Che fare?

Perché la sinistra non appare in grado di fare tesoro della peggiore e più strutturale crisi del modo capitalistico di produzione?


Che fare?

La resistibile ascesa delle forze della destra radicale ha subito una significativa battuta di arresto in Brasile e negli Stati Uniti, d’altra parte ha, altrettanto recentemente, trionfato tanto in Israele quanto in Italia. Mentre in questi ultimi due paesi vi è stata un’affermazione delle forze della destra radicale e persino dell’estrema destra, soprattutto in Israele, senza precedenti, addirittura impensabile sino a pochi anni fa, la battuta d’arresto, per quanto significativa, in Brasile e negli Stati Uniti è stata estremamente sofferta. Anche in questi casi “felici” ci troviamo di fronte a uno scenario inquietante e sostanzialmente imprevedibile fino a pochi anni fa. Lula – che nelle precedenti elezioni, se non fosse stato ingiustamente arrestato, avrebbe vinto a mani basse contro un candidato della destra estrema come Bolsonaro – ora si afferma per un soffio e grazie all’alleanza con la destra moderata, che precedentemente era stato il più significativo contendente politico del Partito dei Lavoratori. Negli Stati Uniti non vi è stata la temuta vittoria a valanga dei repubblicani, i democratici sono riusciti a mantenere per un soffio la maggioranza al senato e hanno finito per perdere di misura alla Camera. D’altra parte il Partito Repubblicano, mai così spostato su posizioni di destra radicale e persino di estrema destra, ha vinto nettamente dal punto di vista del voto popolare, con più di cinque milioni di elettori di vantaggio sui democratici. Così la situazione si è radicalmente rovesciata rispetto all’affermazione alle presidenziali di Trump con meno di due milioni di elettori rispetto alla candidata democratica.

D’altra parte, la destra reazionaria si è a tal punto affermata sulla destra conservatrice che sia quando ha vinto le elezioni sia quando le ha perse di misura, o non ha vinto con il margine sperato, ha mantenuto un’attitudine decisamente più misurata di quanto era lecito temere. A dimostrazione del fatto che ha ormai dalla sua parte non solo un’ampia componente dei poteri forti, ma anche una parte significativa del voto popolare. Peraltro appare dotata di una base più combattiva, determinata, convinta e militante dei suoi avversari di centrosinistra. Anche questa è certamente una novità di grande importanza su cui vale certamente la pena riflettere.

Dunque, come era prevedibile, ma non per questo meno imprevisto, la crisi strutturale del modo di produzione capitalistico sposta una parte sempre più consistente della classe dominante su posizioni di destra radicale, disponibili a “flirtare” anche con la destra estrema. Anche perché tali posizioni trovano consenso anche di massa non solo fra ampi settori della piccola borghesia e del sottoproletariato, ma anche all’interno del proletariato, da una parte sempre più a rischio di precipitare nel sottoproletariato, dall’altra sempre più succube dell’ideologia dominante. Tale tragico piano inclinato è certamente favorito, purtroppo sempre più sul piano internazionale, dallo spostamento della sinistra su posizioni sempre più marcatamente centriste. In tal modo, a ben vedere, è tutto l’arco politico che si sposta verso destra, anche perché più la sinistra mira a conquistare i moderati, più la destra tende necessariamente a radicalizzarsi. Mentre nei rari casi, come in Francia, in cui la sinistra tende a radicalizzarsi, la classe dominante rimane più fedele a una classe dirigente moderata e la destra radicale tende a rompere con le proprie origini estremiste, per tentare di estendere la propria capacità di egemonia verso settori conservatori e moderati.

Naturalmente fenomeni in controtendenza come quello francese si spiegano in massima parte con un rilancio della lotta di classe dal basso e della mobilitazione su tematiche economiche e sociali. Mentre la sinistra che cerca di contendere il governo alla destra puntando a conquistare l’elettorato moderato di centro, tende sempre più a porre in secondo piano le questioni economiche e sociali, mettendo al centro del proprio interesse la questione dei diritti civili, di genere o la questione ambientale.

Per quanto queste ultime questioni siano certamente importanti e acquistino centralità con lo spostarsi della destra su posizioni radicali quando non estreme, d’altra parte la mancata centralità assegnata alle questioni sociali ed economiche favorisce la penetrazione della demagogia e del populismo della destra “sociale”, sempre più capace di egemonizzare strati di proletariato sempre più privi di coscienza di classe. Anzi, paradossalmente, più la sinistra si distanzia dai grandi temi economici e sociali propri della tradizione marxista, più la destra può sostituire la sua demagogia sociale accentuando l’ideologia razzista e puntando sulla carta spesso vincente dell’aristocrazia operaia

Tale politica sembra avere sempre più la meglio sulla tradizionale politica socialdemocratica della sinistra, che mira, mediante una rivoluzione passiva, a redistribuire una componente secondaria dei profitti per rendere inoffensivi i ceti subalterni, isolando le avanguardie maggiormente radicali. Tale politica, che può risultare vincente in momenti di crescita economica, non è più seriamente realizzabile in tempi come i nostri caratterizzati da una decennale crisi di sovrapproduzione di cui non si riesce a intravedere la fine. Perciò le sinistre, nei paesi a capitalismo avanzato, quando sono andate al governo hanno portato avanti politiche di stampo ordoliberista, cercando di consentire anche ai più deboli di potersi riprodurre, riducendo la corruzione, realizzando tutt’al più delle riforme volte a portare avanti la lotta liberal-democratica per i diritti civili, senza rinunciare agli extraprofitti e alle modalità di scaricare all’estero parti deleterie della crisi puntando anch’esse sul keynesismo di guerra e, sebbene in forma meno aperta e sfacciata, sull’aristocrazia operaia.

In tal modo le differenze fra destra e sinistra, o meglio fra centrodestra e centrosinistra tendono – quantomeno per quanto riguarda i “fondamentali” – a identificarsi, dimostrando sempre più apertamente di essere due distinte fazioni dello stesso indirizzo politico, rappresentando di fatto gli interessi in entrambi i casi delle classi dominanti. Le destre e le sedicenti sinistre portano entrambe di fatto avanti la stessa politica ordoliberista, guerrafondaia e imperialista. Da questo punto di vista i programmi della principale forza della “sinistra”, il Pd, del principale politico di riferimento del “centro”, Calenda, e della più popolare forza politica della destra, Fratelli d’Italia, tendono a coincidere. Questo fa sì che si affermi sempre più una forma di trasformismo che fa progressivamente venir meno le basi sociali dei partiti. Abbiamo così una parte della borghesia intellettuale che vota generalmente a sinistra e una parte del proletariato in via di sottoproletarizzazione che vota sempre più a destra. Il voto tende a polarizzarsi rispetto alle età, con gli anziani generalmente più conservatori dei giovani e le donne, più oppresse degli uomini, che tendono a votare in modo più progressista

D’altra parte, la tendenza a votare in modo radicale dei più giovani può anche finire per favorire l’estrema destra, quando non vi è una sinistra “radical” credibile, come mostra il voto israeliano. Inoltre tanto i giovani e ancora di più le classi meno abbienti tendono a votare meno dei più anziani e soprattutto dei membri del blocco sociale dominante. Del resto in un confronto elettorale in cui si scontrano di fatto diverse sfaccettature dello stesso partito oligarchico è necessario che i ceti subalterni, non rappresentati, tendano a disertare molto più le urne dei ceti dominanti. Infine, il voto tende a polarizzarsi fra città e campagne, con le prime generalmente più a sinistra e le seconde normalmente più conservatrici.

Tali dinamiche tendono a ridurre sempre più il confronto-scontro a livello politico sul piano delle sovrastrutture. Anche in questo caso non abbiamo di fronte visioni del mondo sostanzialmente differenti. Le tendenze socialiste e comuniste sono – nei paesi a capitalismo avanzato, con parziali eccezioni come nel caso francese – divenute minoritarie. Mentre tanto le forze socialdemocratiche e democratiche quanto le forze della destra radicale tendono a convergere nella direzione del centro liberale.

Ciò non toglie che le forze della destra hanno tendenze maggiormente bonapartiste, comunitariste, razziste, conservatrici e reazionarie sul piano culturale, dei costumi, dei diritti civili, sono certamente più sessiste, tendenzialmente contrarie alla emancipazione della donna, alquanto negazioniste sul piano del clima, più aperte a lasciare spazio alla destra estrema, più propense a utilizzare le maniere forti nei conflitti sociali.

Le sinistre, se appaiono preferibili da tutti questi punti di vista, hanno però la capacità, grazie alla vicinanza con le burocrazie sindacali, di rendere meno aspri i conflitti sociali, mediante politiche di rivoluzione passiva spesso molto efficaci nell’impedire una reazione dal basso alla lotta di classe altrimenti condotta unilateralmente dall’alto. Inoltre, spesso, sul piano internazionale appaiono più temibili grazie all’imperialismo “democratico” che portano avanti e che rende più agevole imporre un regime change, un embargo o una guerra per interposta nazione. In altri termini le sinistre appaiono decisamente più in grado, dal punto di vista ideologico, di rendere accettabili le politiche imperialiste agli occhi di chi difficilmente accetterebbe un’aggressione sul piano internazionale non adeguatamente (pseudo)giustificata sul piano ideologico. Mentre la politica biecamente utilitarista della destra rende, talvolta, più semplice evitare lo scontro militare, rispetto a chi a sinistra segue, per esempio, l’astratta contrapposizione fra paesi “democratici” e “totalitari”.

Peraltro, la tendenza della sinistra a schierarsi sempre e comunque dalla parte del più debole, della minoranza, del più povero, del più oppresso, delle vittime non sempre appare vincente nel contesto della lotta per l’egemonia sulla società civile, scontro sempre più decisivo all’interno di società complesse. Anche perché tali posizioni tendono a favorire attitudini minoritarie, da anima bella, donchisciottesche e a perdere di vista la questione fondamentale, ossia che la sinistra dovrebbe essere quantomeno realmente democratica, cioè a favore del potere dei molti “non ricchi” di contro al potere oligarchico dei pochi ricchi che, in modo più conseguente, di fatto, difende la destra.

D’altra parte resta comunque il problema della decisiva capacità di egemonia sui ceti medi e sulla piccola borghesia. Questi ultimi, essendo a metà strada fra oligarchi e democratici, tendono a divenire la classica palude centrista che si sposta a seconda della parte verso cui tira il vento. In altri termini, essendo al contempo sfruttata e sfruttatrice, dominante e oppressa la classe media e la piccola borghesia tende a essere pragmatica e opportunista, cercando di saltare sempre sul carro del vincitore, del più forte. Da questo punto di vista il presentarsi del militante di sinistra come l’avvocato delle cause perse non favorisce, sovente, la sua capacità di egemonia sui ceti medi e piccolo borghesi. 

Discorso analogo vale per la tendenza del militante di sinistra ad assumere la posizione più libertaria sempre e comunque. Anche in questo caso è evidente che la sinistra deve battersi in generale contro l’oppressione, ma anche in tal caso occorrerebbe sempre considerare prioritaria la lotta che porta a battersi per l’emancipazione dei molti, piuttosto che schierarsi, anche in questo caso, dalla parte della minoranza, dei più poveri, dei più deboli. In qualsiasi lotta è infatti decisiva la credibilità che porta la maggioranza – che non prende mai parte direttamente al conflitto – a simpatizzare per una parte piuttosto che per l’altra. Da questo punto di vista per la sinistra rimane sempre determinante la sua capacità di apparire credibile agli occhi della maggioranza degli oppressi e agli occhi di quei ceti intermedi che rimangono sempre il decisivo ago della bilancia.

25/11/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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