Violenza machista e repressione istituzionale

Precarizzazione e sfruttamento del lavoro, esclusione della solidarietà, criminalizzazione della povertà, annientamento del dissenso coi manganelli: l’Italia al tempo della repressione.


Violenza machista e repressione istituzionale Credits: eurostop.info

Viviamo in tempi bui. Molto bui. Tempi in cui la violenza diventa abitudine, prassi, banalità. Violenza che si esprime in innumerevoli forme e modalità, a scuola, sul lavoro, a casa, nei momenti di svago. Capita poi che la violenza diventi strumento politico, utilizzato per difendere le istituzioni padronali o per attaccare le "minacce" alla tanto agognata pace sociale. Violenza regolata, messa a norma, istituzionalizzata.

Chi come noi fa politica militante e antagonista si è purtroppo abituato da tempo a questo tipo di violenza, ma negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un aumento spropositato di abusi (per usare un eufemismo) commessi da organi dello Stato. Abusi violenti, commessi attraverso molteplici strumenti al limite dell'assurdo, appositamente pensati e trasformati in legge per non destare alcun sospetto di estemporaneità o casualità. Le avvisaglie ci erano arrivate già prima dell'estate, quando il decreto Minniti-Orlando fece la sua comparsa nel fantasmagorico universo delle leggi dello Stato. Il messaggio è chiaro: viviamo in un momento di crisi, l'instabilità spaventa e le istituzioni (qualunque sia il loro ordine o grado) devono fare di tutto per garantire la tenuta e la stabilità del paese. Le minacce sono il terrorismo, "l'invasione dei mori", i disastri ambientali che un Dio miope scaglia su di noi, impotenti osservatori. Capita quindi che per risposta i rappresentanti dello Stato si trasformino in sceriffi, cani da guardia, sicari. Ci siamo ormai abituati ad avere presidi sceriffi, sindaci sceriffi, medici sceriffi, ecc... Gli esempi sono molteplici e vengono da tutto il territorio nazionale. Qui ne vogliamo riportare solo alcuni, non perché più eclatanti di altri ma perché, semplicemente, divenuti timidamente di pubblico dominio, grazie al grande coraggio di chi ha "osato" denunciare.

Cominciamo con il caso di Maya, una compagna torinese che qualche tempo fa si è concessa una serata con gli amici. Maya esce e va al CSA, lo storico locale occupato dei Murazzi del Po, passa una bella serata in uno spazio che offre socialità, buona politica, un po' di sano svago e prezzi decisamente popolari. Al rientro dalla serata, però, un agguato. La polizia la ferma per un controllo. Routine, come dicono sempre. Solo che il "controllo" diventa una perquisizione, poi un fermo, poi un trasporto in questura. L'accusa è di detenzione di armi improprie. Maya naturalmente non aveva nulla di improprio. Eppure è costretta a subire prima la violenza verbale, poi un bel pugno in faccia per facilitare il fermo poliziesco. Le è evidente fin da subito che si tratta di un’imboscata. Una spedizione punitiva per aver frequentato il locale sbagliato. La notte la passa in questura, tra abusi e violenze verbali e fisiche. Si becca una denuncia e un lungo processo ancora in corso...

Che dire invece delle due ragazze che a Firenze, uscite da un locale, si son viste offrire le gentili attenzioni di due carabinieri. Vi accompagnamo noi a casa... Perché non fidarsi? Chi dovrebbe proteggerci meglio di due “fedeli servi dello Stato”? Solo che i due “eroici” carabinieri con una scusa si intrufolano nell'appartamento delle due ragazze e ne abusano sessualmente. E' STUPRO! Il giorno successivo, oltre alla paura e al disgusto, c'è il coraggio di denunciare l'accaduto. Ma a chi? Se a picchiarti, insultarti e molestarti sono le forze dell'ordine, a chi puoi rivolgerti per denunciare questi fatti? Per fortuna la solidarietà di classe e di genere va oltre queste dinamiche e la notizia diventa di dominio pubblico. Parte invece in risposta la campagna mediatica e istituzionale di discredito verso le ragazze, che “sicuramente se la sono andata a cercare, che “chissà come si erano vestite, che “chissà cosa avevano bevuto. Contemporaneamente il riaccredito delle forze dell'ordine: se (e dicono se”!) i due ragazzi (carabinieri) hanno sbagliato, è sicuramente perchè troppo giovani, male addestrati, poco equipaggiati (???), costretti a turni difficili e grande stress... ma neanche questa raffazzonata balla può tenere davanti alla piazza.

E allora “se (!)i due carabinieri hanno sbagliato è perché sono sicuramente delle mele marce sull'immacolato albero dell'Arma! Due pecorelle smarrite che devono essere corrette e riaccompagnate all'ovile. In ogni caso l'Arma è salva. Innocente. Pura e immacolata.

Anche per le due ragazze, uniche e vere vittime della vicenda, parte l'esame giudiziario. Sette ore di interrogatorio a testa. Trattamento da criminali. Come se si fossero inventate tutto. Come se fossero loro le colpevoli. Anche quì, il caso è ancora aperto… Sarà una coincidenza che, in questi giorni, nella medesima città un nuovo scandalo ha coinvolto l’ “immacolata Arma” tanto difesa dalla ministra Pinotti? Un passante ha fotografato per caso una bandiera di guerra del secondo Reich che faceva bella mostra di sé da una finestra della caserma. Tale simbolo è molto in voga nei raduni di quelle teste tanto rasate quanto prive di qualsiasi contenuto, apparte il vuoto cosmico, universalmente noti come fascisti e nazisti, che vengono tanto vituperati da tutti a parole ma, nei fatti, ancora e sempre a piede libero, anzi, a quanto pare, beatamente stipendiati dallo Stato (noi) per poterci “difendere”: se non fosse dannatamente tragico, ci sarebbe veramente da crepare dalle risate.

Non ha ancora avuto il lusso di un processo in tribunale Luca Fanesi. Per lui ha deciso in via preventiva la celere, che gli ha spaccato la testa a manganellate e lo ha mandato in coma. Luca, 44 anni, due figli piccoli, era andato a vedere la partita della sua squadra del cuore, la Sanbenedettese. Durante la partita scoppiano tafferugli tra tifoserie e interviene la polizia che "eccede" nel sedare le agitazioni degli ultrà. Luca viene colpito più volte alla testa e cade a terra privo di sensi. Arriva l'ambulanza che, scortata dalla polizia lo trasporta all'ospedale di Vicenza, dove resta in coma per più di dieci giorni. Per fortuna si sta riprendendo. Da qualche giorno Luca risponde agli stimoli dei dottori, apre gli occhi e non ha più bisogno dei sedativi. Del suo destino, però non si sa ancora nulla. Quello che invece sappiamo e che fin da subito vi è stato un tentativo istituzionale e mediatico di nascondere la vicenda e di farla passare come una caduta accidentale. Eppure ci sono dei testimoni, che però non sono stati ascoltati da nessun magistrato. Non sia mai che venga fuori che Luca è scivolato proprio sui manganelli della polizia!

Tornando a Torino, aveva fatto scalpore l'intervento delle Forze dell'Ordine in piazza Santa Giulia, luogo di socialità e intrattenimento, da qualche anno ormai centro della "movida alternativa" torinese. All'inizio dell'estate la giunta comunale Appendino si era trovata in gran difficoltà davanti alle giuste accuse di totale incapacità ed inadeguatezza nel mantenimento della sicurezza pubblica cittadina. La risposta della sindaca sceriffo fu quella di sgomberare chiunque si trovasse nella piazza. Se nessuno resta in piazza, nessuno si fa male! Ragionamento lineare! Così l'operazione di polizia che porta i reparti della celere a sgomberare violentemente la piazza pedonale, caricando senza alcuna motivazione tutte le persone che si trovavano sul luogo. Distrutti i dehor, divelti gli ombrelloni, rovesciati i tavolini. E poi le botte su chiunque, giovani, vecchi, baristi dei locali, ecc...

Il potere poliziesco, che il decreto Minniti/Orlando ha affidato ai sindaci, lo ritroviamo oggi a Bologna, dove il Comune ha imposto il DASPO a una decina di senza tetto. Sei povero? Dormi per strada? Di certo,non nel mio bel centro storico, pensato tutto per consumatori e turisti. E così la criminalizzazione della povertà diventa legge. I poveri vengono cacciati dal centro e confinati alla periferia, le belle torri di Bologna diventano esclusivo appannaggio dei ricchi.

Gli esempi potrebbero continuare, ma per adesso preferiamo limitarci a questi cinque. Il filo rosso che li lega è, come abbiamo visto, la violenza pubblica. Quella delle istituzioni. La volontà sembra proprio quella di voler soffocare ogni esperienza di svago, di ricreatività, di condizione di non produzione, parallelamente alla repressione contro qualsiasi forma di manifestazione del dissenso, compreso lo sciopero, ormai apertamente minacciato dalle istituzioni. Che sia una serata tra amiche, una partita di calcio, o un concerto in un centro sociale, il terrore dello Stato si fa sentire in maniera violenta, senza mai frenare alcun istinto sessista o machista. Se poi sei un clochard e non produci mai, allora sparisci proprio. L’esistenza delle fasce popolari viene schiacciata al loro ruolo di produttori di surplus. Dobbiamo lavorare, solo lavorare e mai fermarci. Ogni esperimento di non sottomissione, ricreativo o solidale, diventa il nemico e viene represso dallo stato e dei suoi rappresentanti con la violenza.

Per concludere, siamo serene/i nell’affrontare l’argomento perché consapevoli che, grazie all’impegno di tante compagne e compagni, ancora oggi, c’è chi resiste ai continui attacchi, costruendo intanto spazi di socialità e solidarietà in cui le donne, le disoccupate, gli sfruttati, gli ultimi della società vengono trattati semplicemente come umani. Con rispetto, con dignità. Al di là del proprio genere. Al di là delle proprie passioni e delle proprie ricchezze. Spazi dove si impara a fare politica non tanto per scelta ma per desiderio irrefrenabile di costruire una società più giusta, solidale ed equa.

09/12/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: eurostop.info

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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