Il nuovo governo Meloni: un diverso approccio alle relazioni internazionali e in particolar modo con la Cina?

Europeista e atlantista, il governo Meloni volgerà le spalle alla Cina?


Il nuovo governo Meloni: un diverso approccio alle relazioni internazionali e in particolar modo con la Cina?

Affrontando la questione delle conseguenze derivate dall’affermazione nella destra nelle elezioni dello scorso 25 settembre in Italia sulla politica internazionale del paese, in primo luogo occorre sottolineare che dobbiamo fare i conti con un’astensione dal voto del 36% degli elettori; fatto che mostra una alquanto scarsa fiducia nei partiti politici che hanno governato il paese in questi ultimi anni. 

Analizziamo poi brevemente i dati elettorali. Il partito di estrema destra Fratelli d’Italia, guidato da Giorgia Meloni, membro dell’Aspen Institute, ha conquistato la maggioranza dei seggi in Parlamento: nel 2018 aveva solo il 4,4% alla Camera e il 4,3% al Senato. La Lega di Matteo Salvini, sempre di destra, ha dimezzato i suoi voti, passando dal 17,5% al 9% cedendoli alla Meloni. È in calo anche il partito del magnate plurindagato Silvio Berlusconi che si attesta all’8%.

Quanto, invece, al cosiddetto centrosinistra, il Partito Democratico ha subito una meritata débacle, perdendo circa un milione di voti e ottenendo solo il 19%, non allontanandosi dai risultati del 2018. L’Alleanza Sinistra/Verdi deve accontentarsi di un modesto 3,6%. Nonostante abbia perso una parte importante, il Movimento 5 Stelle, con un atteggiamento critico ma inefficace e ambiguo verso le scelte del governo di Mario Draghi verso la guerra per procura tra Ucraina e Russia, ha guadagnato inaspettatamente il 15%, dimezzando tuttavia i consensi ricevuti nel 2018. Il terzo polo formato da Azione e Italia Viva, una costola ultraliberista del PD, si colloca all’8%. Quanto all’alleanza Sinistra/Verdi il risultato è paragonabile a quello di Liberi e Uguali (con l’unica differenza dei Verdi al posto dei bersaniani di Art.1). Rispetto al 2018 il risultato (3,6%) è leggermente al rialzo: quattro anni e mezzo fa LeU ottenne il 3,3%. Ci sono poi altre formazioni politiche di entrambi i settori (destra e sinistra), ma che non saranno ammesse in parlamento per l’esiguità dei voti conseguiti. 

Per quanto riguarda, invece, l’analisi sociologica del voto (reddito, occupazione, età), si può affermare che il cosiddetto centrosinistra e il terzo polo hanno conquistato voti nei collegi a reddito più alto, con maggiore numero di occupati e di laureati; invece i 5 Stelle si sono affermati nel meridione, nei settori più poveri con una più alta percentuale di disoccupazione e tra i giovani. Il centrodestra è riuscito a ottenere un voto trasversale anche se ha ricevuto sostegno in particolare dagli anziani. 

Si ricordi che la cosiddetta fine delle ideologie, ampiamente diffusa e sostenuta da tutti i media egemoni, ha fatto sì che gruppi politici dai programmi simili e spesso assai confusi si siano alternati al governo del paese per rapidamente scomparire o quasi. In sequenza abbiamo avuto i governi Berlusconi, seguiti da Matteo Renzi, poi da Matteo Salvini, da Giuseppe Conte e dal tecnocrate Mario Draghi e oggi dalla Meloni, la quale ha fatto solo una finta opposizione a quest’ultimo appoggiando tutte le sue misure. La giovane Meloni ha una lunga storia iniziata con la sua adesione alle organizzazioni giovanili fasciste, col suo sostegno a tutte le politiche liberiste che hanno distrutto lo Stato sociale (tagli alla scuola, all’università, alla sanità, alle pensioni), sostiene come del resto quasi tutti gli altri partiti bellicisti le sanzioni e l’invio delle armi all’Ucraina che danneggiano gravemente il popolo italiano, facendolo precipitare nella povertà e nella recessione. Infatti, a pochi giorni dalle elezioni ha fatto la seguente dichiarazione, che poi mostra la sua relazione di continuità con il precedente governo Draghi: “se decidessimo di ritirare le sanzioni e di non dare le armi, saremmo considerati l’Italia spaghetti e mandolino inaffidabile”. Inoltre, in più occasioni ha ribadito la sua fede atlantista, il suo appoggio alla NATO e alla politica degli USA. Scelte che stanno alla base della gravissima crisi economica e sociale che nei prossimi mesi non potrà che peggiorare.

Da notare una novità significativa cui i media italiani non danno risalto: il 29 settembre il Parlamento tedesco ha votato contro la proposta, fatta dai cristiano-democratici, consistente nell’incrementare il sostegno militare tedesco all’Ucraina. La proposta è stata respinta con 476 volti contrari, 179 a favore e 1 astenuto. 

Questo atteggiamento, volto ad allontanarsi dalla cieca politica filo-NATO, scaturisce dalle recenti prese di posizione della ex cancelliera Angela Merkel, la quale aveva dichiarato recentemente, durante l’inaugurazione della Fondazione Helmut Kohl, che era necessario prendere sul serio le parole del presidente russo Putin, sottotitolando la necessità di sviluppare un nuovo atteggiamento verso la Russia rivolto a raggiungere la pace. L’ex premier tedesco si è anche finalmente riferita alla necessità di costruire un’architettura di sicurezza paneuropea insieme alla Russia, facendo intendere che sarebbe alquanto opportuno prendere le distanze dalle politiche atlantiste. Queste sono le sue testuali parole: “Dobbiamo lavorare a un’architettura di sicurezza paneuropea con la partecipazione della Russia nel quadro dei principi del diritto internazionale. Fino a quando non riusciremo a raggiungere questo obiettivo, come è emerso dall’amara constatazione del 24 febbraio, la guerra fredda non avrà fine”. 

È da notare poi che, nonostante tante dichiarazioni retoriche sulla sovranità del nostro paese, fatte proprio dalla Meloni, in primis i nostri “alleati” USA sono sempre stati pronti a promuovere in caso di bisogno un colpo di Stato in Italia (come mostra la presenza nel nostro paese di un’organizzazione militare clandestina detta Gladio), in seconda battuta Ursula van der Leyen ha già fatto sapere che la UE ha gli strumenti per indirizzare la politica italiana, nel caso in cui il nuovo capo del governo non si mettesse in riga.

Direi quindi in sostanza che sono state cambiate le facce dei leader politici (tecnica mediatica), che suscitavano profonda antipatia nel popolo italiano, ma la sostanza della politica resta la stessa, con l’aggravante della voluta sottovalutazione dei danni provocati dalle sanzioni alla Russia, culminate nel sabotaggio ai due Nord Stream, e dell’inevitabile isolamento dalla reale “comunità internazionale”, che ha confini altre il cosiddetto Occidente e che si sta riaggregando in vari paesi in Oriente (v. SCO). Purtroppo di fronte a questa immane catastrofe il popolo italiano non riesce a reagire e le deboli organizzazioni della sinistra non sono riuscite fino al 5 novembre a organizzare manifestazioni di protesta degne di questo nome, come invece è avvenuto in altri paesi europei e americani. Inoltre quest’ultima manifestazione è stata espressione di posizioni contraddittorie e ambigue sulla guerra in corso.

Tuttavia, nonostante la continuità con i governi precedenti, credo che la Meloni farà pesare il suo retaggio fascista, del resto da lei mai rinnegato. Un’ipotesi non implausibile è rappresentata dall’accentuarsi del revisionismo storico nel senso, per esempio, di proseguire la scelta del Parlamento europeo, avvenuta il 19 settembre 2019, nella quale le responsabilità della Seconda guerra mondiale vengono attribuite parimenti all’Unione Sovietica e alla Germania nazista, senza dedicare una parola all’acquiescente politica della altre potenze europee verso quest’ultima. Tale risoluzione si è poi conclusa nell’equiparazione di nazismo e comunismo, che in alcuni paesi europei – come l’Ucraina – è sfociata nella persecuzione di militanti di sinistra.

L’errore fondamentale di FdI e dei gruppi consimili è quello di credere che, rimanendo agganciati alla politica degli USA e della NATO, l’Italia potrà riconquistare la sua sovranità, mentre invece sono proprio tali linee politiche, limitanti la nostra autonomia, che ci hanno costretto a tagliare i legami con la Federazione Russa, dalla quale ricevevamo risorse energetiche a basso costo; decisione che produrrà la deindustrializzazione del paese e l’ulteriore impoverimento delle masse popolari. E soprattutto non salverà le piccole e medie imprese italiane, strettamente legate alla manifattura tedesca, dall’assalto delle corporazioni statunitensi e britanniche.

Nell’attuale situazione internazionale, che vede la sempre più grave crisi del predominio degli USA, aggravato dalle misere condizioni di vita delle sue stesse masse popolari colpite dalla pandemia e dalla disoccupazione, l’Europa e l’Italia dovrebbero aprirsi alla vera “comunità internazionale”, in cui giocano un ruolo fondamentale la Cina e la Russia, per intensificare le relazioni politiche, commerciali e culturali con questi due antichi paesi, in un processo di reciproco arricchimento e di attenuazione delle tensioni politiche.

In direzione opposta si muove il programma di FdI, che non ha nemmeno una sezione dedicata alla politica estera, i cui punti fondamentali si possono ritrovare nel paragrafo introduttivo che dice: Italia, a pieno titolo parte dell’Europa, dell’Alleanza atlantica e dell’Occidente. Più Italia in Europa, più Europa nel mondo.

Per capire qualcosa di più oltre i soliti slogan, possiamo far riferimento alle parole dell’ex ministro degli Esteri nel governo Monti, eletto nella lista della Meloni, Giulio Terzi il quale ha dichiarato che atlantismo e europeismo sono “due dimensioni strettamente correlate”. Ha aggiunto che è indispensabile integrare a livello europeo le strutture della difesa, pur all’interno della NATO, e ha raccomandato la coesione dei paesi dell’UE, di fatto già in frantumi, sul problema delle risorse energetiche, per rompere ogni vincolo con la Russia. Infine, ha ricordato la questione del Memorandum della Via della Seta, firmato sotto il governo Conte, che a suo parere merita una “revisione approfondita e una stretta consultazione con i partner europei ed atlantici, al fine di riequilibrare i pesi con Pechino”. 

Del resto, in maniera analoga si era mossa prima delle elezioni la Meloni, la quale aveva dichiarato che intendeva consolidare i rapporti con Taipei e che non le sembrava opportuna l’adesione dell’Italia al già citato Memorandum. Con queste parole la vincitrice delle elezioni voleva certamente ingraziarsi gli USA, ribadendo che l’Italia non guarderà con simpatia alle rivendicazioni della Cina su Taiwan. L’ambasciata della Repubblica popolare cinese ha risposto prontamente evitando di menzionare direttamente la Meloni, ma sottolineando che la sua politica è fondata sul principio di “una sola Cina”; principio che occorre rispettare se si vogliono intrattenere relazioni proficue con il grande paese asiatico.

Il nodo cruciale della competizione tecnologia tra USA e Cina si coagula attorno al settore dei microchip e sulla loro supremazia, che gli yankee hanno mantenuto dalla fine della Seconda guerra mondiale, in verità contrastati dai sovietici. Il paese asiatico intende emanciparsi da questa subordinazione e trasformarsi nella prima produttrice delle tecnologie più avanzate. L’annessione pacifica di Taiwan, che dovrebbe avvenire entro il 2049, centenario della fondazione della Repubblica popolare, rientra in questa strategia, giacché l’isola costituisce il maggior produttore al mondo di microchip per la cui costruzione sono indispensabili le terre rare possedute dalla Cina. Nel 2021, nella sua subordinazione agli USA, il governo Draghi ha bloccato due importanti investimenti cinesi nell’ambito dei semiconduttori, che stanno alla base di tutti i dispositivi elettronici e microelettronici (v. i casi Lpe e Applied Materials), ambito in cui la Cina dipenderebbe ancora dai brevetti statunitensi e dalla produzione di Taiwan (TSMC).

Attualmente di più non è dato sapere, ma conoscendo le analisi degli esperti in questioni energetiche e geopolitiche, quali per esempio Demostenes Floros, nel medio termine l’Italia non ha nessuna possibilità di rinunciare d’emblé al gas russo né di astenersi dal coltivare le relazioni economiche e commerciali con la Cina, che nonostante le criticità degli ultimi anni, si sono intensificate. Sarebbe come voltare le spalle all’altra metà del mondo per di più in una fase di espansione e di rinnovamento.

 

18/11/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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