Classifiche cinema 2019

Il consueto bilancio di fine anno con le classifiche dei migliori classici del cinema riproposti in versione restaurata nelle sale, i film di animazione, i documentari, spesso già recensiti su questo giornale


Classifiche cinema 2019 Credits: https://www.cinematographe.it/recensioni/ladri-di-biciclette-recensione/

Classici del cinema riproposti in versione restaurata in prima visione nel 2019

Ladri di Biciclette di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini, Italia 1948: voto 9, tra i capolavori assoluti della storia del cinema e fra i migliori esempi di cinema neorealista, il film assicura ancora oggi elevato godimento estetico, lasciando al contempo molto su cui riflettere agli spettatori. Innanzitutto colpiscono le tragiche analogie della situazione di allora, dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, e la situazione odierna delle masse popolari e, più in generale, dei subalterni. A ulteriore dimostrazione che senza una rivoluzione sociale e politica la condizione di oppressione e sfruttamento resta un aspetto invariabilmente caratteristico della società capitalista. Significativa è anche la realistica completa mancanza di prospettiva per il proletariato privo di coscienza di classe, costretto lungo tutta la propria esistenza a sopravvivere cercando di incassare, nella misura del possibile, i colpi sferrati da un sistema architettato in funzione degli interessi degli sfruttatori. Film assolutamente da vedere e rivedere, consigliatissimo tanto per gli adulti, quanto per i ragazzi e i bambini accompagnati. Questo capolavoro assoluto è certamente parte di quel nucleo fondamentale di opere d’arte immortali che qualsiasi uomo deve aver visto con la dovuta attenzione.

Schindler's List- La Lista di Schindler, di Steven Spielberg, Usa 1993, voto 7,5. Ottimo film che dimostra la capacità di egemonia dell’imperialismo statunitense capace di una doverosa e nettissima denuncia della barbarie nazista (quanto mai attuale), senza metterne in discussione la causa strutturale, ovvero la volontà di assicurare la sopravvivenza del modo capitalistico di produzione, anche se le sue crescenti crisi rischiano di produrre una spaventosa crisi e regressione della civiltà umana. Ecco così, con il consueto rovesciamento dell’eccezione con la regola, l’apologia di un capitalista che, dopo aver ampiamente approfittato come tutti gli altri della possibilità datagli dal nazismo di sfruttare al massimo la forza lavoro, cerca, caso più unico che raro, di mettere in salvo dall’irrazionale sterminio i propri lavoratori, condannativi unicamente in quanto ebrei.

Vertigo - La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock, Usa 1958, voto: 7,5, egregio prodotto, puramente culinario e mirabilmente confezionato dell’industria culturale statunitense. Come ha osservato a ragione Scorsese, film come questo sono incomparabilmente superiori agli attuali prodotti oggi in voga. Il film appare per certi aspetti datato, in quanto il plot si regge sul pregiudizio positivista della predestinazione ereditaria, funzionale a rendere immutabili i rapporti sociali esistenti, a cui oggi qualsiasi persona mediamente istruita non dà credito. Colpisce, inoltre, il maschilismo decisamente più accentuato rispetto a oggi, grazie al grande movimento per l’emancipazione delle donne, e una concezione ancora sostanzialmente aristocratica nei confronti del lavoro (per cui i veri uomini e le vere donne ne fanno, volentieri, a meno). Ancora più incomprensibile è la costante esaltazione da parte della critica cinematografica dominante dagli anni sessanta a oggi di questi prodotti (spesso considerati come le più autentiche opere d’arte cinematografiche), per quanto mirabilmente confezionati, dell’industria culturale, che dimostra ancora una volta la grande egemonia esercitata dagli Stati Uniti a livello internazionale. D’altra parte, nella maggioranza dei casi e in questo caso in particolare, i prodotti dell’industria culturale statunitense restano decisamente superiori a quelli dei paesi imperialisti e capitalisti concorrenti. Del resto Vertigo resta un autentico capolavoro nel suo genere, che ognuno dovrebbe gustarsi adeguatamente almeno una volta nella vita.

Gli Uccelli di Alfred Hitchcock Usa 1963, voto: 7, eccellente prodotto dell’industria culturale cinematografica a stelle e strisce, ottimo prodotto culinario che lascia, però, ben poco su cui riflettere allo spettatore. Resta un film ancora oggi godibile e che dovrebbe, comunque, essere visto almeno una volta da tutti.

Maigret e il caso Saint-Fiacre di Jean Delannoy, Francia 1958, voto: 6,5, discreto giallo che restituisce alcuni contenuti sostanziali di critica sociale del grande Simenon, mentre dal punto di vista formale appare piuttosto convenzionale. Resta ancora oggi godibile, anche se non è certamente un capolavoro da non perdere.

La gabbianella e il gatto di Enzo d'Alò, animazione Italia 1998, voto: 6,5, valido film per bambini, dal contenuto notevolmente avanzato per questo genere di film. Se ne consiglia ancora oggi la visione a ogni bambino.

Jules e Jim di François Truffaut, Francia 1962, voto: 6, uno dei film più sopravvalutati della storia del cinema. Non a caso opera di uno dei critici cinematografici che hanno spacciato i prodotti di qualità dell’industria culturale statunitense come veri e propri capolavori dal punto di vista estetico. Il film sostanzialmente riduce la sacrosanta lotta per l’emancipazione della donna, al puro arbitrio capriccioso e individualistico, sostanzialmente nichilista. Se ne consiglia almeno una volta la visione in quanto il film è indubbiamente divenuto, nonostante tutti i suoi limiti, un vero e proprio film cult, che a suo modo ha fatto epoca.

Estasi di Gustav Machaty, Cecoslovacchia 1933, voto: 3, film giustamente a lungo dimenticato, rilanciato ultimamente come un “autentico capolavoro” riscoperto dalla a-critica cinefila. È, in realtà, una pellicola del tutto anonima. Priva d’interesse, di contenuto sostanziale e noiosa, in quanto del tutto priva di un significativo plot che, come insegnava già Aristotele – e non hanno ancora appreso gli odierni “critici” cinefili – è la conditio sine qua non, ovvero la condizione necessaria – anche se non sufficiente – di ogni opera d’arte. In definitiva non è stato del tutto dimenticato in quanto contiene la prima scena di nudo integrale in un film non del genere erotico/pornografico. Decisamente poco per consigliarne la visione.

Film di animazione usciti in prima visione nelle sale italiane nel 2019

Ancora un giorno di Raúl de la Fuente e Damian Nenow, Spagna, Polonia, Germania, Belgio 2018, voto: 9. Film decisamente rivoluzionario sia nella forma che nel contenuto, narra l’epopea della lotta per la liberazione dal colonialismo e dall’apartheid attraverso un geniale utilizzo, estremamente significativo, di immagini di repertorio, odierne e di disegni animati.

Voglio mangiare il tuo pancreas di Shin'ichirô Ushijima, Giappone animazione 2018, voto 7,5, film d’animazione per tutte le età davvero toccante e che lascia al contempo molto da pensare allo spettatore. Da non perdere per gli amanti del genere.

Gli incredibili 2 di Brad Bird, Usa animazione 2018 voto: 6+, un ultimo significativo esempio di quando la Pixar era ancora il settore di punta dell’industria culturale imperialista statunitense a livello dell’animazione, efficacissima nella sua capacità di indottrinare, divertendo, le più giovani generazioni ai valori dominanti, ovvero ai valori funzionali al partito dell’ordine.

Dragon trainer il mondo nascosto di Dean DeBlois, Usa animazione 2019, voto: 6-. Il film parte da una buona intuizione anche molto attuale, ma poi si perde dietro utopie piccolo-borghesi inneggianti all’esodo dalle contraddizioni della società reale. Significativa l’autoironia e il ribaltamento dei pregiudizi dominanti negli Stati uniti di Trump.

Il piccolo yeti di Jill Culton e Todd Wilderman, Usa e Cina animazione 2019, voto: 5,5. Prodotto della nascente industria culturale cino-statunitense, buon esempio di merce ben confezionata del capitale finanziario transnazionale. Tipico film di evasione per ragazzi con una trama politically correct piuttosto scontata. Il film è un mixage di aspetti presi da diversi pellicole americane, giapponesi e coreane. Il piccolo yeti si presenta come un film drammatico anche se si risolve ben presto in una commedia standard, fondamentalmente conservatrice, piena di buoni sentimenti, in cui persino il cattivo vecchio, incarnazione del grande capitale finanziario, si converte e aiuta i buoni, sebbene esponenti di classi subalterne. In tal modo si occulta il conflitto sociale quale reale motore storico in una società divisa in classi con interessi necessariamente contraddittori.

Shaun vita da pecora - Farmageddon il film di Will Becher e Richard Phelan, animazione Usa 2019, voto: 5+. Godibile e alquanto divertente prodotto culinario dell’industria culturale. Appare costruito brillantemente sul puro potere dello specifico filmico, sulle mere immagini, senza dover mai ricorrere a espressioni linguistiche per mediare i proprio contenuti. In realtà si tratta di un artificio vintage, sostanzialmente gratuito, se non controproducente, che rinvia alle vecchie produzioni dell’epoca del muto, ovvero a un’epoca in cui si trattava di fare di necessità virtù. Riproposta nell’epoca attuale tale scelta stilistica appare come un artificio essenzialmente retorico e poco funzionale a mediare un contenuto sostanziale, tanto che il messaggio del film resta, in effetti, di scarso rilievo.

Ralph Spacca Internet di Rich Moore e Phil Johnston, animazione Usa 2018, voto 5; consueto prodotto ben confezionato di uno dei più insidiosi settori dell’industria culturale, volto a egemonizzare sin nella più tenera età le giovani generazioni, mirante a mediare uno degli aspetti decisivi dell’ideologia dominante, ossia le sedicente superiorità delle macchine, di cui si occulta l’effettualità di lavoro morto, rispetto agli uomini, di cui si nasconde l’attività generica, ossia il loro incarnare il decisivo lavoro vivo.

Asterix e il segreto della pozione magica, di Alexandre Astier e Louis Clichy, animazione Francia 2018, voto: 5-. Film indubbiamente godibile, divertente e ben confezionato, ma del tutto privo di spessore. Anche il contenuto è quanto di più banalmente conservatore si possa immaginare. La forma, al di là di qualche brillante trovata, non fa che riproporre gli stereotipi piuttosto noiosi di un fumetto che appare del tutto incapace di rinnovarsi.

Toy Story 4di John Lasseter e Josh Cooley, USA 2019, voto: 4. Il film è la migliore dimostrazione che purtroppo la Pixar o lo stesso Lasseter sono oramai stati, purtroppo, compiutamente normalizzati e ricondotti all’ordine, ovvero ai contenuti melensi e apologetici della società capitalistica. Così anche questo film si è ridotto a essere un tipico prodotto della multinazionale Disney, che se è incorporata la Pixar per mettere fuori gioco un pericoloso concorrente, che provava a competere sul piano della qualità. Ecco così come anche Toy Story sia stato completamente devitalizzato, tanto da ridurlo a un classico sottoprodotto dell’industria culturale, anche dal punto di vista formale. A ulteriore dimostrazione che sempre più spesso le acquisizioni in funzione monopolistica sono portate avanti dalle multinazionali per togliere di mezzo pericolosi competitori, che ne mettono in discussione la politica di prodotti sempre più standardizzati e omologati con prodotti di maggiore spessore e latori di una visione del mondo, almeno in parte, alternativa. Per altro, senza questa sana concorrenza, la condizione di monopolio non può che rendere ancora più convenzionali, filistei e scontati i prodotti della Disney. Protagonista della storia è il tipico rappresentante degli apparati repressivi dello Stato maggiormente repressivo e razzista del sud degli Usa, per lo più ridotto a una macchina. Quest’ultima è, al solito, trasfigurata dall’ideologia dominante in qualcosa di più vivente e dinamico della vita reale stessa, in una sorta di angelo custode 5.0 più previdente, intelligente e sensibile dei rappresentanti del genere umano, per non parlare degli animali. Le macchine sarebbero, quindi. prodotte da degli uomini saggi e previdenti per prendersi cura dei subalterni, senza apparire mai invasive. In tal modo si ripropone fra consumatore e macchina il tipico rapporto fra servo e padrone, ma in modo del tutto rovesciato rispetto alla realtà, in cui sistema capitalista opprime sempre più i subalterni facendone delle mere appendici al servizio del lavoro morto, nella sua duplice forma di macchina e capitale. Senza naturalmente risparmiarci la solita rappresentazione distopica del lavoro morto delle macchine, che risorgerebbe autonomizzandosi dal necessario controllo da parte dell’uomo, al punto da divenire più umane degli umani, con sentimenti individuali ancora più elevati, al punto da mettersi in proprio, rispetto a ogni forma di controllo “totalitario” da parte del genere umano, tanto da poter realizzare il più becero prototipo del sogno americano, per meglio badare, naturalmente, al sedicente bene comune, rigorosamente interclassista.

Weathering with you di Makoto Shinkai, animazione Giappone 2019, voto: 4. Classico manga giapponese riadattato per il cinema, che aggrava ulteriormente la deriva reazionaria del genere – che tende a contrapporre alla visione filosofico-scientifica moderna del mondo, quella antica mitologico-religiosa – arrivando a sostenere la tesi negazionista per cui i problemi climatici sono del tutto indipendenti dall’intervento umano, sostenendo la concezione falsamente autoconsolatoria che il mondo sarebbe in sé folle e, di conseguenza, immodificabile. Follia per follia, come unica azione umana capace di arrestare i disastri climatici si arriva a riabilitare la più primitiva e barbara pratica, ovvero il sacrificio divino propiziatorio di una giovane adolescente, destinata e pronta a immolarsi per placare i cambiamenti climatici.

5 cm al secondo di Makoto Shinkai, animazione Giappone 2007, voto: 4-. Piatta rappresentazione di un amore poco realistico e, al solito, ultra-romantico e piuttosto stereotipato fra i due classici adolescenti idealisti e idealizzati giapponesi. Emblematico cinema di idealistica e mistificante evasione oppiacea dai problemi e le contraddizioni della società reali, contraddizioni che è al contrario indispensabile sciogliere per poter realizzare un mondo migliore.

Fate/stay night: heaven's feel 2. Lost butterfly di Tomonori Sudô animazione, Giappone 2019, voto: 3,5. Ennesima trasposizione cinematografica, senza arte né parte, di un manga giapponese, prodotto e distribuito per una piccola nicchia di appassionati. Così anche questo prodotto di seconda qualità dell’industria culturale è assolutamente autoreferenziale e del tutto incapace di rivolgersi a chi non fa parte della ristretta cerchia dei cultori.

Film documentari distribuiti in prima visione in Italia nel 2019

Ancora un giorno di Raúl de la Fuente, Damian Nenow, Spagna, Polonia, Germania, Belgio 2018, voto: 9. Il film, in modo del tutto innovativo e rivoluzionario, pone a conoscenza dello spettatore, nella forma più avvincente e coinvolgente, uno dei momenti più epici della storia contemporanea, ovvero il ritorno di diversi discendenti degli schiavi africani all’interno dell’esercito rivoluzionario cubano per combattere e vincere, in un momento decisivo dello scontro, il modello post-colonialista dell’apartheid che il Sud Africa tendeva a esportare con la complicità del mondo occidentale.

Selfie di Agostino Ferrente, Francia Italia 2019, voto: 4,5, film assurdamente esaltato dalla critica cinefila e postmoderna. Selfie non è altro che un’apologia del punto di vista del cameriere su di una questione sostanziale come l’abbandono dei quartieri periferici, soprattutto nel meridione, e il ruolo fondamentalmente repressivo dello Stato borghese nei riguardi del disagio sociale. La pretesa che tale questione possa essere compresa e adeguatamente esposta da due sedicenni chiamati ad autorappresentarsi con il cellulare, senza nessuna esperienza da documentaristi e competenza cinematografica, privi di una preparazione culturale adeguata essendo stati portati ad abbandonare la scuola, è naturalmente assurda. Quello che emerge è un noiosissimo vissuto naturalizzato, privo di elementi sostanziali, che dovrebbe rappresentare il riscatto per il rifiuto dei protagonisti di cedere alle sirene della criminalità organizzata. D’altra parte di contro a quest’ultima non viene presentata nessuna reale alternativa, al di là di una vita di ultra-sfruttamento senza reali possibilità di riscatto. In tal modo i due giovani, che dovrebbero teoricamente denunciare l’operato dello Stato, incarnano proprio quel subire passivamente i suoi effetti, senza una reale volontà e, naturalmente, capacità di cambiamento e senza neanche uno straccio di spirito d’utopia. Ridotti, così, nella forma in cui li vuole proprio lo Stato, funzionale agli interessi di chi si arricchisce a spese della loro subordinazione, materiale e culturale.

Leonardo cinquecento di Francesco Invernizzi, Italia 2018, voto: 4, pessimo documentario che riesce a rendere noiosa e superflua la storia, di per sé estremamente interessante, di Leonardo da Vinci e delle sue grandiose opere.

Michelangelo Infinito di Emanuele Imbucci, Italia, 2018, voto: 4. Docu-fiction che riduce un grande artista rivoluzionario al mero portavoce della reazionaria ideologia oggi dominante, senza nemmeno rendersene conto, nel senso che è talmente priva di spirito critico che non si può nemmeno considerarla sostenitrice consapevole del pensiero unico dominante.

Apollo 11 di Todd Douglas Miller, USA 2019, voto: 3+. Documentario sullo sbarco sulla luna, del tutto privo di spessore e spirito critico, che non conserva nemmeno il gusto vintage per le atmosfere dell’epoca. Si tratta di una stanca e noiosa apologia per una presunta fenomenale impresa statunitense, in realtà tutta costruita a scopo mediatico, per lavare l’onta che la “conquista dello spazio” è stato opera, pressoché esclusiva, dei costantemente demonizzati e denigrati comunisti sovietici.

Pagine nascoste di Sabrina Varani, come riuscire a fare persino su un tema estremamente significativo e considerato tabù dall’ideologia dominante, un prodotto reazionario, imbevuto della peggiore ideologia post-moderna e neo-romantica per cui scompare la cosa stessa e si rappresenta la prospettiva ultra-soggettivistica di una scrittrice che affronta il tema in una prospettiva edipica, documentario Italia 2018, voto: 2.

Cortometraggi candidati all’oscar nel loro genere che abbiamo avuto modo di vedere

Bao di Domee Shi, Cina, Canada, Usa 2018, voto: 5-, prodotto dalla Pixar, è piuttosto deludente; al di là di qualche trovata ad affetto non riesce, in effetti, a mediare un messaggio significativo in relazione alla breve durata a propria disposizione.

One Small Step di Andrew Chesworth & Bobby Pontillas, Cina Usa 2018, voto: 4,5, prodotto da un gruppo di artisti fuoriusciti dalla Disney, interessante coproduzione di Cina e Usa, per un prodotto che non decolla e si chiude bruscamente in modo moralistico e privo di catarsi.

La migliore e la peggiore opera che siamo riusciti a vedere al Teatro dell’opera di Roma nel 2019

Idomeneo re di Creta di Mozart, voto: 6+; lo spettacolo è godibile dal punto di vista estetico per le discrete capacità canore dimostrate dalla maggioranza degli interpreti e dalle sapienti e misurate scelte di regia. A rovinare la rappresentazione concorrono, come ormai di consueto a Roma, gli ultimi drastici tagli portati a termine dall’ultimo governo di centro-destra, che ha portato a ridurre in uno stato davvero pietoso tanto i costumi quanto le scenografie.

L’Angelo di fuoco, opera di Sergej Prokofiev, voto: 1,5. Questo, a ragione, sostanzialmente dimenticato lavoro operistico, viene riesumato con i soliti miserevoli mezzi, in modo davvero penoso e intollerabile sotto ogni punto di vista. Il teatro dell’opera di Roma si conferma, ancora una volta, del tutto inadeguato per la capitale di un paese del G7.

Fra le rappresentazioni teatrali messe in scena a Roma nel 2019 ci limitiamo a recensire brevemente quella, a nostro avviso, maggiormente significativa per un giornale comunista

L’anima buona di Sezuan di Bertolt Brecht, voto 7, regia di Monica Guerritore, anche protagonista maschile e femminile, riproduce fedelmente, nella forma di un omaggio al grande regista teatrale socialista Giorgio Strehler, la sua ormai classica messa in scena. Per quanto geniale e ancora attualissima ed estremamente coinvolgente e interessante sia la pièce di Brecht, per quanto certamente di grande livello sia la messa in scena di Strehler e valida l’idea di riprenderla – nella tragica consapevolezza di non poter fare di meglio – lo spettacolo finisce con il deludere il critico. Senza la connessione sentimentale con lo spirito rivoluzionario del dramma e della messa in scena, una loro pura e semplice riproduzione rende quest’opera, per quanto ancora oggi rivoluzionaria, un vecchio classico tanto venerabile quanto imbalsamato. Questa pedissequa riproposizione di un grande classico e di una altrettanto notevole messa in scena del passato non possono che ricordare la doverosa critica di Nietzsche alla concezione antiquaria della storia e della storiografia. Certo, nonostante tutto, la messa in scena produce un certo godimento estetico, anche se rimane decisamente bella senz’anima; per quanto gli attori conoscono e praticano bene il loro mestiere, non sono in grado di far veramente rivivere i grandi personaggi che interpretano, in modo tutto sommato scolastico. Infine il decisivo accompagnamento musicale è sostanzialmente sacrificato alle necessità di fare economia, sulla base dello spaventoso pregiudizio neoliberista per cui la cultura sarebbe riducibile a un faux frai della produzione.

21/12/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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