Classifica dei film e delle serie italiane 2022

Recensioni di classe alle migliori, alle più deludenti e alle più sopravvalutate serie televisive e #film italiani usciti in prima visione in sala nei cinema o fruibili in streaming o presentati in retrospettive nel corso dell'anno 2022.


Classifica dei film e delle serie italiane 2022

Ennio di Giuseppe Tornatore, documentario, Italia, Belgio, Cina e Giappone 2021, 6 candidature ai David di Donatello, tra cui miglior film e miglior regia, voto: 7+; il meno quotato ma, presumibilmente, il più meritevole alla vittoria del premio non solo per la miglior regia, ma per il miglior film italiano. Del resto si tratta del film migliore, o quantomeno meno peggio, tra i film italiani che abbiamo avuto modo di vedere quest’anno. Il film riesce a essere interessante, emozionante, ottimamente orchestrato e a lasciare anche qualcosa di significativo su cui riflettere allo spettatore. Anche perché intelligentemente ci si concentra e si documenta più l’opera che il suo artefice. In tal modo anche i non addetti ai lavori ampliano la loro conoscenza musicale e la capacità di godimento estetico. Il film porta inoltre a ragionare sulla necessità di trovare il giusto equilibrio fra l’esigenza per l’intellettuale di mantenere una connessione sentimentale con il proprio popolo, la necessità per chi non è ricco di famiglia di mantenersi con il proprio lavoro e l’esigenza di non svendere e ridurre a merce l’arte, introducendo a tutti i livelli elementi di complessità nelle composizioni anche le più mercificate. D’altra parte, purtroppo, non si analizza adeguatamente in Ennio come questo valido compromesso, che ha reso grande l’opera di Morricone, derivi anche da un certo opportunismo e da una capacità camaleontica di tenere insieme il diavolo e l’acqua santa, tipica del democristiano del tempo che, naturalmente, non era né particolarmente democratico, né particolarmente cristiano.

Let’s Kiss. Franco Grillini storia di una rivoluzione gentile, di Filippo Vendemmiati, documentario Italia 2021, voto: 7+. Bel documentario narrato dalla voce di un grande esponente della straordinaria lotta per l’emancipazione del movimento Lgbtq. Il documentario è godibile e certamente molto importante dal punto di vista didattico. Peccato che il movimento e il suo protagonista hanno cominciato a realizzare questa “rivoluzione gentile” proprio in concomitanza con la sconfitta del grande movimento di lotta degli anni sessanta e settanta e con l’affermarsi del riflusso, che hanno portato anche significativi dirigenti della sinistra radicale ad abbandonare completamente le grandi ambizioni di cambiare radicalmente il mondo, per assumere una prospettiva in ultima istanza corporativa. Così la rivoluzione sessuale e la lotta per i diritti civili ha finito per perdere qualsiasi legame con il movimento politico e sociale. Naturalmente questi significativi e tragici eventi non sono per niente affrontati da un film che sposa, acriticamente, la posizione opportunista dell’attivista al centro di questa drammatica vicenda. In tal modo, non si mette minimamente in luce come la essenziale lotta per la rivoluzione sessuale e i diritti civili sia ancora oggi strumentalizzata dall’imperialismo per dei fini che contrastano la lotta per l’emancipazione del genere umano.

Bella Ciao – Per la libertà di Giulia Giapponesi, documentario, Italia 2022, voto: 7+; film quanto mai attuale che rivendica l’importanza della lotta a ogni forma di fascismo, una lotta comune portata avanti e declinata in forme diverse, ma con gli stessi valori di fondo in tutto il mondo. Il film è interessante, emozionante, valido dal punto di vista didattico ed esteticamente godibile. I limiti sono più o meno gli stessi della canzone e del suo successo e dell’indistinta lotta per la libertà tematizzata sin dal titolo, per cui si finisce per prendere come icona dei personaggi anche piuttosto discutibili. La prospettiva sostanzialmente apologetica del film finisce per prendere in considerazione solo le critiche da destra a Bella ciao, senza prendere minimamente in esame le ben più significative critiche da sinistra.

Il bambino nascosto di Roberto Andò, con Silvio Orlando, drammatico, Italia 2021, voto: 7-. Buon film italiano piuttosto realistico, che denuncia il contesto sociale disperante della Napoli povera e le problematiche create dalla discriminazione degli omosessuali. Ottimo protagonista Silvio Orlando che ottiene un meritato riconoscimento come migliore attore ai Nastri d’Argento. Purtroppo il film non riceve altri riconoscimenti, che avrebbe meritato in confronto a opere del tutto postmoderne premiate. Significativo il processo di riconoscimento di due mondi così distanti anche se il conflitto sociale non è mai adeguatamente considerato e, tanto meno, rappresentato.

Settembre, regia di Giulia Louise Steigerwalt, commedia, Italia 2022, voto: 7-, miglior regia esordiente e nomination a miglior commedia ai Nastri d’argento. Un buon film d’esordio che evita i peggiori difetti del cinema italiano – il rimestare nel torbido e la passione per il grottescoe del cinema europeo: il postmodernismo programmatico, offrendo una rappresentazione fra il realista e il naturalista dei ceti sociali subalterni. Il film media dei messaggi positivi e affronta anche problemi sostanziali cercando, in qualche modo, di giungere a una catarsi del dramma rappresentato. Tuttavia, restano completamente esclusi i decisivi conflitti sociali e, così, il film non riesce a decollare mai veramente dal suo fondamento minimalista.

Siccità di Paolo Virzì, drammatico, Italia 2022, con Valerio Mastrandrea e Silvio Orlando, voto: 6,5; il film è di fatto una ripresa di America oggi di Altman, inizialmente pare fiacco e noioso, ma nella seconda parte si rianima e diviene interessante, divertente e anche commovente. Film tutto sommato ben fatto, con una trama che sfiora alcuni aspetti sostanziali, anche se appare del tutto avulso dal conflitto sociale e dalla lotta di classe, a differenza dei migliori film di Virzì.

Marilyn ha gli occhi neri di Simone Godano, con Stefano Accorsi e Miriam Leone, commedia, Italia 2021, voto: 6,5: commedia umoristica godibilissima incentrata su una problematica sostanziale, ovvero sulla volontà di riscatto di persone che, in quanto afflitte da gravi problemi psicologici, sono ritenute un pericolo per la società. Per quanto gli attori e, in particolare, i protagonisti siano bravi e il film sia al contempo divertente, commovente e lasci qualcosa su cui riflettere allo spettatore, ha il difetto di essere troppo idealista, dando l’impressione che sia possibile in modo piuttosto semplice superare le barriere e i pregiudizi inevitabilmente presenti in una società imperialista.

La stranezza di Roberto Andò, commedia, Italia 2022, con Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone, voto: 6,5; il film è ben confezionato e alquanto gradevole, ma si dimostra privo di contenuti sostanziali e significativi da comunicare allo spettatore. Il regista si diverte a mettere in scena Pirandello al modo di Pirandello. La trovata è certamente di maniera e un po’ scontata e non ha nulla, naturalmente, a che vedere con le innovazioni essenziali introdotte da Pirandello nel dramma moderno. Resta, comunque, certamente valida la trovata di affiancare un personaggio di altissimo spessore artistico, impersonato da un grande attore drammatico, a due personaggi da commedia, impersonati da due comici di rango inferiore. Al di là delle trovate e della buona prova degli attori, al di là di una regia che si sottrae ai principali vizi del cinema italiano, il film lascia troppo poco su cui riflettere allo spettatore. Il film finisce per attrarre e tenere insieme un pubblico sofisticato e degli spettatori dai gusti più semplici, risultando il film italiano campione d’incassi.

I fratelli De Filippo di Sergio Rubini, drammatico, Italia 2021, ha ottenuto 6 candidature ai David di Donatello, voto: 6+; discreto film che fa da controcampo, per quanto in modo un po’ unilaterale, all’altrettanto unilaterale film di Mario Martone che racconta una parte della stessa storia dal punto di vista di Scarpetta: Qui rido io. Il film narra tutte le traversie dei figli naturali di Scarpetta per affermarsi, nonostante tutte le difficoltà dovute alla loro condizione e al loro tentativo di innovare profondamente la commedia. Il limite principale del film è accentuare in modo troppo unilaterale la volontà di rivalsa dei De Filippo per le umiliazioni subite dal padre padrone Scarpetta.

A Chiara di Jonas Carpignano, drammatico, Italia 2021, 6 candidature ai David di Donatello, 3 candidature a Spirit Awards, voto: 6+. Film italiano che si occupa, finalmente, di una questione sostanziale come il radicamento della malavita organizzata nel tragico contesto economico e sociale dell’Italia meridionale. La tragedia ha anche un'adeguata catarsi, superando l’ottica sociologica e positivista. Peccato che l’impostazione del film resti improntata a un naturalismo documentaristico e non si sviluppi in senso realistico e tantomeno socialista.

La terra dei figli di Claudio Cupellini, drammatico, fantascienza, Italia 2021, distribuito da 01 Distribution, voto: 6+; in controtendenza rispetto alla media dei film italiani, La terra dei figli non teme di confrontarsi con una tematica sostanziale, evitando le facili cadute nella vulgata postmoderna. Anche i consueti toni grotteschi sono in questo caso giustificati dall’ambientazione post apocalittica, che consente di sviluppare un plot interessante anche con pochi mezzi economici. Certo, al solito, il film pur non nutrendo dubbi sul fatto che il modo di produzione capitalista non potrà che produrre una spaventosa crisi di civiltà, non riesce nemmeno a immaginare l’unica reale soluzione, ossia la transizione al socialismo. Significativo il fatto che, per quanto modesta, la tragedia contempli come sua necessaria coronazione una catarsi che indica nella direzione di una prospettiva di superamento dell’esistenteovvero dello spietato mondo post apocalittico – per quanto su di un piano ancora troppo minimalista.

Luigi Proietti detto Gigi di Edoardo Leo, documentario, Italia 2021, voto: 6+; documentario godibile che coglie alcuni aspetti decisamente significativi, in grado di spiegare il grande successo di questo attore e regista, in particolare la sua capacità di coniugare la cultura alta alla cultura popolare avvicinandosi, nei momenti più alti della sua produzione, a opere nazionali-popolari nel senso gramsciano del termine. D’altra parte la solita impostazione pregiudizialmente agiografica impedisce di cogliere e approfondire le contraddizioni reali, in particolare nei casi in cui il popolare attore scade nel populismo, si svende all’industria culturale, è corresponsabile della diffusione di opere meramente gastronomiche e di evasione, etc.

Nostalgia di Mario Martone, drammatico, Italia 2022, con Pierfrancesco Favino, voto: 6+; film che ben rappresenta lo stato sostanzialmente pietoso dell’intellettuale tradizionale di “sinistra” italiano. Nostalgia mostra, in effetti, tantissime potenzialità, le grandi capacità del regista, una profondità inusitata per il cinema italiano ma, al contempo, un’assoluta mancanza di realismo e una completa assenza di connessione sentimentale con il proprio stesso popolo. Siamo ancora di fronte a un prodotto malato della sconfitta storica dell’inizio degli anni novanta, con intellettuali che – pur non rinnegando apertamente il proprio passato e non passando al campo della destra – subiscono l’egemonia dell’ideologia dominante e finiscono con fare propri diversi aspetti del postmodernismo, quasi un pensiero unico nel contemporaneo cinema “d’autore”. Vi è poi il consueto scollamento che il formalismo, altra ideologia decisamente di destra, provoca fra una forma dignitosa e un contenuto insostenibile. Con l’aggravante di sostenere tesi decisamente di destra, per cui – per limitarci a un esempio emblematico – la lotta alla malavita organizzata, a ragione identificata con il fascismo, la condurrebbero in prima linea gli imprenditori (cioè i padroni, per il solo fatto di aver assunto questo infausto ruolo sociale), coloro che incarnano il sogno di carta statunitense del self made man ed esponenti del clero cattolico. Ecco così contrapporre una piccola associazione a delinquere, come il clan camorrista, ad altre ben più vaste e presenti in quasi tutto il mondo, con lo scopo di esaltare rappresentanti di spicco delle classi dominanti di contro ai piccoli imprenditori mafiosi. Il messaggio è – come ormai di consueto nei nostri tempi oscuriche l’unica alternativa possibile alla destra radicale (Meloni) sarebbero il papa e un grande imprenditore (come Draghi), cioè delle alternative ancora più conservatrici e care all’ideologia dominante, per quanto meno reazionarie. Peraltro, il modello che si indica ai giovani meridionali è di emigrare all’estero, dove mediante il lavoro si diverrebbe imprenditori ecc. Davvero una bella prospettiva in un cupo e inverosimile melodrammone che non conosce catarsi. Restano alcune intuizioni valide all’inizio della pellicola, con la riscoperta, ad esempio, che il terzo mondo lo abbiamo dentro casa, prima ancora di andarlo a ricercare in Medio Oriente.

Essere Giorgio Strehler di Simona Rosi, documentario, Italia 2021, voto: 6; grande occasione mancata per narrare la vicenda di un grandissimo regista del teatro pubblico italiano. Pur avendo a disposizione aspetti molto significativi della vicenda storico-biografica del grande regista – dalla partecipazione alla resistenza, alla militanza nel Partito Socialista, all’aver portato in Italia l’eccezionale teatro di Bertolt Brechtil documentario, privo di qualsiasi spina dorsale e taglio interpretativo, mette insieme testimonianze di mediocrissimo interesse sugli avi del regista e interviste scarsamente significative fatte negli ultimissimi anni della vita del regista, quando ormai non aveva più nulla di veramente significativo da comunicare. Anche la questione potenzialmente molto interessante del controverso rapporto con il movimento del Sessantotto viene appena accennata nel documentario.

A casa tutti bene di Gabriele Muccino, Italia 2022, serie tv in otto episodi, distribuita su Sky Serie e in streaming su Now,voto: 6; davvero viviamo in tempi oscuri, si dovrebbe dire parafrasando Brecht, dal momento che ci siamo ridotti a prestare attenzione a un regista sostanzialmente integrato nell’industria culturale, peraltro di scarsissima qualità come quella italiana. La serie, che riprende un film privo di fatto di spessore, ha qualche spunto lodevole nella critica sociale di una famiglia di parvenu. D’altra parte fermandosi a metà strada fra una serie brillante e una drammatica finisce con il non brillare in nessuno dei due generi. La serie, a partire già dal secondo episodio, perde verve e diviene alquanto noiosa anche perché, sostanzialmente, male interpretata. Inoltre il materiale del film da cui è tratta non era certo sufficiente per poter sviluppare un'intera serie. Si assiste così, di fatto, a una ripresa alla “matriciana” della decisamente più brillante ed efficace serie statunitense Succession.

Nel terzo episodio compare uno sfondo giallo che rianima la vicenda, insieme al confronto-scontro fra il ramo ricco e il ramo povero della famiglia. Naturalmente è del tutto assente un qualche personaggio positivo che dia un respiro più ampio a una vicenda piuttosto asfittica.

Nel quarto e quinto episodio il tono drammatico diviene prevalente, anche se non ci sono sorprese e colpi di scena e i personaggi sono piuttosto stereotipati, schematici e poco sfaccettati. La serie è abbastanza godibile anche se prevalgono gli aspetti culinari e A casa tutti bene lascia poco su cui riflettere allo spettatore. Piuttosto inaccettabili i personaggi femminili, in massima parte subalterni agli uomini, e che sembrano avere come massima aspirazione quella di farsi sposare o di preservare, a ogni costo, il rapporto di coppia.

Nel sesto e settimo episodio la serie finalmente decolla e diviene avvincente ed emozionante. Le contraddizioni e gli elementi di critica sociale emergono in modo sempre più deciso. In questo quadro a tinte fosche pare non esserci modo di arrivare al necessario superamento dialettico dell’esistente. Anche perché il mondo del lavoro e il conflitto sociale e di classe restano quasi completamente estranei alle vicende narrate.

L’ottavo e conclusivo episodio delude le aspettative che si erano sviluppate nelle ultime puntate, anche perché gli autori sembrano essere maggiormente interessati a lanciare una possibile seconda stagione, piuttosto che giungere a una catarsi soddisfacente. Peraltro, ripensandoci a serie conclusa, si comprende che le aspettative sorte negli episodi precedenti, se avevano contribuito a rendere la serie interessante, erano in realtà prive di un contenuto effettivamente significativo. Certo, resta valida la brillante trovata metaforica del cadavere sepolto in giardino, mentre la dinamica dell’omicidio resta alquanto inverosimile a autoassolutoria.

La tana di Beatrice Baldacci, drammatico, Italia 2021, voto: 6; film che, nonostante sia realizzato con pochissimi mezzi, risulta intrigante e godibile. Ben girato, senza cadute nel grottesco e nel postmoderno, il film resta purtroppo confinato, pur affrontando tematiche sostanziali, nell’eticità immediata della famiglia, rimanendo del tutto incapace di sviluppare la dimensione sociale e politica della vicenda. Infine, fornisce una visione idilliaca e del tutto irrealistica della grettezza del mondo del piccolo contadino.

ll nostro Eduardo di Didi Gnocchi e Michele Mally, documentario, Italia 2020, voto: 6; un film di mediocre qualità che parte nel modo peggiore parlando dei nipoti, alcuni dei quali non hanno nemmeno mai conosciuto Eduardo De Filippo, e che, soprattutto, non si sono mai occupati di teatro. Se si riesce a superare questa introduzione assolutamente insostenibile, la grandezza del personaggio – la cui parabola ricostruisce il documentario – lo rende di certo meritevole di essere visto, alquanto godibile e, a tratti, persino emozionante.

La scuola cattolica di Stefano Mordini, drammatico, Italia 2021, voto: 6; film che denuncia a ragione la violenza, il filisteismo, la depravazione, il nichilismo della classe dominante, ma che perde di vista la denuncia dei suoi settori più reazionari, ovvero dei nazi-fascisti autori della strage in questione. Dunque se da una parte fa certamente bene il film ad allargare lo sguardo e a mettere in questione l’intera classe dominante e le sue scuole private e confessionali, poi omette in modo assurdo la denuncia della matrice nazi-fascista degli esecutori della violenza cieca e terroristica degli oppressori e le complicità che hanno loro generalmente permesso di farla franca.

Il signore delle formiche di Gianni Amelio, Italia 2022, drammatico, biografico, voto: 6; il film rappresenta l’ennesima conferma del successo dell’ideologia dominante, imperialista, nello spostare l’attenzione dalle problematiche socio-economicheconnesse al conflitto sociale, compresa la contrapposizione alle politiche imperialistiche – alle questioni legate ai diritti civili e, in particolare, alla lotta alla discriminazione delle minoranze. Non è un caso che almeno tre dei film italiani presentati alla Mostra di Venezia insistano sulla lotta per la libertà sessuale delle minoranze e la totalità dei film italiani al Lido si disinteressino dell’opposizione all’imperialismo e dei conflitti economici e sociali. Quindi il film di Gianni Amelio, per quanto apprezzabile nel mostrare come prima della rivoluzione della fine degli anni sessanta anche in Europa occidentale ci fosse una dura repressione degli omosessuali, si disinteressa completamente di comprendere come tale questione si inserisca nel contesto socio-politico. In tal modo, paradossalmente, a essere messo alla berlina, dopo la religione, è il Partito comunista, cioè la forza politica che più ha contribuito a superare tali discriminazioni nei paesi in cui è riuscito a incidere sulla realtà.

È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, drammatico, Italia 2021, distribuito da Netflix, voto: 6-. Film decisamente sopravvalutato, è stato il film italiano che ha ottenuto più riconoscimenti dell’anno. Si tratta di una ripresa dell’Amarcord felliniano, realizzato al solito alla maniera del maestro riminese. Il film manca di sostanza, limitandosi a una discreta analisi psicologica all’interno dell’ambito “naturale” della vita etica della famiglia, senza toccare questioni economiche, sociali, storiche e politiche. Il film è alquanto piacevole, ben confezionato, ma non si può certo definire bello. Si tratta di un prodotto ben congeniato dell’industria culturale finalizzato essenzialmente al profitto e al successo, con un’aura autoriale piuttosto fittizia e posticcia.

La cena perfetta, regia di Davide Minella, Italia 2022, nomination miglior commedia, voto: 5,5; commediola italiana certamente godibile, ma che lascia troppo poco da riflettere allo spettatore. Fra gli aspetti positivi, che lasciano ben sperare, non vi sono cadute postmoderne o nel cattivo gusto del grottesco. Restano come tipici aspetti negativi dei prodotti dell’industria culturale e delle merci culinarie, la passione smodata per il materialismo rozzo e il rifiuto del conflitto sociale. Si conferma così il livello davvero mediocre del cinema italiano, se un filmetto come questo può essere candidato a miglior commedia.

Freaks out di Gabriele Manetti, drammatico, Italia e Belgio 2021, voto: 5; fra i film italiani più ingiustamente sopravvalutati dell’anno, si aggiudica ben sedici candidature ai David di Donatello ed è osannato anche dalla critica della (a)sinistra e sedicente comunista. Il film non si discosta dal pensiero unico dominante nel cinema italiano contemporaneo, cioè il grottesco. Per cui non si fa altro che rimestare nel torbido e ciurlare nel manico con una serie di luoghi comuni ormai davvero insostenibili come quello del circo. Naturalmente se questi sono i giovani registi emergenti, è evidente cosa possiamo attenderci dal futuro, se non ripartirà il conflitto sociale dal basso.

America Latina di Damiano D’Innocenzo e Fabio D’Innocenzo, con Elio Germano, thriller, Italia 2021, candidato a miglior fotografia, attore protagonista e colonna sonora ai premi David di Donatello, voto: 5; film che – pur amando rimestare nel torbido e dipingere tutto con il monocolore di ordinanza del peggiore cinema italiano: il grottesco – fa comunque emergere il lato oscuro, criminale e sempre potenzialmente nazista del benpensante borghese.

Leonora Addio di Paolo Taviani, drammatico, Italia 2022, voto: 5-; film che ha vinto il premio Fipresci al festival di Berlino, ha vinto il Nastro d’argento per la migliore colonna sonora di Nicola Piovani ed è stato candidato ai medesimi premi per la miglior regia e la migliore fotografia. Il film è banalmente postmoderno dal punto di vista del contenuto, perciò del tutto fine a se stesso, noioso e irrazionalista. Mentre è solidamente classico dal punto di vista della forma, tanto che la nomination alla migliore fotografia è meritata e avrebbe meritato anche una menzione il montaggio del maestro Perpignani. Se si potesse giudicare la regia da un punto di vista meramente formale, anche questa nomination sarebbe, tutto sommato, meritata.

Corro da te di Riccardo Milani, commedia, Italia 2022, con Pierfrancesco Favino, Miriam Leone, nastro d’argento per la migliore commedia, voto: 5-; se questa è la migliore commedia, allora il cinema italiano è messo veramente male. La commedia, a tratti divertente e ben curata nel montaggio, non ha nulla di significativo da comunicare e si limita a sfiorare il tema dell’inclusione, ma con un lieto fine sostanzialmente scontato sin dall’inizio. D’altra parte quantomeno evita le cadute nel postmodernismo.

L’amica geniale. Storia di chi fugge e di chi resta, serie tv di Daniele Luchetti 3x8, disponibile su RaiPlay, voto: 4,5. La terza stagione parte nel migliore dei modi con i primi due episodi, contestualizzando la vicenda nelle grandi lotte sociali e politiche della fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta. Emerge con chiarezza lo sfruttamento, in particolare delle donne, nelle fabbriche, lo sfruttamento dei giovani intellettuali nelle università, la deriva revisionista e riformista dei partiti storici della sinistra e l’insorgere di una nuova generazione di rivoluzionari. Emergono anche i limiti del sottoproletariato napoletano, il ruolo di provocatori dei fascisti, il controllo della malavita organizzata sulle stesse attività imprenditoriali. Peccato che nella serie prevalga il luogo comune che gli studenti sarebbero dei radical chic, che non conoscerebbero i reali problemi degli operai, dai quali non avrebbero nulla da apprendere per le durissime condizioni di vita che impediscono a questi ultimi lo sviluppo di una coscienza di classe. Anzi, la denuncia delle tragiche condizioni di sfruttamento da parte di comunisti e studenti rivoluzionari viene vista come contraria agli interessi dei lavoratori, in quanto favorirebbe la repressione di padronato e fascisti. Nonostante questi limiti, almeno la serie ha il sano buon senso di non pretendere di poter astrarre dai conflitti economico-sociali e politici.

Il terzo e quarto episodio, pur rimanendo avvincenti e godibili, perdono quasi interamente lo sfondo storico, sociale e politico dei precedenti. Resta la denuncia della violenza fascista in collusione con la malavita e la denuncia della famiglia patriarcale e di come uomini, anche progressisti, condannino le mogli alla schiavitù domestica. Per il resto vi è un sostanziale riflusso nel privato e una denuncia davvero reazionaria dell’estremismo radical chic della sinistra extra- parlamentare.

Il quinto episodio rappresenta una decisa caduta di tono in un anticomunismo becero davvero imbarazzante. Come si poteva intuire si mostra, quasi si trattasse di una necessità, lo scivolare della sinistra rivoluzionaria extra-parlamentare nel terrorismo, che viene rappresentato nel modo più inverosimile, ideologico e pienamente subalterno all’ideologia dominante. Alla fine il problema del terrorismo viene affrontato come se fosse una responsabilità della sinistra radicale e non una risposta, per quanto avventurista e controproducente, al terrorismo nero e di Stato. Anche del movimento femminista si mostrano solo gli aspetti contraddittori meno significativi. Anche il sesto episodio, per quanto fortunatamente non si occupi più di questioni economiche e sociali, torna a essere abbastanza avvincente anche se a tratti ancora piuttosto inverosimile.

Gli ultimi due episodi confermano che generalmente le serie, con il passare delle stagioni, divengono sempre meno interessanti e inverosimili. Nel settimo episodio vi è ancora una spaventosa caduta nell’affrontare, peraltro in modo del tutto superficiale, la tragica stagione dei cosiddetti “anni di piombo, occultando le grandi conquiste prodotte dalle lotte dal basso per quanto riguarda l’estensione dei diritti economici e sociali. Ormai la serie nell’ultimo episodio si è distaccata completamente dalle vicende del mondo storico e politico, essendo tutta incentrata sul bieco pregiudizio sessista per cui le donne si innamorerebbero proprio degli uomini “destinati necessariamente” a farle soffrire.

Diabolik di Marco e Antonio Manetti, drammatico, Italia 2021, il film ha ottenuto 11 candidature ai David di Donatello, voto: 4,5. Per quanto Diabolik sia una merce dell’industria culturale decisamente ben confezionata rispetto ai mediocrissimi livelli della produzione italiana, si tratta di un film davvero riprovevole. Come il vergognoso fumetto cui si ispira vi è una apologia dell’anarchia individualista e ultra liberista per cui ogni mezzo diviene legittimo, anche i più criminali, per poter accrescere il proprio profitto privato. Per cui allo stato di diritto si contrappone, con una posizione di ultra estrema destra, la mera legge del più forte, la legge della giungla. Siamo all’esaltazione acritica della popolarizzazione più rozza e alla matriciana del superomismo nietzschiano.

L’arminuta di Giuseppe Bonito, drammatico, Italia 2021, voto: 4,5; il film ha avuto ben tre candidature ai David di Donatello del tutto ingiustificate, in particolare quella per la migliore sceneggiatura non originale e per la migliore interprete di un personaggio secondario. Il film, senza approfondire il contesto storico e sociale, presenta la realtà in modo del tutto schematico, manicheo e privo di dialettica, finendo per annoiare.

7 donne e un mistero di Alessandro Genovesi, commedia, Italia 2021, voto: 4+; ennesimo remake di un film straniero, si tratta di un prodotto dell’industria culturale totalmente insipido e decisamente noioso. Il film è del tutto privo di elementi sostanziali, come commedia è priva di mordente, né il “mistero” genera sufficiente suspense.

Re Granchio di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, drammatico, Italia, Francia e Argentina 2021, voto: 1,5; film vergognosamente candidato a miglior film italiano di un regista esordiente e altrettanto incomprensibilmente esaltato dall’unico quotidiano sedicente comunista italiano, Re Granchiocome ormai di consueto nel panorama davvero imbarazzante del cinema italiano – è tutto improntato e schiacciato sull’autocompiacimento per il grottesco. Se questi sono i migliori registi esordienti italiani c’è veramente da temere per il futuro.

Senza fine di Elisa Fuksas, documentario, Italia 2022, voto: 1; film assolutamente insostenibile, tutto incentrato sulla esposizione sfacciata del corpo attuale di Ornella Vanoni la quale ricorda, naturalmente in modo acritico, alcuni aspetti inessenziali del suo passato. La trovata di paragonare costantemente la cantante oggi con i suoi successi giovanili poteva essere utile come introduzione al documentario, ma alla lunga non può che divenire insopportabile. Già il genere film biografico è molto discutibile, ma diviene del tutto da evitare se si parla della vita privata di un personaggio che ha inciso, per quanto marginalmente, nella vita pubblica nel passato. Abbiamo così esclusivamente la documentazione della vanità e dell’egocentrismo spropositato non solo della cantante, ma ancora di più della regista.

La vera storia di Luisa Bonfanti di Franco Angeli, Italia 2021, voto: 1-; lo spunto iniziale poteva essere valido: riattualizzare il grande classico del cinema italiano Io la conoscevo bene, dandogli anche uno sfondo politico e sociale, ossia legando la parabola tragica dell’attrice protagonista allo sviluppo e alla crisi dei grandi movimenti sociali degli anni sessanta e settanta, che si sarebbero conclusi con la morte di Enrico Berlinguer. Peccato che il risultato finale sia del tutto intollerabile, realizzato in modo davvero imbarazzante.

30/12/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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