tessera antifascista per la Cgil

Ci sono cose proprio brutte. Il manifesto di Forza Nuova che attacca la Cgil e annuncia il nuovo sindacato degli italiani è una di quelle. Proprio brutto. Anzi, non so se si può scrivere in un articolo, ma la verità è che fa proprio schifo. E preferisco non pubblicarlo in calce a questo articolo. Perché non lo voglio vedere, tanto meno associato a un mio articolo.

La Cgil secondo me, di difetti ne ha tanti. È troppo burocratica, tanto riformista, per niente autonoma dai partiti, poco o niente conflittuale. Negli anni 90 ha firmato tutti gli accordi di concertazione che si potevano firmare. Nel 2011 non ha fatto niente contro la legge Fornero. Nel 2014 contro il Jobs act ha fatto più o meno finta. E anche adesso, dopo le manifestazioni del 2 dicembre, tutto tace. Posso andare avanti, per ore a elencare quelli che penso siano i difetti della Cgil, a cui pure appartengo.

La mia è un'opinione. Qualcuno la condividerà, altri sicuramente meno. Non discuto quindi che si possa criticare la Cgil. Ci mancherebbe altro, io lo faccio sempre. E i sindacati di base anche. Il fascismo, però, non è un'opinione. Il fascismo è un crimine. Come quel manifesto che è prodotto da una organizzazione che, a rigore di legge, non dovrebbe nemmeno esistere e che esplicitamente fa apologia razzista. Peraltro lasciando trapelare una nemmeno troppo velata minaccia, che corrisponde ai fatti di questi ultimi giorni: l'aggressione al segretario della Fiom di Forlì, le svastiche in un sede Cgil di La Spezia, la bandiera tagliata in una di Arezzo.

Non so se la storia si ripete due volte. Di certo, la prima volta, l'avvento del fascismo fu accompagnato proprio dagli attacchi alle Camere del Lavoro della Cgdl di allora, i cui vertici avevano ben altri difetti dagli attuali, a cominciare dal fatto di non aver impedito per tempo quanto stava accadendo e aver assistito più o meno inermi al Patto di Palazzo Vidoni del 1926, con il quale la Confindustria e il sindacato fascista si riconoscevano reciprocamente come gli unici rappresentanti di capitale e lavoro. Addirittura con D'Aragona e Rigola che, a un certo punto, decidevano per il proprio auto-scioglimento.

Ecco, se la storia si ripete due volte, la seconda almeno non si devono commettere gli stessi errori. La Cgil rifondata nel 1944 è rimasta riformista, ahimé, ma ha scritto l'antifascismo nel suo dna, perché è su di esso - e grazie a esso - che è rinata. A partire dai primi articoli dello Statuto che stabiliscono l'incompatibilità dell'iscrizione a questa organizzazione con altre a carattere fascista e razzista.

Ecco perché di fronte al rigurgito di questa triste fase storica, la Cgil deve essere in prima linea. A cominciare dalla necessità, già annunciata da Susanna Camusso, di chiedere insieme all'ANPI e ai movimenti la messa al bando delle organizzazioni neofasciste.

È un passo importante e necessario. A cui deve seguire, però, anche la denuncia alle autorità che concedono autorizzazioni alle manifestazioni e ai presidi di queste organizzazioni. E un impegno costante a vigilare sui media, denunciando quelli che concedono loro uno spazio improprio, alludendo a una narrazione distorta sul loro "impegno sociale" nelle periferie, che finisce per sdoganarle anche nell'immaginario collettivo. E un impegno anche maggiore sulle forze dell'ordine, al cui interno non soltanto si tollera ma si alimenta quella cultura neofascista. E una denuncia ferma alle istituzioni, a partire da quelle nazionali, perché si assumano la responsabilità del clima che si è creato nel paese. Un ministro come Minniti, responsabile di una gestione autoritaria e repressiva dell'ordine pubblico e della questione migranti, deve soltanto dimettersi per aver amabilmente scherzato sulla scrivania di Mussolini sulla quale è seduto (lo ha detto davvero, anche se forse a molti è sfuggito, nel suo intervento ad Atreju, la kermesse di Fratelli d'Italia).

La Cgil deve essere un presidio di democrazia in questo paese, insieme alle associazioni e ai movimenti antifascisti, proprio perché da sempre il principale obiettivo dei fascisti è stato il movimento dei lavoratori. La Cgil deve mobilitare il mondo del lavoro nelle piazze, nelle scuole, nei posti di lavoro. E anche questo non basta. La Cgil deve anche vigilare sui nostri spazi. Deve essere in prima linea e deve anche rispondere. I fascisti non possono sentirsi in diritto di entrare nelle nostre sedi. Se alzano la testa è perché viene loro concesso, dalle istituzioni, dalle forze dell'ordine, dai media appunto. Noi non dobbiamo essere tra quelli che glielo permettono. E infine, non meno importante, la Cgil deve svegliarsi e non lasciare che siano altri ad appropriarsi della difesa di pensioni, salario e diritti.

Per fare questo, la Cgil deve avere il coraggio di aprire, anche al proprio interno, una grande campagna culturale, per affermare non soltanto il nostro essere orgogliosamente antifascisti, ma anche la nostra natura, altrettanto orgogliosamente antirazzista. Anche e soprattutto in quei posti di lavoro e in quei territori in cui la narrazione razzista dei diritti dei lavoratori italiani messi in discussione dai lavoratori stranieri è diventata senso comune.

Avere la tessera della Cgil deve tornare ad avere un valore anche identitario. Per troppi iscritti ormai non significa altro che servizi o tutela individuale. Ecco perché, al netto di tutte le critiche che continuerò a fare al gruppo dirigente della Cgil, quello che vorrei per l'anno che verrà è una tessera che, anche graficamente, dica a tutti e tutte quelle che ce la hanno in tasca che il più grande sindacato italiano è antifascista e antirazzista, a testa alta. Può essere che perderemo qualche iscritto, ma ne vale la pena.

23/12/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Eliana Como

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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