Dietro al sipario qualcosa si agita

La difficile situazione conseguenza dell’emergenza Covid è un’occasione di lotta per i lavoratori dello spettacolo che rivendicano maggiori tutele e diritti.


Dietro al sipario qualcosa si agita Credits: collettivo Sipari Aperti Sempre in piazza

Negli ultimi due mesi abbiamo assistito all’agitazione dei lavoratori dello spettacolo, che hanno dato vita a numerose mobilitazioni su tutto il territorio nazionale per rivendicare, nel contesto del duro colpo che l’emergenza coronavirus ha assestato a tutto il settore artistico e culturale, maggiori tutele salariali e migliori condizioni di lavoro, denunciando difficoltà e lacune nel loro inquadramento lavorativo, preesistenti alla pandemia.

Abbiamo intervistato Maurizio Coroni, del collettivo Sipari Aperti Sempre, che lavora al teatro Politeama di Cascina (PI).

D. In che modo l’emergenza coronavirus ha fatto emergere i problemi che già erano presenti nel settore dello spettacolo?

R. La pandemia ha fatto emergere prepotentemente il fatto che in questo settore ci sia una vera a propria giungla contrattuale. I contratti differiscono infatti sia per durata sia per modalità di chiamata. Per non parlare del fatto delle numerosissime persone che lavorano senza contratto. Quest’ultima tipologia di lavoratori, e anche quelli a cui scadeva il contratto durante l’emergenza Covid-19, sono rimasti esclusi dagli ammortizzatori sociali (tranne poter accedere al bonus una tantum di 600 euro, previsto in generale). Chi aveva un contratto a tempo indeterminato, ossia la minoranza dei lavoratori del settore, ha potuto usufruire di forme di sostegno, mentre gli altri (si pensi agli stagionali, per i quali in mancanza di una programmazione delle stagioni teatrali significa non venire riassunti a settembre) sono rimasti del tutto scoperti. Gli stagionali spesso sono lavoratori che da molti anni lavorano da settembre a luglio, e ci sarebbe bisogno di forme di stabilizzazione, per esempio part time verticali di dieci mesi. Il lavoro nel mondo dello spettacolo è sempre stato caratterizzato da grande precarietà, e ciò poteva anche reggere in momenti in cui c’erano abbondanti risorse economiche.

Da anni però l’arte e la cultura (come la scuola e la sanità del resto) subiscono tagli su tagli, e i soldi non ci sono più. Ci vorrebbe più uniformità nei contratti, una stabilizzazione, la reinternalizzazione di una serie di servizi che negli anni invece sono stati appaltati esternamente a cooperative. Si tratta di problemi comuni un po’ a tutto il mondo del lavoro, ma che nel nostro specifico settore viviamo in modo accentuato. Questa emergenza ci ha messo a dura prova e ha fatto emergere il fatto che il modello precedente non andava bene. Bisognerebbe cogliere questa occasione per superare quel modello. Nell’immediato, chiaramente, ci vuole anche una modalità di reddito di emergenza per tutti quelli che sono rimasti tagliati fuori dai meccanismi di ammortizzazione sociale o che ci sono rientrati ma con budget ridicoli. Poi però bisognerebbe cambiare anche metodologia di lavoro: ridurre gli orari di lavoro di chi è stabile per poter far entrare altra gente, tenere più aperti i teatri, perché con tutti questi protocolli anti-contagio il pubblico verrà ridotto, quindi sarebbe opportuno aumentare gli orari di apertura dei teatri per fare più repliche con meno pubblico. Questa “rivoluzione” andrebbe pensata anche dal punto di vista artistico e di programmazione.

D. In che modo sono state organizzate le varie manifestazioni che si sono susseguite in tutto il paese?

R. Io faccio parte del collettivo Sipari Aperti Sempre, che si è costituito fra i lavoratori dello spettacolo delle province di Lucca, Pisa e Livorno, riunendo lavoratori di tutte le tipologie, sia tecnici sia personale di sala. La componente tecnica al momento è quella maggioritaria, però stiamo cercando di coinvolgere tutte le figure presenti nel settore. Abbiamo fatto una prima uscita a Pisa in sostegno ai lavoratori del teatro Verdi perché anche in quel contesto si sta utilizzando l’emergenza sanitaria per chiudere il palcoscenico fino a gennaio e non riassumere gli stagionali, facendo in questo modo pareggiare il bilancio sulla pelle dei lavoratori. Il contributo statale i teatri l’hanno già preso, quello per le produzioni, quindi se non assumono e non pagano personale per sei mesi, riescono a sanare il buco di bilancio che avevano. Va ricordato che le gestioni dei teatri sono sempre fondazioni che includono enti pubblici come il comune o la regione, quindi ricevono i soldi pubblici oltre ad appoggiarsi al FIS (fondo integrazione salariale). La settimana scorsa abbiamo partecipato alla manifestazione nazionale del settore, organizzata a Roma.

D. Com’è andata?

R. In piazza c’erano poco meno di mille persone. Ho l’impressione che gli organizzatori a Roma si aspettassero minore partecipazione di quella che poi effettivamente c’è stata, infatti era stata chiesta anche una piazza piuttosto piccola. La sensazione che ho avuto però è che ci fosse troppo spontaneismo e poca coordinazione fra i vari pezzi del movimento. La manifestazione era un po’ caotica e improvvisata. Ho avuto l’impressione che si fatichi a costruire un coordinamento unico, soprattutto nelle realtà locali, e c’era infatti un grandissimo numero di sigle ciascuna con proprie rivendicazioni, che risultavano così molto frammentate rendendo il tutto meno incisivo. Ciò nonostante, è significativo che da tutta Italia ci si sia riusciti ad autofinanziare (con gente che non lavora da mesi) e autorganizzare per essere presenti in buon numero, in un momento in cui non esiste un sindacato o un partito a mettere a disposizione pullman, treni, organizzazione. Noi siamo riusciti a fare un pullman da Pisa-Lucca-Livorno. In piazza abbiamo incontrato lavoratori da Napoli, dal Veneto, dalla Lombardia, dall’Emilia. Mi sarei immaginato numeri più alti su Roma, vista la preminenza locale del mondo dello spettacolo, ma comunque ritengo sia un buon punto di partenza per cercare di creare maggiore coesione fra i vari collettivi.

D. Quali sono le rivendicazioni di Sipari Aperti Sempre?

R. Nell’immediato chiediamo l’istituzione di un “reddito di emergenza” che possa traghettare l’intero settore fino alla sua completa entrata a regime, e l’istituzione dell’obbligo di applicazione del CCNL di riferimento a tutte le categorie di lavoratori (estendendo le tutele e rivedendo i parametri anche alle realtà di giro) al fine di evitare la frammentazione contrattuale e la conseguente disparità di trattamento economico e di accesso agli ammortizzatori sociali. Auspichiamo in generale una maggiore stabilità lavorativa per cui proponiamo una penalizzazione a livello tariffario delle assunzioni a chiamata giornaliera, al fine di scoraggiarle. Chiediamo la valorizzazione delle competenze acquisite come risorsa mediante l’utilizzo del modello delle graduatorie pluriennali stilate attraverso il coinvolgimento del settore di riferimento. È necessario coinvolgere tutti i livelli territoriali e istituzionali per la stesura di una riforma sostanziale del settore. Chiediamo che i lavoratori abbiano una rappresentanza nei CDA dei teatri, l’internalizzazione dei servizi attraverso formazione specifica e valorizzazione delle professionalità esistenti, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario per garantire incremento occupazionale e migliore qualità del lavoro e della vita. Proponiamo di mettere in campo una riorganizzazione al fine di generare un aumento del numero di aperture ed estensione temporale dell’utilizzo degli spazi per compensare la riduzione di pubblico imposta dai protocolli di sicurezza.

D. C’è unità di lotta e di intenti fra le varie sottocategorie del settore?

R. Sì, ci stiamo muovendo come settore nel suo complesso, senza distinguere i vari ruoli. La complessità della somma delle varie figure professionali crea una certa difficoltà nell’ottenere una sintesi rivendicativa unica ed efficace. Nel nostro settore la frammentazione è estrema: c’è frammentazione dal punto di vista di dove lavori, dal punto di vista contrattuale, senza contare che la maggior parte dei lavoratori lavorano a chiamata. La parte artistica la maggior parte delle volte è a prestazione, quindi non c’è nemmeno l’inquadramento di lavoro dipendente, e questa frammentazione poi te la porti dietro anche a livello di elaborazioni e di capacità di fare gruppo. Di certo però siamo tutti ben consapevoli di essere in un limbo, e che a settembre scoppierà davvero il problema nella sua drammaticità, perché se non partono le stagioni teatrali, a gennaio ci troviamo con una grande massa di persone senza un reddito. Si patisce un po’ la mancanza di una sintesi politica e organizzativa. C’è molto spontaneismo e si tende a concentrarsi, comprensibilmente, sul pericolo immediato di perdere il lavoro.

D. Quanto pesa l’assenza di un partito politico di classe di sinistra antiliberista?

R. Si sente, ma questo vale per tutte le categorie di lavoratori, la mancanza di un soggetto politico o sindacale che sia in grado di farsi carico della complessità di queste lotte. Perché alla fine poi i pezzi vanno messi insieme, e ci vuole anche un avanzamento, non solo il collage dei frammenti. Si deve arrivare a un’elaborazione e a una sintesi che permetta di fare un passo in avanti. La rivendicazione di base, sul reddito, va bene in generale, ma ci vorrebbe un soggetto politico con cui interloquire per acquisire maggiore coscienza e coesione nelle lotte. Non lo so se i movimenti in campo adesso riusciranno a costituirsi in un soggetto politico o comunque a stimolare la nascita di un soggetto politico all’altezza della situazione.

04/07/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: collettivo Sipari Aperti Sempre in piazza

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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